L'ho
ricevuto personalmente dall'Autore con una breve e graziosa dedica
e me lo sono conservato tanto gelosamente che non l'ho più rivisto,
come capita spesso per le cose più importanti della nostra esistenza.
Fino al giorno in cui ho dovuto sistemare le mie carte e ho ripescato
gli antichi oggetti della mia esperienza umana e intellettuale,
tra i quali, appunto, il pregevole romanzo di Mario Grasso "Fine
dell'adolescenza" pubblicato a Catania nel febbraio 1992. Una rilettura
del romanzo mi fornisce una nuova visione della
vicenda che si svolge tutta sul trenino della Circum-Etnea tra Catania
e Bronte, là dove insegna il protagonista, e che solo in apparenza
sembra una storia d'amore platonico tra il professore e la sua
collega, mentre in effetti è l'incompiuta storia della nostra esistenza
destinata alla sconfitta e impegnata a realizzare il suo fallimento con
obiettivi effimeri e sfuggevoli e con strumenti mentali
impotenti, capaci solamente di ripetere il già visto ed esperito, senza
alcuna possibilità di concludere interamente il percorso
esistenziale nel nuovo e di renderlo concreto, attuale e
riconoscibile. L'adolescenza perdura al di là del suo limite fisico ,ed
è in certo senso un bene per l'uomo moderno, in quanto esalta
l'immaginazione che non è sempre negativa.
La Circum-Etnea realizza, sia pure lentamente, il suo giro
completo dell'Etna da Catania a Giarre-Riposto e di nuovo a
Catania lungo la ferrovia normale, ma il professore può soltanto
immaginare ciò che vi è al di là di Bronte, dove si conclude
categoricamente il suo percorso, senza poter raggiungere la completezza
e la perfezione dell'intero circuito: "Eravamo al versante dei
pistacchi. Grande ricchezza tra le brulle lave che assorbono sole da
sud-ovest,per farne oro, dai confini di Adrano a tutta la pendice
annessa a Bronte. L'altro versante non rende pistacchi tra noccioli e
castagni, ficodindia e le macchie consuete di ginestre e di querce,
fino all'altopiano della Provenzana, ove roveti a griglie e muri
bassi rimarcano di attese stagionali vasti campi per sciatori che
spesso s'innevano fruttuosamente verso Natale ("Fine
dell'adolescenza",Catania 1992, pp.152-153). L'altro versante è
infrequentabile, giacché l'esistenza professionale del professore
si ferma ad un punto cruciale e non prosegue oltre a
concludere significativamente il suo giro. Quel versante infrequentato
dal protagonista può essere solo immaginato, ma non vissuto, né
concretamente esperito. L'esistenza è come una mela della quale
si può assaporare solo una metà, l'altra metà ci sfugge, poiché per noi
rimane indigesta. Possiamo insomma assaporare l'odore ed immaginare il
sapore di ciò che sta nell'altro versante dell'universo. Odore e sapore
di fichidindia e di ginestre mescolati con gli odori ed i sapori di
noccioli e castagni sono in ultima istanza l'altro da sé, l'altro
versante non esperito, il mondo noumenico inconoscibile, sconosciuto e
solo immaginato.
Sull'esistenza dei due versanti concordano il professore e la collega
che viaggia ogni giorno con lui sul trenino della Circum: "Quella volta
convenivamo, con tante riflessioni, sulla natura dell'altro versante,
lacerato da frequenti sbocchi di fuoco, quasi l'ombra pomeridiana del
cono vulcanico sui terreni orientali annullasse le fecondanti
radiazioni solari delle prime mezze giornate e richiamasse ignee
inondazioni."("Fine dell'adolescenza, p. 153). L'altro versante
presenta nell'immaginario un'altra luce e un'altra dimensione. Si
tratta di un'altra terra nel senso fisico e metafisico, di una visione
della fantasia che intravede in lontananza la terra promessa, ma che
non sa e non può e non vuole raggiungerla. E non è solo
l'adolescenza che si agita dentro il suo guscio senza poterne
uscire, ma è tutta l'esistenza che è tenuta dentro i suoi confini in
modo definitivo e tragico, contro il tempo e l'evoluzione nel tempo.
Qua i ritmi vitali portano subito alla decomposizione del piccolo
essere che è l'uomo, rinchiuso nella sua gabbia e incapace di liberarsi
o quanto meno di potenziare il suo "logos". E quando quest'uomo ritiene
di aver superato o di poter superare il limite fissato, allora gli
capita, come agli acesi, di sentirsi scaricare addosso il verso del
ragusano Giuseppe Bonafede: "Trunza di qualità Aciriali".
Acireale introduce una nuova problematica : raffinatezza e pudicizia
all'apparenza, volgarità e impurità nella sostanza. Ecco la ragione
della sua eterna inferiorità rispetto ad altre grandi città.Ecco
l'altra ragione della sua eterna adolescenza. Il binomio di forma e
sostanza non si ricompone tanto facilmente e forse a nessuno su questa
terra è dato di ricomporlo. Agli acesi meno che agli altri. Per loro la
bellezza è pura esteriorità barocca, e Acireale rimane una
paradigmatica "città di facciata" proprio per la "pompa baronale", il
suo non sporgere panni da asciugare, il suo apparente pudore, la sua
disciplina esteriore. E "per la sua grazia formale". che impone un
comportamento formalmente ineccepibile, ma sostanzialmente equivoco e
deludente. Qui domina la forma e tutto il resto non conta. La sostanza
è irraggiungibile e va a farsi benedire: "Anche per questo
prediligo Aci e per lo stile lento e ipocrita nel suo abito pacioso,
amabile perfino nei dolci più spregevoli. E poi quel giro d'aria tra
salotto e bordello d'alto rango! Per le pietre patrizie dei suoi anelli
svenduti, per le mani curate, la certezza costante dell'intesa tra i
meglio in casta chiusa, tra i pastori del gregge e ,alla fine per
quei pochi mulini a vento e matti erranti che ci sono ancora, tanti da
stare tutti in metà mano. Forse fui io tra quelli. E ora mi pento"(ivi,
p.61). Qui l'Autore vuol fare (e fa) dell'ironia e ironicamente
dice una grande verità: "La coscienza che urge è qui, la forma prima
del resto"(ivi,p.61). La condanna del barocchismo acese è chiara
e definitiva.Ma non si tratta solo di Acireale e degli acesi.
Lo scrittore acese, che vive e lavora a Catania, ha di Acireale un
ricordo sinceramente dolce quando ripensa all'ambiente naturale, al
mare, ai pescatori e alle loro voci lontane che sembrano "musiche
arcane" provenienti dai vicini limoneti : "Io di Aci ricordo sole e
zagare, strade grandi, pulite, e le chiese all'interno sfavillanti per
riverberi luminosi sfumati in caleidoscopi, complici certi vetri
colorati e di più le volte con pitture del Vasta e d'altri artisti
bravi meno noti[.:.] E il mare,che nelle notti di luna, sempre
rubiconda, rimandava dialoghi cifrati ad alta voce nel gergo dei
pescatori, dalle barche lontane, dialoghi e richiami che d'estate
giungevano nitidi fino al cortile della mia casa di Stazzo, ove,
bambino, restavo ad ascoltare i discorsi dei grandi fino alla
mezzanotte e spesso oltre. Quelle voci erano per me musiche arcane, le
immaginavo liturgie e certami tra divinità e non più provenienti dal
mare, distante qualche miglio, ma dalle prossime ombre dei folti
limoneti"(ivi, pp. 65-66). Il tentativo riuscito è quello di dare alla
prosa una consistenza poetica. E questa è la nota più intima e
qualificante dell'Autore, impegnato poeticamente a far emergere i suoi
ricordi di bambino vissuto tra pescatori e mare e barche e pesca del
tonno, che descrive in modo incomparabile: "Io rabbrividivo a ripassare
con la memoria la scena, come me l'avevano descritta altre volte, di
quel rito di morte del tonno, rito che nel mare di Aci non è mattanza
anche se certamente non è meno crudele. E in fondo al cortile della
grande casa di Stazzo[ ...] immaginavo anime in pena, di tonni
arpionati"
(ivi, p.67).
Mario Grasso è grande narratore innamorato dell'ambiente naturale che
va dal cono dell'Etna fino al mare, e il paesaggio etneo è una
componente strutturale evidente del suo racconto. Il resto è
"letteratura" e "sovrastruttura". Egli è un acuto osservatore e
dimostra una profonda competenza geografica nella descrizione puntuale
del territorio ed una notevole sensibilità artistica, naturalistica e
ambientalista: "Ogni mattina,nelle giornate limpide, il mio iniziale
pensiero, uscendo di casa, è di guardare verso il cono e le pendici
della Montagna". La Montagna è ovviamente l'Etna che nel suo altissimo
cono centrale si fa notare da tutte le direzioni, da tutte le città e
da tutti i villaggi. Essa accomuna tutti coloro che possono osservarla,
da vicino o da più lontano. Questa Entità è un punto di costante
riferimento e di sovrastante protezione, quasi una divinità
che tutela, al di là degli scoppi periodici d'ira per l'empietà
degli uomini.
Lo scrittore acese è anche un innamorato del mondo classico e della
mitologia. E dimostra pure in questo campo competenza raffinata e
conoscenza puntualissima, e notevole capacità divulgativa. La sua
erudizione sarebbe stata molto utile se impiegata opportunamente nella
didattica delle discipline umanistiche. La sua conoscenza è ampia e ben
consolidata, e non abbraccia solamente la letteratura, ma anche la vita
dei campi con Virgilio e quella del mare con Omero, e soprattutto si
giova di esperienza diretta. Sarebbe interessante fare
un'indagine sulla rete di cognizioni dell'Autore, ma questo non è
il luogo. Qui si può e si deve dire della sua profonda ed ampia
cultura letteraria e scientifica, e della straordinaria passione
osservativa per i fenomeni naturali: "Mi hai spiegato l'effetto
della brina[...]Nel quadrato dei ricordi c'era la brina in uno degli
angoli e i danni che ogni volta può arrecare agli ortaggi. O la
grandine. Sana e nobile gente di campagna ti aveva generata, allevata
attenta alle bizze del cielo, alla quiescenza della terra sempre pronta
a ricevere o subire, come a restituire in arcobaleni colori e odori"
(ivi, p. 115).
La collega del professore rimane una figura avvinghiata alla sua
adolescenza, inadatta a vivere la modernità adulta e immersa nel dogma
della sua fede antica. Ella rappresenta più da vicino un
personaggio tolemaico, un Simplicius che non intende affrontare il
moderno e fuoriuscire dalla fase adolescenziale. Che è la fase del
mito,del sentimento e della fede, la fase appunto che attraversano
necessariamente tutti gli umani prima di rafforzare la loro ragione:
"Gli uomini prima sentono, poi avvertono con animo perturbato e
commosso, quindi ragionano con mente pura", dice il Vico, ed in
effetti questo è o dovrebbe essere il percorso completo della Circum.
Ma né la donna,né l'uomo che la corteggia parlando di letteratura
sul trenino sembrano venir fuori dal loro stadio infantile,
sentimentale e mitologico. La loro professione non lo consente, la loro
esistenza è fatta di "poieticità". Pure l'uomo, che dice di aver letto
verso i sedici anni la scettica "Lanterna di Diogene" del
Panzini, non è prossimo alla piena maturità del moderno, anzi ne è ben
lontano. Egli si trova ancora nello stadio del sentimento, con un
maggiore tormento del dubbio che non è però "sistematico", bensì
empirico, intermittente ed approssimativo. Egli scopre "il pur si
muove", ma non osa svolgere tutto il movimento necessario per
affrontare il viaggio completo da Catania a Riposto e poi di nuovo a
Catania. Sarebbe troppo impegnativo, troppo rivoluzionario, troppo
velleitario e pericoloso : "Cacciatori di sogni. Impallinano la
fantasia che ci carica e sospinge verso il cielo dei nostri desideri
ridicoli"(ivi,p.119). La "poieticità" della nostra mente dovrebbe
potersi innestare nella piena razionalità del nostro esistere in un
mondo in movimento per cercare 'e ottenere l'approdo alla modernità.
In una citazione di Eugenio Montale che apre il testo ("giungeva
anche per noi l'ora che indaga") l'Autore intende sottolineare tutto il
valore che per lui assume l'età dell'indagine, del dubbio e della
ragione di fronte alle certezze incrollabili e indimostrabili
dell'immaginario infantile, ma la contraddizione permane poiché la
ragione adulta non può coprire e rimuovere del tutto la fantasia ed il
sentimento della precedente età del mito. L'attrazione del "logos" non
impedisce, insomma, al sentimento di produrre le sue immagini e di dare
la sua interpretazione del mondo., che sarà (ed è) in movimento, ma che
è esperito da noi come se fosse immobile. In fondo è l'immobilità
parmenidea che prevale sul movimentismo eracliteo e innalza la sua
bandiera vittoriosa. Il giro completo dell'Etna con la Circum non si
deve compiere per non svelare il legame profondo che attraversa la
realtà geografica da Catania a Riposto,e di tutta l'Isola. Di qui la
sorgente metafisica dell'ironia che denuncia amaramente i limiti
del proprio vivere e del vivere collettivo. Questo è il nichilismo
possibile, il resto è un oggetto inattingibile, come quel cacciatore
che diventa la preda di se stesso, quando il suo fiuto di
selvaggina lo costringe ad inseguire fino alle estreme conseguenze. La
ragione ha i suoi limiti programmatici e l'Autore lo sa perfettamente
se ironizza sulla "padania ratio", che è un aspetto decadente
dell'equivoca razionalità nordista:"Ricordo Fedro e quella insolente
favola tradotta in terza media,della maschera tragica. Ma non aveva
cervello, sentimenti,viscere d'uomo (ivi, p. 124). Dunque,l'uomo,
nordico o meridionale che sia, è visto nella sua completezza e non solo
nella astratta razionalità del "logos", e lo dice chi come l'Autore
sente la poesia come un dono divino, esprime una prosa poetica e non
rinuncia alla sua libertà immaginativa e creativa,anche per le
suggestioni che su di lui esercita la grande poesia antica e moderna.
No, l'adolescenza non è finita ancora per nessuno, e non può finire se
con essa gli uomini avvertono con animo perturbato e commosso per poter
poi ragionare con mente pura. Il giro completo della Circumetnea
non è stato ancora compiuto da nessuno, ed in fondo ciò è un bene per
il semplice motivo che esso richiederebbe una ragione "pura", quando
invece,nel mondo della modernità, ci troviamo in presenza di una
ragione malata ed impura. Nemmeno le dimissioni dall'insegnamento
possono segnare il distacco del professore dall'adolescenza. Egli è
troppo pieno di fantasia creativa per poter abbandonare le sue
lezioni,le sue emozioni e la sua adolescenza. Sembra che vi possa
riuscire, ma in realtà non vi può e "non importa capire come non
ci sia nulla da capire in questa vita, che per alcuni è amara, per
altri meno e grigia. Il non capire è sempre segno da tenere in buon
conto, sia nel caso della malizia quanto in quello
dell'imbecillità"(ivi p. 164).Ma anche in quello dell'intelligenza
pura, giacché questa non ha bisogno di penetrare l'oggetto
"pragmaticamente" e non attende di essere inquinata dall'interesse per
compiere il suo giro conoscitivo in modo completo. Alla completezza
dell'intendere si perviene attraverso la totalità dei passaggi dal
sentimento alla ragione e ritorno. Senza il ritorno
all'adolescenza non vi sarà intelligenza vera delle cose, ma solo
apprendimento meccanico, mnemonico e ripetitivo. L'uso
dell'intelligenza pura richiede la purezza immaginativa, emozionale e
sentimentale della fase creativa dell'adolescenza. E Mario Grasso
ne è del tutto convinto, nonostante il titolo del romanzo sembri
portare nell'opposta direzione. Bastava mettere un grosso punto
interrogativo e l'arcano si sarebbe subito svelato: "Fine
dell'adolescenza?".
prof. Salvatore Ragonesi
salvatoreragonesi@hotmail.com