Anief reputa
scorretta e ingiusta l’operazione mediatica tentata dal titolare del
dicastero di Viale Trastevere di far passare i finanziamenti
l’aggiornamento e la formazione professionale come un incremento
stipendiale “per tutti”. La verità è che le buste paga dei docenti
italiani, tra i meno pagati dell’area Ocde, sono miseramente ferme da
sette anni. E per come si sono messe le cose a livello legislativo,
sono destinate a rimanere tali per chissà quanto tempo ancora. A meno
che non si superi il decreto 150/09 che ha cancellato gli scatti
automatici e contro cui i sindacati rappresentativi non potranno far
nulla quando il ministro Marianna Madia li convocherà a breve per il
rinnovo contrattuale della PA. Al momento, l’unica strada percorribile
rimane quella di ricorrere al giudice del lavoro, come ha fatto
l’Anief, per recuperare almeno quell’indennità di vacanza contrattuale
che fino a oggi ha fatto perdere ad ogni lavoratore 7mila euro.
Marcello Pacifico (presidente Anief): gli adeguamenti sulle buste paga
non c’entrano nulla con i 200 milioni di merito introdotti con la
riforma approvata a luglio 2015. Come non possono essere nemmeno
lontanamente accostati ai 500 euro finalizzati alla formazione. Semmai,
l’associazione va fatta con l’articolo 36 della Costituzione italiana,
secondo cui ogni lavoratore ha diritto ad una retribuzione
proporzionata al lavoro profuso e sufficiente a vivere con dignità. Per
questo rilanciamo la via del ricorso al tribunale del lavoro.
Trasformare in un bonus annuale la card di 500 euro prevista dal comma
121 della legge di riforma della scuola, ai fini dell'aggiornamento e
la formazione di tutti i docenti di ruolo, può essere una buona
notizia. Sperando sempre che l’importo - da autorendicontare entro il
31 agosto 2016 agli uffici amministrativi della propria scuola - non
sia decurtato dalle tasse, che riporterebbero allo Stato circa un terzo
della quota stanziata. Ma il vero punto è un altro: camuffare il
finanziamento dei 500 euro dell’aggiornamento professionale per un
aumento stipendiale, come ha fatto di recente il ministro
dell’Istruzione, è scorretto e ingiusto. Perché le buste paga dei
docenti della scuola pubblica italiana sono miseramente ferme dal 2009.
E per come si sono messe le cose a livello legislativo, sono destinate
a rimanere tali per chissà quanto tempo ancora. A meno che non si
cambino le norme sugli incrementi stipendiali dei dipendenti pubblici.
O si ricorra al giudice del lavoro, come ha fatto l’Anief, per
recuperare almeno quell’indennità di vacanza contrattuale che fino a
oggi ha rosicchiato ad ogni dipendente qualcosa come 7mila euro. Con la
prospettiva, tra tre anni, di diventare 10mila euro indebitamente
sottratti a docenti e Ata.
Il rinnovo contrattuale degli statali, che secondo il titolare della
Funzione Pubblica, Marianna Madia, potrebbe arrivare con la prossima
Legge di Stabilità, non porterà infatti nemmeno un euro in più ai
dipendenti della scuola. Perché i tradizionali scatti di anzianità,
assegnati indistintamente a tutti gli insegnanti come unico a giusto
riconoscimento della loro carriera professionale, hanno segnato la loro
fine con l’approvazione del decreto legislativo 150/09, voluto
dall’allora ministro della PA Renato Brunetta. Da quel decreto è poi
scaturito l’accordo interconfederale del 4 febbraio 2011 (non firmato
da Flc-Cgil e Confedir) preparatorio per l’atto di indirizzo successivo
all’ARAN del 15 febbraio 2011, attraverso cui si approvò una logica di
aumenti con criteri percentualistici: il 25% del personale di ogni
istituto avrebbe avuto accesso agli aumenti stipendiali maggiori, la
metà ad aumenti standard, mentre il 25% mancante, meno meritevole, si
sarebbe ritrovato senza alcun incremento.
Questo modello, poi messo da parte, è stato ripreso, con criteri ancora
più selettivi, dalla riforma Renzi-Giannini: la valorizzazione del
merito del personale docente, finanziata con 200 milioni di euro annui
a decorrere dall'anno 2016, come indicato nel comma 126 della Legge
107/2015, si limita infatti oggi a premiare un gruppo ristretto di
dipendenti in forza ad ogni istituto scolastico. A decidere a quali
dipendenti assegnare quasi 25mila euro ad istituto saranno dapprima i
componenti del nuovo comitato di valutazione, introdotti sempre con la
Buona Scuola e da individuare nelle prossime settimane attraverso i
collegi dei docenti, in seconda battuta sulla base delle linee guida
del Miur.
Pertanto, siccome la maggior parte del personale della scuola
continuerà a percepire lo stipendio del 2009, il vero blocco su cui
vale la pena soffermarsi e combattere è quello dell’indennità di
vacanza contrattuale, introdotta con la Legge 122/2010 fino al 2012,
poi dal Dpr 128/2013 e dalla Legge 147/2013 che ha prolungato gli
effetti sino al 2014, e ancora dalla Legge 190/2014 con slittamento
sino a tutto il 2018. Negli ultimi anni, il risultato di questo
reiterato stop di adeguamento stipendiale al costo della vita, ha
infatti prodotto incrementi nelle buste paga nella scuola di appena
l’8% - per gli altri comparti pubblici in media del 9% -, mentre nello
stesso periodo l’inflazione volava al 12%. Se si considera una media di
80 euro al mese, sottratti, lo Stato dovrebbe ridare ad ogni dipendente
circa mille euro l’anno. Che per i sette anni di stop fanno appunto
7mila euro.
Considerando solo la scuola, dove operano un milione di dipendenti, lo
Stato deve quindi restituire 7 miliardi di euro. E su questo aspetto
aiutano non poco sia la sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015
sull’illegittimità del blocco degli assegni pensionistici superiori a
tre volte il minimo, anche se solo parzialmente recepita dal Governo,
sia la sentenza n. 178 della Consulta sull’inammissibilità del blocco
del pubblico impiego, che l’Anief farà valere in sede di ricorso
proprio per il recupero dell’indennità di vacanza contrattuale
indebitamente sottratta.
“Ecco perché – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief – gli
adeguamenti di stipendio di docenti e Ata non c’entrano nulla con i 200
milioni di merito introdotti con la riforma approvata a luglio 2015.
Come non possono essere nemmeno lontanamente accostati ai 500 euro
della card, la quale è solo un atto dovuto per permettere la formazione
del personale. Semmai, l’associazione va fatta con l’articolo 36 della
Costituzione italiana, secondo il quale ogni lavoratore ha diritto ad
una retribuzione proporzionata al lavoro profuso e comunque sufficiente
a vivere con dignità. Ed ecco perché come Anief – conclude Pacifico -
abbiamo intrapreso e rilancia la via del ricorso per il recupero di
quell’indennità deputata a salvaguardare tale principio, che nessuna
legge può sopprimere”.
Per tutti coloro che sono interessati ad allineare lo stipendio almeno
ai livelli del costo della vita, recuperano le somme non assegnate
negli ultimi sette anni, è stata predisposta un’apposita sezione
informativa e di adesioni. In assenza di norme che tutelano i
lavoratori, Anief ha promosso specifici ricorsi per recuperare
l’indennità di vacanza contrattuale (clicca qui), per il recupero del primo gradone
stipendiale sottratto a tutti i neo-assunti a partire dal 2011 (clicca qui) e per il recupero di tutti gli anni di
precariato nella ricostruzione di carriera del personale assunto (clicca qui).
Anief.org