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Voce alla Scuola: A cosa serve la scuola: la funzione educativa

Redazione
Premessa
Oltre al compito imprescindibile di istruzione e professionalizzazione delle nuove generazioni, al sistema scolastico e formativo viene affidato il compito di educare i giovani ai valori condivisi della società, per farli sentire parte della propria comunità nazionale, per infondere fiducia nelle istituzioni,per spronarli ad agire nella legalità. Nell'adempimento di questo dovere si realizzano la funzione socializzante e la funzione politica del sistema scolastico.
N. Bottani sostiene che negli ultimi tempi, nei processi di trasformazione degli stati nazionali e con l'emergere di nuove e potenti agenzie di creazione del consenso pubblico, si sia molto indebolita la funzione politica del sistema scolastico. Questo fatto sarebbe all'origine delle difficoltà che le autorità incontrano nel dare coerenza e forza alle altre sue funzioni e determinerebbe un certo grado di ambiguità e di confusione nella gestione della pubblica istruzione. Sarà vero; ciò nonostante la scuola pubblica ha un senso se si propone di comunicare ai giovani l'identità culturale della propria nazione e i valori costitutivi che la distinguono rispetto ad altre. Non può, cioè, rinunciare a un compito, che deve e può assolvere ancora con grande efficacia.
Forse, più che un indebolimento della funzione politica del sistema nazionale di istruzione e formazione si è avuta una sua trasformazione, per l'attenzione che è dovuta, nel contesto della globalizzazione, alle culture e ai valori dei popoli con i quali si entra per vari motivi in contatto e si convive.
Globalizzazione e complessità definiscono oggi il contesto del sistema formativo e delimitano il campo di esercizio delle sue funzioni.
Non è un problema solo italiano. I sistemi scolastici europei incontrano in questo momento le stesse difficoltà. Costruiti sul principio di nazionalità, fanno fatica a misurarsi con una realtà politico-istituzionale, radicalmente modificata. Nella fase attuale della Comunità Europea il principio di nazionalità deve necessariamente ridefinirsi e tener conto anche dei cospicui gruppi etnici, provenienti da tutte le parti del mondo e propensi a radicarsi nelle società europee.
Sicuramente, anche se in modi tutti da comprendere e da esplorare, la società di riferimento per il sistema scolastico e formativo non è più solamente quella nazionale e locale. Ragione per cui bisogna attrezzare i giovani perché si orientino a vivere in un mondo che è diventato più piccolo, ma non più semplice di prima, e abbiano la consapevolezza che è la convivenza con la diversità delle culture il problema che devono affrontare nel loro futuro. Il sistema scolastico non può non avere delle finalità educative, se vuole orientare, motivare e promuovere nei giovani comportamenti positivi, sviluppare le loro capacità, guidarli alla conquista di significati per la loro vita.
L'educazione dei giovani a scuola ai valori condivisi in una società è la parte più significativa della socializzazione delle nuove generazioni e si distingue da ogni altro genere di educazione che possono avere nella vita, perché è formale e intenzionale. Essa predispone infatti la sequenza di avvenimenti attraverso cui gli individui in età di formazione apprendono valori, norme, simboli del sistema sociale di cui fanno parte.
La scuola è la prima esperienza di interazione tra nuove generazioni e istituzioni pubbliche. A questo tipo di educazione non si possono sottrarre energie e attenzioni se si vuole contrastare con una certa efficacia nel mondo giovanile la socializzazione mass-mediatica, quella dei pari e del tempo libero, che stanno mettendo in crisi la scuola, ma anche la famiglia, con le conseguenze che ne derivano.
Scuola e mondo giovanile da molto tempo sono in rotta di collisione. E' una situazione difficile, ma non disperata. E necessario, però, che la scuola recuperi la sua funzione educativa.

Educazione e integrazione
L'integrazione delle nuove generazioni al corpo della società, che si tenta di realizzare con l'educazione scolastica, non fa parte di una strategia di normalizzazione sociale, nè di una politica di controllo di alcune componenti sociali su altre, riottose all'ordine costituito, ma vuole essere un segno del grado di apertura e di civiltà di una comunità.
Si pensi alla situazione di ampie zone del nostro mezzogiorno: la scuola è l'unico agente di aggregazione e di socializzazione dei giovani. Che ne sarebbe di loro se la scuola non si proponesse di orientarli all'accettazione di alcuni principi e di alcuni valori universalmente accettati? Se non si dessero loro gli strumenti per un inserimento dignitoso nel mondo del lavoro?
Si pensi alle migliaia di giovani, figli di immigrati, la cui condizione sarebbe di permanente marginalità sociale, se la scuola ammettendoli, non li integrasse prima nella comunità scolastica e successivamente nella società in cui la sorte li ha collocati.
L'integrazione alla società è un principio di natura etico-politica: tradurla in organizzazione e in tecniche di lavoro non è facile e non è sufficiente, perché occorre dispiegare un forte convincimento morale che predisponga all'accettazione della diversità, all'apertura verso le novità e ad un impegno professionale senza riserve. Il processo di integrazione riguarda i ragazzi del disagio sociale, della deprivazione culturale e, per un aspetto più generale, i ragazzi fruitori acritici dei mass-media, di internet, del telefonino, etc.
L'integrazione, in questa accezione, non è un obiettivo facile da raggiungere. Tra l'altro, a rendere più complessa e difficile l'operazione, ci sono fatti nuovi che vanno adeguatamente considerati.
Negli ultimi tempi con la scolarizzazione di massa è saltato il collateralismo tra scuola e famiglia che nel passato rendeva facile il lavoro scolastico. Un tempo a scuola arrivavano alunni preparati al compito di studente, predisposti alle regole della vita scolastica. Oggi non è più così. Parte rilevante della popolazione scolastica proviene da ambienti sociali molto lontani dal sistema dei valori della scuola. Di fronte a questa novità la scuola incontra difficoltà a reinterpretare il proprio ruolo e a rivedere le proprie procedure professionali. A tutto ciò bisogna aggiungere il fatto che l'organizzazione del tempo scolastico diventa ogni giorno sempre più difforme rispetto all'organizzazione del tempo nel mondo del lavoro e del tempo vissuto nella famiglia.
La scuola italiana, pur con tutti i cambiamenti attuati, è lo specchio di una società che non c'è più. Tra le cause del malessere scolastico va annoverata questa insanabile contraddizione tra quotidianità e scuola, tra bisogni vitali della società e organizzazione scolastica.
Se anche funzionasse questa scuola piena di ore di lezioni, di discipline scolastiche, ma priva di spazi, di attività, di tempi di convivialità, non sarebbe in grado di soddisfare il bisogno di cura della persona, di attenzione a tutti gli aspetti non intellettuali della formazione dei giovani (sensibilità, affettività, valori, etc.).

Finalità educative
Il problema delle finalità educative presenta molte sfaccettature, perché è continuo il processo di riarticolazione dei valori "prevalenti" in una società che occorre tenere presenti e perché alcuni di essi non sono sempre identificabili con quelli protetti dalle leggi fondamentali di una comunità.
Questi ultimi vanno difesi e promossi, ma va difeso e promosso anche il pluralismo delle idee; pertanto la salvaguardia dei valori comuni di una società non deve trasformarsi in un'azione normalizzatrice, coercitiva della libertà di pensiero e di costume. La scuola deve avere i propri principi morali cui riferirsi per definire le regole che devono governare la vita quotidiana e la convivenza dei giovani che la frequentano: principi che vanno fatti rispettare e che vanno difesi con energia, contro ogni forma di trasgressione. A scuola si impara un mestiere e si impara a stare con gli altri,. Anzi se non si impara a stare con gli altri, è difficile imparare un mestiere.
La scuola come istituzione ha una propria identità, costituisce un mondo particolare che può vivere significativamente per i giovani se intorno agli aspetti della vita scolastica si riesce a sviluppare una consapevole attività educativa, ad organizzare un percorso di crescita dei giovani (ordine, puntualità, trasparenza, rispetto delle cose e delle persone, ascolto, equità, collaborazione, dialogo, spirito di sacrificio, primato del sapere e della cultura, sensibilità artistica, spirito critico, etc.).
La funzione educativa del sistema scolastico - che non si esaurisce nella valorizzazione dei molteplici aspetti prima indicati - non ha avuto il rilievo che avrebbe dovuto avere e in qualche misura è stata gratuitamente demonizzata da alcuni settori dell'opinione pubblica e del mondo della scuola, con tutte le conseguenze che ne sono derivate.
Nell'attuale momento, segnato dalla trasformazione e a volte dalla disgregazione delle tradizionali relazioni familiari, in presenza di fenomeni inquietanti che investono la condizione giovanile, la funzione "educativa" della scuola assume un'importanza almeno pari a quella conoscitiva.
Anzi, se si prescinde dalla cura e dalla promozione di alcuni valori condivisi, l'attività di istruzione rischia di essere inefficace e di non raggiungere i risultati sperati. Sono deboli, infatti, le motivazioni utilitaristiche che possono indurre le nuove generazioni a impegnarsi in un percorso di vita che richiede comunque sacrifici e rinunce.
Bisogna scommettere su alcuni valori condivisi, su alcune regole condivise. Non sarà la secolarizzazione dei compiti della scuola a darci generazioni di giovani coltivati nel sapere ed educati a sostenere e a sviluppare la civiltà di una società democratica e pluralistica. Come diceva M. Augè,in un'intervista a "Repubblica", bisogna ritornare al linguaggio delle finalità e ai miti del futuro, per cambiare profondamente l'educazione.
Manca, e a volte si teme, una teoria dell'Educazione e a volte ancora si pensa che non se ne possa parlare prima delle procedure e dei contenuti delle scienze dell'educazione o che addirittura si risolva soltanto in esse.
Si vuole occultare o sostituire lo spazio delle finalità nella vita scolastica. C'è molto lavoro sulle tecniche, sull'organizzazione didattica, sulla metodologia, sulla valutazione; ce n'è poco sui valori fondanti e condivisi dell'educazione dei giovani. L'educazione, in una società pluralistica, non potrà essere improntata ai valori dedotti da un'idea astratta dell'uomo, o da un'unica antropologia, ma ai principi di regolazione sociale che garantiscono il massimo di libertà per tutti e il massimo di rispetto altrui.
Ovviamente, in ragione di questa scelta vanno esclusi dall'educazione scolastica quelle idee e quei principi che sono contro i diritti inalienabili di libertà e contro l'inviolabilità della persona, che alimentano la violenza, l'odio verso la diversità, l'ingiustizia di qualsiasi specie.
E. Berti, in un articolo per la Nuova Secondaria di alcuni anni fa, sulla scorta di una acuta analisi del pensiero etico di Aristotele, chiamava endoxa i principi e i valori di questo tipo costitutivi di un'etica pubblica razionalmente costruita (in alternativa ai paradoxa). Sono principi e valori di comune accettazione, perché non possono non essere accettati se si vuole disporre di regole di riferimento, di principi di convivenza. Sono principi che si impongono per necessità e li si fa propri.

Funzione educativa e autonomia scolastica
Nello svolgimento della funzione educativa, la scuola esercita una forma di controllo sui giovani e in parte lo deve subire. Non può ritenersi indipendente dal sistema delle regole e dei principi della società a cui appartiene, che deve comunque e sempre tutelare spazi di libertà alla scuola, agli insegnanti, agli studenti. La scuola deve tenere conto delle esigenze della società ed essere coerente con altre istituzioni sociali, perché tramanda, sostiene e realizza norme, valori e tradizioni comuni della società.
Il grado di autonomia di un insegnante e di un'istituzione scolastica in questo campo è definito dalle finalità proprie del sistema scolastico e dalle leggi fondamentali della società; ma non può mancare. Se questo dovesse verificarsi, vorrebbe dire che ci sono pochi spazi di libertà e di democrazia.
Si parla di autonomia e non di dis-omogeneità istituzionale, di contraddizione permanente. La scuola, infatti, può integrare nei limiti in cui si integra nella società: integrazione, ovviamente, critica e non conformistica.
Nella società della conoscenza e delle continue trasformazioni e in un contesto di pluralismo, serve una scuola che si integri nella società secondo moduli ampiamente critici, che consenta alle persone che la frequentano di esserne protagonisti e di godere di ampi spazi d'azione, di pensiero e di ricerca. Nella società italiana è tempo di chiudere la stagione dell'antagonismo e di tutte le culture che puntano sulla disarticolazione delle istituzioni, piuttosto che sulla loro sinergia.
Nello spazio scolastico si possono giocare partite molto importanti per la promozione di valori e di cultura. Anzi per settori significativi di giovani si può attivare un processo di decondizionamento sociale e riequilibrare, nei limiti delle proprie risorse, le disparità sotto forma di capitale culturale (codice linguistico, valori, atteggiamenti, opportunità extrascolastiche) originate dall'ambiente familiare nel processo di socializzazione primaria.

prof. Raimondo Giunta








Postato il Domenica, 11 gennaio 2015 ore 08:00:00 CET di Michelangelo Nicotra
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