Bologna - Sono una
docente di Storia dell’arte (classe di concorso A061) e di Disegno e
storia dell’arte (A025) iscritta legalmente e regolarmente nelle
Graduatorie ad esaurimento della provincia di Bologna, cosiddetta
«precaria» da ventuno anni. Non sono pochi, considerando i concorsi, le
abilitazioni, le specializzazioni, i perfezionamenti, l’esperienza sul
campo. L’arte, dobbiamo ammetterlo, è una materia dimenticata da
decenni nelle scuole secondarie italiane. È quasi scomparsa nei licei
classici, nei linguistici, delle scuole turistiche e moda. Ora, in
occasione della Buona Scuola di cui si parla tanto in questi giorni in
seguito allo scadere delle novità sul piano nazionale proposte dalla
riforma, io e molti altri docenti sposati, single, con figli o senza,
abbondantemente adulti, con genitori anziani, cani e gatti, affitti o
case personali da pagare, siamo totalmente ignorati e dimenticati da
tutta la stampa italiana che, secondo un vecchio stereotipo, si
commuove e vuole far commuovere fotografando gli emigranti del Sud,
pronti con la valigia ad abbandonare certezze ed affetti. La provincia
di Bologna, come molte altre del centro e nord Italia, da dieci, venti
(in alcuni casi anche trent’anni) non stabilizza noi docenti residenti
in città e nei comuni limitrofi. Noi siamo senza fissa dimora da molto
tempo e conosciamo tutte le scuole, tutti i colleghi, ormai tutti i
ragazzi di ogni istituto.
Noi girovaghi sul territorio non facciamo notizia, proprio perché
abitiamo nella città dove dovremmo insegnare, proprio perché — anziché
prendere scorciatoie abilitandoci in sostegno o lavorando nelle scuole
medie inferiori — abbiamo cocciutamente voluto continuare ad insegnare
quello per cui abbiamo studiato e che abbiamo continuato ad amare nel
tempo. Le nuove immissioni in ruolo hanno visto nella provincia di
Bologna più di cinquanta neoassunti in sostegno; una cattedra — una
cattedra — è stata messa a disposizione per Disegno e storia dell’arte
e nessuna — nessuna — per Storia dell’arte. Noi non siamo interessanti
né folcloristici. Noi siamo docenti specializzati che accompagnano gli
studenti a visitare le mostre, le città, le Biennali o semplicemente
utilizziamo le aule scolastiche quasi mai dotate di lavagne luminose
dove proiettare opere d’arte. Mi domando: ma se, dopo vent’anni, non
c’è posto per me nella mia città, e forse neppure nella mia regione,
perché dovrebbe esserci per chi sembra tanto soffrire dovendo
abbandonare il proprio amato paese? Dove finiremo, noi docenti di
materie così inutili, quando i posti che per noi non ci sono verranno
occupati da colleghi così spaesati e disperati per la lontananza? È un
controesodo, il nostro; ultimi a scegliere nonostante tutto, forse noi
ci troveremo al Sud.
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