Negli
ultimi anni, in seguito alla crisi economica che ha inciso quale
fattore di accelerazione, innescando effetti depressivi, la gioventù
irpina
ha ripreso ad emigrare. Dove starebbe la novità, verrebbe da chiedersi
giustamente. In realtà, le popolazioni irpine (e meridionali in genere)
emigrano da circa un secolo e mezzo, vale a dire dall'avvento
dell'unità
d'Italia. Si tratta di un tempo storico talmente lungo che ormai i
flussi
migratori si configurano come un fenomeno fisiologico e normale.
L'esodo
incessante e massiccio dei giovani dall'Irpinia ha determinato un
processo
di graduale, inesorabile invecchiamento delle popolazioni residenti in
una
terra sempre più deserta e desolata.
In Irpinia si contano decine di paesi
e borghi quasi spopolati, la cui popolazione è prevalentemente formata
da
anziani in pensione. Senilizzazione e spopolamento costituiscono le due
facce dello spaesamento dei paesini irpini. Quasi tutti i giovani sono
stati costretti a fuggire e a sistemarsi altrove, mettendo su famiglia
lontano dalla propria terra di origine. In molti casi, sono più
numerosi i
compaesani che vivono fuori rispetto a quelli che sono rimasti nel
proprio
paese.
L'emigrazione giovanile ha comportato, tra le varie conseguenze, la
fuga dei soggetti che potrebbero introdurre idee ed elementi di
progresso
civile, contribuendo ad un'evoluzione della società. I giovani che
rimangono sono, invece, i più privilegiati, quelli che hanno "agganci"
con
qualche notabile locale. Sono i "figli di papà", che provengono da
famiglie
legate ai vari clan politici e, pertanto, non hanno interesse a
modificare
l'esistente. Questo andazzo di cose concorre al perpetuarsi delle
contraddizioni che affliggono il nostro Meridione dall'avvento
dell'unità
d'Italia.
La fossilizzazione del contesto storico e politico ha influenzato
profondamente la mentalità del popolo meridionale al limite della
rassegnazione e del fatalismo. Come ho già avuto occasione di spiegare
altrove, il problema più deleterio per le nostre comunità, il male
peggiore, peggiore del dramma della recensione, della disoccupazione,
della
precarietà, dell'emigrazione giovanile e quant'altro affligge le zone
interne depresse da troppi decenni, temo sia proprio questa mentalità
rassegnata e fatalista, che induce ad auto-convincersi che nulla possa
mai
cambiare.
Ed è proprio per questo che nulla cambia. Sicché i clan politici
e socio-economici dominanti, i ceti più privilegiati hanno gioco facile
a
mantenere l'ordine costituito. Certo, è facile a chiacchiere, il
difficile
è tradurre le parole in fatti, ma nemmeno si può agire in modo
avventato ed
isolato. Occorre coordinarsi per incidere sul terreno politico, serve
la
formazione di un soggetto collettivo organizzato e disciplinato
(chiamatelo
come preferite: partito, circolo, coordinamento o in altro modo) capace
di
mobilitare ed orientare la gente, soprattutto le giovani generazioni,
per
indurle ad impegnarsi e a propugnare una giusta causa, in funzione di
un
progetto condiviso di trasformazione dell'ordine vigente.
Si potrà mettere
in discussione anzitutto gli equilibri ed i privilegi sociali,
modificando
gli assetti e i rapporti di forza su cui si regge il potere
politico-economico a livello locale. Si potrà obiettare, a prima vista,
che
si tratta solo di belle parole, difficili da attuare nella realtà
effettiva, ma le cose non possono mutare da sole, senza uno sforzo
condiviso e partecipato, come insegnano le coraggiose iniziative e le
dure
vertenze condotte dal movimento operaio nel secolo scorso. Lo spirito
di
rinuncia e di rassegnazione, talvolta misto a rabbia ed indignazione, è
insito nella natura umana, si alterna ad un'ansia di rivolta e
riscatto, o
cede il posto ad altri atteggiamenti e disposizioni dell'anima, a
seconda
delle circostanze della vita.
Questi sono stati d'animo e sentimenti che si
fondono anche nella mia esperienza interiore, ma non devono
sedimentarsi o
ristagnare in una sorta di cultura fatalista negativa, in un'ideologia
dell'impotenza e della passività che giova solo a chi ha tutto
l'interesse
a perpetuare lo stato di cose presenti. Serve denunciare la natura
mafiosa,
conservatrice e parassitaria di tali dinamiche e meccanismi di
controllo
socio-politico che intervengono ed imperversano sul nostro territorio.
I
metodi attraverso cui scardinare questo sistema di potere sono la
questione
cruciale per qualunque soggetto che decida di esporsi e spendersi nella
politica attiva. Il fatto che se ne possa discutere ancora assieme, è
l'indice di una volontà comune di impegno e di cambiamento. Una volontà
condivisa dai singoli individui che si associano in un'entità politica.
Una
volontà che spero sia assai più diffusa di quanto si creda abitualmente.
Lucio Garofalo