Venerdì
8 si terrà l'ennesimo incontro tra MIUR e sindacati firmatari
del CCNL per discutere della mobilità 2016. Una trattativa delicata,
che avrà come principale oggetto di discussione la disparità di
trattamento tra i docenti assunti prima della promulgazione della legge
107 e quelli entrati in ruolo successivamente. Una trattativa in cui
non ci sarà spazio, sembra, per discutere di altro. Un'occasione
mancata per un gruppo di docenti a tempo indeterminato, con diverse
esperienze nel mondo della ricerca, che hanno inviato mesi fa ai
sindacati (ha risposto solo la FLC CGIL, seppur esprimendo diverse
perplessità) un documento per chiedere il riconoscimento delle
competenze acquisite come dottori o come assegnisti di ricerca. Il
periodo trascorso in tali attività, infatti, viene computato ai fini
dell'anzianità di servizio e della progressione di carriera, ma non
viene riconosciuto ai fini dell'assegnazione della cosiddetta
continuità didattica, perché non considerato funzionale all'interesse
pubblico.
Ovvero, approfondire le proprie competenze nelle discipline che si
insegnano e contribuire alla ricerca nello stesso ambito, a dispetto
della tanto sbandierata necessità della "formazione permanente" per gli
insegnanti, significa perseguire un proprio personale interesse,
rispondere a una propria inclinazione. Differentemente, agiscono nel
pubblico interesse, e dunque hanno diritto al punteggio aggiuntivo per
la continuità didattica, coloro che usufruiscono di
distacchi di tipo politico o sindacale (per effetto della legge
300/70); i docenti che assumono servizio (anche a domanda) in
associazioni professionali che abbiano nello statuto finalità
didattiche o pedagogiche (tra le quali figurano diversi enti cattolici,
associazioni di genitori, enti privati e fondazioni politiche!); i
docenti che prestano servizio (anche a domanda) presso il
provveditorato e quelli che esercitano (anche a domanda) le funzioni di
dirigente scolastico presso un altro istituto.
Insomma, ad essere penalizzati, a parte coloro che chiedono di essere
trasferiti presso altra sede, sono solo coloro che interrompono il
servizio per dedicarsi alla ricerca (peraltro, a differenza di quanto
accade per altri distacchi, a seguito di pubbliche selezioni). E sono
soltanto loro che, una volta rientrati a scuola, si troveranno qualche
gradino più in basso nella graduatoria di Istituto, superati da altri
colleghi, a prescindere dalle loro esperienze di
formazione/aggiornamento.
E' vero che chi ha un dottorato di ricerca usufruisce di un punteggio
aggiuntivo (5 punti, di gran lunga inferiore a quelli sottratti per
l'interruzione del servizio!) nella fascia relativa ai titoli, ma per
questa voce c'è un punteggio massimo (22 punti), che chi ha fatto un
percorso di ricerca (per esempio un corso di specializzazione o qualche
master) ha in genere raggiunto durante i primi anni di attività.
La penalizzazione per aver fatto un'esperienza universitaria e aver
contribuito con il proprio lavoro all'avanzamento della ricerca nel
proprio settore disciplinare cresce ulteriormente se a fare ricerca è
una donna: qualora, infatti, durante il periodo di frequenza del
dottorato o di titolarità dell'assegno di ricerca, si è usufruito dei
cinque mesi del congedo di maternità, è quasi certo che scatterà un
altro anno di interruzione del servizio, con un'ulteriore perdita di
punteggio. Così accade che autori di saggi importanti nelle proprie
discipline diventino "perdenti posto", costretti ad andare via dalla
propria scuola e a finire nel grande calderone degli ambiti
territoriali senza avere la possibilità di mettere a frutto, proprio
contando sulla continuità del proprio lavoro, le competenze acquisite,
e perdendo di fatto anche la titolarità di cattedra.
Sulla questione, ormai un anno fa, era stata presentata dall'on. Sofia
Amoddio un'interrogazione parlamentare (n. 5-04581 del 26/01/2015),
alla quale il Ministro dell'istruzione, dell'università e della
ricerca, on. Giannini, aveva risposto, rimandando proprio alla
sottoscrizione del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo (CCNI),
unitamente alle organizzazioni sindacali, il riesame della norma
vigente in materia.
Del silenzio e delle perplessità dei sindacati non si può che prendere
atto, ma l'assurdità di tale norma pretende una risposta più
articolata. E una soluzione celere.
Katia Perna
kperna@unict.it