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Concorso Docenti: Insegnanti: un tentativo di difesa

Redazione
L'Italia è forse l'unica nazione dove i laureati vogliono fare ancora gli insegnanti; anzi dove quelli che vogliono fare gli insegnanti sono molti di più dei posti di insegnamento. A pensarci bene questo fatto dovrebbe essere considerato una fortuna, perchè dopo tanti anni di studio e di sacrifici c'è ancora gente che si accontenta di quel poco con cui una nazione avara, fino ai limiti della meschinità, ricompensa un lavoro, importante, delicato e oggi difficile, perchè senza rete di protezione. Ci si è comportati nei confronti degli aspiranti all'insegnamento come se fossero una maledizione e si è fatto di tutto per rendere accidentato il percorso che conduce alla stabilità in questa professione. E anche questo potrebbe starci, ma non si sarebbe mai potuto pensare nel passato che per trovare in fretta e furia decine di migliaia di docenti, a cui assegnare una cattedra, si sarebbe fatto ricorso ad una prova scritta di 2 ore e mezza, composta da 8 quesiti e ad una prova orale di 45 minuti, di cui 35 impiegati per la simulazione di una lezione. Per inciso 2 ore e mezza, meno del tempo che si assegna per qualsiasi compito in classe agli studenti dai 13 ai 19 anni e la simulazione di una lezione come ai tempi dei miei trisavoli. Per una scuola, in cui da qualche decennio si lavora sull'apprendimento cooperativo, sui progetti, sul problem solving, sui lavori di gruppo, sulla didattica laboratoriale etc.

Sfugge agli ignari padroni dell'amministrazione che ogni disciplina ha un suo statuto epistemologico, che richiede un proprio pertinente apparato metodologico e che non si insegna allo stesso modo letteratura greca e topografia, filosofia e arte della decorazione e stampa dei tessuti e che la verifica delle competenze in molte discipline di insegnamento si esercita con prove lontane mille miglia dai questionari a risposta aperta.

E giusto per dare risalto alla pretenziosa sciocchezza dei legislatori, per l'insegnamento di greco e latino vanno meglio 8 quesiti, di cui due in lingua straniera o una traduzione di un testo non abituale con adeguato commento filologico?Che senso ha ricorrere a stringate e incalzanti risposte per discipline che richiedono tempo, riflessioni, capacità interpretative? Affermava F. Nietzsche "Filologia, infatti, è quella onorevole arte che esige dal suo cultore soprattutto una cosa, trarsi da parte, lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire LENTO, essendo un'arte e una perizia di orafi della parola, che deve compiere un finissimo ATTENTO lavoro e non raggiunge nulla se non lo RAGGIUNGE LENTO".
Che dire? Sfortunati gli insegnanti preparati e capaci, perchè con queste modalità concorsuali rischiano di non essere scelti; ancora più sfortunati gli studenti che rischiano di non avere gli insegnanti giusti per crescere e formarsi.

Ai tanti che pontificano un giorno sì e l'altro pure come debba essere un buon insegnante e che cosa debba fare è opportuno ricordare che migliaia di insegnanti lavorano in periferie sciagurate e pericolose, in zone povere e senza servizi, in edifici sgarrupati e indegni di una nazione civile e che senza il loro coraggio, la loro serietà e la loro passione educativa sarebbe difficile entrare in classe e fare lezioni. E questo lo fanno senza sentire spesso il calore umano e la solidarietà della società, per la quale si sono messi al servizio. I tanto disprezzati insegnanti sanno, al contrario dei molti loro detrattori, che "La scuola non ha diritto all'insuccesso, non puo' respingere gli alunni che non vogliono lavorare "(Ph. Perrenoud). E sanno pure che non basta far progredire quelli che lavorano a scuola e colgono spontaneamente il senso di questo impegno, perchè bisogna guadagnare alla causa del sapere e della conoscenza gli alunni convinti che la scuola non serva a niente e che la vita sia altrove.

Per fare dell'insegnamento un lavoro serio, bisogna evitare i rischi dell'empirismo spicciolo e dell'intuizione facile ai quali ci si affida quando non ci si confronta con la psicologia dellapprendimento e con quella dell'adolescenza. Serve anche una buona cultura sociologica e antropologica. Ci vuole sensibilità politica e culturale. Ciò nondimeno, pur in possesso di tutte le qualità professionali e morali, gli insegnanti non possono essere considerati, come abitualmente si ritiene, l'unica causa del successo e dell'insuccesso dei loro alunni , perchè non potranno mai decidere di apprendere al loro posto, nè sostituirli nella responsabilità di mettersi a lavorare e di crescere. L'alunno puo' decidere, è in grado di decidere di non apprendere e questo avviene molto più spesso di quanto non si pensi in alcuni momenti della vita degli alunni.

Non bisogna mai dimenticare che nella relazione tra insegnanti e alunni c'è di mezzo l'istituzione in cui si realizza il processo di formazione, la sua cultura; c'è l'estrazione sociale dell'insegnante e dell'alunno, c'è la pressione della società, ci sono le diverse tipologie di personalità che interagiscono e confliggono, c' è a volte una notevole differenza di valori e di aspettative. Questi fattori impediscono di ridurre la relazione educativa alla semplice, nitida, lineare esperienza dell'apprendimento, e di poterne dedurre i risultati, come sperato o stabilito. E pertanto sui soli risultati dell'apprendimento non si dovrebbe giudicare il lavoro dell'insegnante. L'obbligo di risultati a cui si vuole vincolare gli insegnanti è spesso la negazione della missione culturale della scuola e del suo compito di educare ogni suo alunno. C'è in giro nei corridoi del ministero un evidente fastidio della complessità dell'atto educativo, che rasenta la superficialità e che viene glorificato nelle molte forme in cui viene proposta ed enfatizzata la valutazione del servizio scolastico.

Nel tempo con l'intenzione di migliorare il processo formativo sono stati assegnati alla scuola e agli insegnanti nuovi e aggiuntivi compiti di informazione, di documentazione, di giustificazione e di comunicazione. E' probabile, però, che questi compiti siano più utili per assicurarsi la pace sociale con l'esterno, per trovare un equilibrio con le più svariate e continue pressioni degli "utenti", per tacitare i sospetti sul lavoro della scuola e degli insegnanti, piuttosto che per migliorare le loro prestazioni, ma correndo il rischio di rinnegarsi, di non fare più il proprio mestiere.

Per migliorare il processo formativo per decenni si è combattuta una strenua lotta culturale contro ogni forma di individualismo nell'esercizio della funzione docente, per rendere vitali gli organi collegiali, per fare della collegialità, del dialogo professionale , della collaborazione le uniche modalità di conduzione della classe e le uniche condizioni di una buona educazione. Si riteneva che le sue sorti non potessero essere affidate alla giustapposizione casuale di stili di lavoro che vogliono restare inconciliabili, ma allo sviluppo di un progetto condiviso e unitariamente condotto di formazione. Contro ogni logica pedagogica e contro il buon senso con le ultime norme della cosiddetta BUONA SCUOLA invece di contenere l'individualismo, si è voluto promuoverlo e premiarlo, senza altra intenzione se non quella di cancellare un patrimonio di esperienze e di buone pratiche formative, dalle quali sono, si sentono e vogliono essere sideralmente lontani i nuovi amministratori del sistema di istruzione.
Gli insegnanti per fare bene il proprio lavoro avevano ed hanno bisogno di sostegno, di apprezzamento sociale, di serenità, di rispetto della loro autonomia intellettuale e professionale; li stanno ripagando per quello che hanno fatto e che fanno con la moneta della soggezione e della precarietà. Una nazione che non ama e non protegge i propri insegnanti non ha un grande avvenire davvanti a sè.

prof. Raimondo Giunta








Postato il Venerdì, 11 marzo 2016 ore 06:00:00 CET di Michelangelo Nicotra
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