
Lei dice che bisogna guardare sul lungo periodo, ma oggi piovono critiche.
«Come diceva Jean-Claude Trichet nelle politiche in campo educativo si parte un anno e si colgono gli effetti completi in cinquant’anni. Ci vorranno tre anni per vedere i risultati della riforma, per questo non è stata accolta con molto entusiasmo. Ma porta alla scuola dell’eguaglianza, smuove quello che per anni è rimasto immobile, una situazione in cui forse l’assuefazione stessa faceva più comodo. Perché anche l’autonomia spaventa».
Quali sono i punti più importanti?
«Si incide su tre livelli: comincia il processo organizzativo delle scuole, finalmente si mette in pratica l’autonomia degli istituti, che produce un cambiamento anche culturale, e si valuta la responsabilità di chi li dirige».
Quello del super preside, anche se è stato moderato, era un punto contestato. Troppi poteri e discrezionalità nelle scelte dei prof.
«Se si facesse quello che vuole il preside senza giudicare il suo operato sarebbe così, ma il dirigente a sua volta viene valutato. Ben sei ministri dell’Istruzione non sono riusciti ad applicare la legge Bassanini sull’autonomia scolastica. La prossima settimana firmerò il decreto attuativo sulla valutazione dei dirigenti. Se il preside di un liceo in tre anni deve migliorare la competenza linguistica e non lo fa, succederà qualcosa, o no? E un altro punto importante è la formazione degli studenti nel mondo del lavoro».
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