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Costume e società: Il bisogno di una casa comune

Redazione
Non si parla più di secessione, nè di devolution; la Lega si sta trasformando in un partito nazionale xenofobo e antieuropeo con qualche successo e con non poche contraddizioni. Se nessuno parla di federalismo e di altre divertenti ipotesi di riformulazione dell'organizzazione statuale, questo non vuol dire che i pericoli di disintegrazione dello Stato Unitario non esistano più. Le divisioni si formano e si aggravano sul piano del reddito e delle opportunità di lavoro, nel momento storico in cui l'impossibilità di interventi pubblici e la crisi dello Stato Sociale impediscono di mettere in atto  politiche di perequazione territoriale e sociale.

Non è di buon auspicio, tra l'altro, che  il personale politico preposto  all'amministrazione degli Enti locali e delle Regioni, o che si candida per amministrarli, sia  quanto di peggio si possa immaginare. Purtroppo sta venendo meno la funzione federativa e unitaria  dei partiti, dei sindacati e delle istituzioni della società civile.
Occorre ripensare seriamente che cosa oggi possa tornare ad unire la società, che cosa serva per creare coesione e prossimità nella nazione, che cosa possa mettere insieme unità statuale, democrazia, sviluppo e pari opportunità.

I miti fondanti dell'Unità nazionale non sono stati capaci di creare una solida coscienza nazionale ;si paga ancora oggi il fatto  che l'unità  nazionale sia stata il risultato storico di una scelta di tipo giacobino, minoritaria. Le leggende e la mitologia delle geste risorgimentali  relative alla ristrettissima minoranza, che sul campo si è battuta per fare dell'Italia una nazione unita, non sono riuscite a creare un ethos collettivo, l'identità tra Stato e Nazione.

L'avversione del mondo cattolico all'impegno per creare uno Stato Unitario,ne hanno indebolito la costruzione, nè sul breve  il connubio progressismo-anticlericalismo era fatto per estendere il consenso; anzi è stato  dopo i primi tempi la condizione che avrebbe condotto l'Italia a scelte e ad esiti di stampo autoritario, per la tenace resistenza opposta all'estensione del diritto di voto e per l'avversione ai soggetti politici di nuova formazione.
I partiti di massa di fine Ottocento e dei primi anni del Novecento si sono dovuti  costituire contro la classe politica risorgimentale  e a difesa delle classi sociali escluse dal  processo unitario e dai benefici, che ne potevano derivare.

Si dice che la prima guerra mondiale abbia creato quel sentimento nazionale che mancava; tutto ciò sarà avvenuto forse negli artifizi retorici della propaganda e nella storiografia di regime,ma non certo nelle trincee, dove nessuno si premurava di spiegare il senso della guerra, anche se si pretendeva che i poveri fanti con il fucile puntato alle loro spalle pagassero per intero il prezzo di sangue loro richiesto.
Il Fascismo, travisando e forzando il significato del Risorgimento, ha fatto del sentimento di appartenenza nazionale la base di sostegno ad una politica imperialistica, alla quale ha legato le sorti e gli interessi delle vecchie classi dirigenti, di quelle emergenti e di alcune frange dei ceti popolari. Più che amor di patria, la solita minestra nazionalistica, che ha avvelenato l'Europa intera e la nazione. Dalle macerie della sconfitta della seconda guerra mondiale si poteva  e si doveva partire per un'altra stagione di coesione nazionale.

La Resistenza al nazifascismo è stata proposta come Secondo Risorgimento e come storia e mito fondanti dello Stato Unitario repubblicano e democratico; credo che non abbia fatto molta strada, perchè quasi subito la guerra fredda ha creato le condizioni di esclusione dall'area democratica dei comunisti e dei socialisti, anche se protagonisti di quella lotta. Nella costruzione dello Stato Unitario democratico ha contato di più l'anticomunismo che l'antifascismo.

Tangentopoli ha fatto tabula rasa delle radici antifasciste e democratiche della Costituzione e ha reso retorica la ricorrenza del 25 Aprile, polverizzando il credito popolare intorno alla Repubblica, nata dalla Resistenza.
Nei nostri giorni, dopo vent'anni persi a parlare di Seconda Repubblica, si è arrivati ad un altro passaggio della storia della nazione. Con affanno,concitazione e improvvisazione. Non mi pare che si sia imparato molto dagli errori degli ultimi tempi  e ancor di meno dagli insegnamenti degli anni e dello spirito della Costituente.
Invece di chiamare tutte le forze disponibili alla responsabilità di un impegno comune per la salvaguardia del patrimonio spendibile della nostra storia unitaria, con proterva spavalderia si sono cercati tutti i pretesti per dividere ciò che è possibile e giusto unire,con l'intenzione di fare cosa nuova con un progetto di ridimensionamento  democratico, palesemente oligarchico nelle intenzioni e nelle procedure, delle istituzioni statuali.

Ancora una volta la semplificazione, la scorciatoia e la prevaricazione, invece dello sforzo comune, del dialogo, della fatica di interpretare la complessità. Non credo che la manomissione delle istituzioni e della Costituzione, a colpi di maggioranza e con l'uso di tutti gli espedienti per cancellare la riflessione e il confronto parlamentari, possa garantire  la durata e la tenuta sociale e politica di cui ha bisogno una nazione, uscita stremata da un inutile ventennio di transizione politica e istituzionale.

Non tutto è ancora perduto,ma è necessario liberarsi di tutte le incrostazioni ,di tutte le diffidenze,di tutti i pregiudizi, di tutti i luoghi comuni, ai quali ci siamo affezionati,che non consentono di guardarci e di ascoltarci.
Bisogna  riconoscere con umiltà che, al di fuori del nostro coltivato orticello di convinzioni, sono molte e diverse  le esperienze positive che vanno valorizzate per prefigurare un progetto di società alternativo a quello che si sta con inaudita superficialità realizzando.

Bisogna farla finita con tutte le forme di antagonismo, che nascondono col chiasso e le esagerazioni, la natura vera dei problemi, che bisogna affrontare. Bisogna misurarsi razionalmente e con coraggio con le innovazioni, ma senza disprezzo del passato; saper conservare le esperienze  fatte, ma senza farne pretesti di identità comode e paurose.
Abbiamo bisogno di una casa comune, in cui nessuno deve sentirsi sopportato e in cui ognuno abbia il diritto di parola e di scelta: abbiamo bisogno ancora e soprattutto di democrazia.

prof. Raimondo Giunta








Postato il Mercoledì, 20 maggio 2015 ore 02:30:00 CEST di Nuccio Palumbo
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