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Riforma: Le buone parole della scuola: efficacia / efficienza

Redazione
Efficacia - Efficienza. Il modello della scuola efficace ed efficiente è quello che in un certo momento di fronte al fallimento dei grandi disegni riformatori a partire dagli anni '90 ha incominciato a mietere consensi tra i responsabili delle politiche scolastiche. In poche parole, dandosi per risolto il problema  dell'equità con l'irruzione in massa delle nuove generazioni nelle classi dell'istruzione secondaria e nei corsi dell' università e ritenendo  impossibile e socialmente ingiustificabile un aumento costante delle spese per l'istruzione, in un periodo di crisi fiscale dello stato sociale   si è cominciato a porre il problema di razionalizzare la spesa pubblica per l'istruzione, l'organizzazione del sistema scolastico e le stesse procedure didattiche per avere a parità di costi e di risorse impiegate migliori risultati. Ma quali?

Si è passati da una situazione in cui si pensava che ci fossero solo obblighi di fornire  mezzi e risorse alla scuola per espanderla ed arricchirla ad  una situazione in cui si è incominciato a  pensare che  la scuola debba essere obbligata a dare precise risposte in termini  di risultati socialmente apprezzabili, su cui commisurare la bontà dei finanziamenti e delle politiche scolastiche. Sono problemi che ad ogni buon conto non si possono eludere quali che siano le finalità di un sistema di istruzione e le risorse ad esso assegnate: raggiungere i risultati sperati e programmati, utilizzando nel modo più efficiente i mezzi disponibili.

E' insostenibile la pretesa che la composizione della spesa pubblica per l'istruzione non debba cambiare e debba solo crescere; nè c'è motivazione nobile che possa giustificare un uso poco accorto  dei fondi pubblici tanto faticosamente recuperati col sistema fiscale.

E'  anche vero, però, che senza adeguati  accorgimenti una politica scolastica concentrata solo sulla razionalizzazione dei costi e dell'impiego delle risorse o peggio ancora sulla riduzione dei fondi  può rendere a scuola inessenziali sia i problemi educativi, sia i problemi di democrazia, sia i problemi di giustizia.

Rimanendo in questo ambito di considerazioni è facile perdere di vista  le finalità che deve perseguire il sistema di istruzione; è facile dimenticare  che l'istruzione sia un bene comune che vada tutelato e reso disponibile per tutti.

Non basta che a  giustificare i costi che l'istruzione  comporta si sia cominciato a ragionare sulla loro convenienza come investimento produttivo, necessario alla costituzione e allo sviluppo del capitale umano di cui deve alimentarsi una società proiettata nella competizione mondiale dei mercati. Si sa come comincia e non dove finisce una valutazione del genere: può giustificare la sostenibilità e l'espansione del costo sociale dell'istruzione,ma può anche alimentare il convincimento di una stretta subordinazione del sistema d'istruzione e formazione a quello economico-sociale. Una tendenza (o una tentazione mai scopertamente allontanata) che ridurrebbe il valore della cultura e del sapere e che comporterebbe una strumentalizzazione della conoscenza a danno della ricchezza e varietà delle esigenze umane di sviluppo e di crescita della persona e della società.

IN QUESTO INTRECCIO DI CONSIDERAZIONI SI NASCONDE IL RISCHIO CHE LA SCUOLA PERDA  LA SUA AUTONOMIA. Perderebbe il controllo del proprio programma culturale, perchè accetterebbe una logica di adeguamento e di condiscendenza che la priverebbe di molte delle sue necessarie funzioni.

Il sistema di istruzione  deve  procedere ,invece, ad una logica di integrazione con la società e con altri centri e agenzie di formazione; fatto che è reso possibile solo se mantiene la capacità di proporre criteri di riferimento per stabilire la gerarchia dei valori e dei saperi ,di dettare codici di comportamento, di organizzazione delle procedure di apprendimento e regole proprie di comunicazione.

Alla scuola per essere servizio sociale, istituzione pubblica, luogo di trasmissione dei saperi e di formazione della cittadinanza non può bastare l'economia dell'istruzione; ad essa servono idee sul futuro della società e idee sull'umanità che vorremmo per i nostri giovani.

Il fine primario del sistema scolastico, la sua  redditività per usare il lessico economico, è la formazione, l'educazione dei giovani nella più ampia e varia accezione del termine.

Dal paradigma riformistico dell'efficacia e dell'efficienza derivano alcune tendenze e scelte delle amministrazioni degli ultimi 20 anni. Tra queste vanno  citate la riorganizzazione territoriale del servizio scolastico; la ridefinizione del management delle singole scuole, la razionalizzazione degli indirizzi di studio e dei gradi di istruzione, la razionalizzazione degli obiettivi pedagogici, la misurabilità dei risultati scolastici.

Ognuno di questi argomenti merita una trattazione adeguata e separata, che andrebbe  fatta in altra sede ma senza perdere di vista il fatto che derivino da un unico impulso, da un unico disegno di politica scolastica.

L'AUTONOMIA SCOLASTICA è uno dei cardini del paradigma dell'efficacia / efficienza, ma anche il tema delle maggiori preoccupazioni sulle sorti del sistema d'istruzione. Con l'autonomia si crede di risolvere il problema dell'inefficienza di un'organizzazione che non riesce più a dare prestazioni di servizio di qualità a milioni di persone e ad amministrare centinaia di migliaia di dipendenti, ma anche quello di flessibilizzare i curricoli per dare spazio alle problematiche locali:momento d'incontro tra razionalizzazione e capacità di ascolto;tra efficienza, efficacia e partecipazione.

Con l'autonomia il territorio non è più un ambito di colonizzazione culturale da parte di uno stato nazionale che vuole determinare valori e saperi per tutti, ma un partner educativo,come luogo specifico di conservazione di culture, di valori, di simboli e di saperi che vanno valorizzati e non più censurati e sviliti come nel passato, anche perchè determinanti nella condizione e nei vissuti degli alunni.

L'autonomia rappresenta una mediazione tra  le esigenze di unificazione, di assimilazione nazionale e le emergenze locali, che possono essere di natura sociale, culturale, economica. Con l'autonomia la scuola da cinghia di trasmissione, da strumento di conformità diventa spazio eletto di dialogo e di confronto culturale e valoriale. La scuola si può arricchire perchè si possono recuperare gli elementi di continuità e di contiguità col mondo circostante; la scuola può diventare luogo di  ricostruzione della memoria e delle tradizioni locali, può aiutare a fare emergere negli alunni la consapevolezza della propria appartenenza ad una comunità e della propria identità.

Il legame col territorio che si vuole realizzare con l'autonomia è un supporto al ruolo educativo della famiglia; è speranza di una nuova e più fruttuosa collegialità: ci sono problemi educativi che sono "locali" e a questi bisogna dare attenzione ed ascolto. L'autonomia è un'idea che funziona se funziona il rapporto tra singolo istituto, amministrazione centrale ed ente territoriale (comune, provincia, regione). Allo stato attuale si è ben lontani dai risultati sperati sia per le scelte del ministero (abolizione di ogni vincolo intermedio tra scuole e direzione regionale) sia per l'incapacità dell'ente locale di sapere rappresentare le esigenze di formazione e di istruzione delle comunità amministrate e di sostenerle con un disegno razionale e condiviso di sviluppo, sia per l'incapacità delle scuole anche quando sono in rete di potere definire e soddisfare da sole i bisogni di formazione di una comunità e di costituirsi come partner credibili con gli enti locali e anche con le realtà economiche, sociali e culturali di un territorio.

DIRIGENZA SCOLASTICA. Ad una scuola autonoma si è fatto corrispondere un dirigente scolastico con più poteri e un regolamento di contabilità più flessibile rispetto a quello del passato per rendere più agevole e rapida la realizzazione di una decisione. L'esiguità dei fondi disponibile si è premurata di ridimensionare le ambizioni di questa scelta. L'incongruenza di queste innovazioni sta tutta nell'avere privilegiato gli aspetti generali e amministrativi della funzione direttiva a danno di quelli specifici  di controllo epistemologico e pedagogico del curriculum come avveniva con i "dismessi" presidi di un tempo. Succede allora che per un'autonomia che qualcosa concede in termini di integrazione dell'offerta formativa si prefigura un dirigente che può saper fare tutto e non padroneggiare l'ambito culturale e professionale di un curriculum, dei cui risultati  sarebbe tenuto a rendere conto. A questa intrinseca debolezza si affianca il fatto che nella scuola le figure intermedie tra dirigente e corpo docente non abbiano un preciso statuto professionale e dipendano dall'aleatorietà o peggio ancora dall'arbitrarietà delle scelte collegiali o dirigenziali.

RAZIONALIZZAZIONE DEGLI INDIRIZZI DI STUDIO E DEI GRADI DI ISTRUZIONE. E' stata un'esigenza diffusa nella società e tra gli operatori della scuola che si procedesse, come è stato fatto con i nuovi regolamenti degli ultimi anni sul riordino dell'istruzione secondaria,  ad una semplificazione dell'aggrovigliato panorama di indirizzi e di corsi di studio che si era venuto a creare dopo il DPR 419/74 sulla sperimentazione. Era il  risultato di un certo modo di intendere e di praticare il riformismo a scuola, in ragione del quale si è proceduto ad una crescita costante di ore di lezioni, di discipline, che ha determinato una proliferazione dei curricoli e delle proposte formative, che a volte aveva fondamento solo nell'immaginazione dei collegi di docenti e spesso senza alcun riferimento alle esigenze del territorio e degli alunni.

Permane ancora dopo il riaggiustamento del sistema scolastico il problema del ruolo dell'istruzione professionale, costituitasi nel tempo nel sistema statale d'istruzione quando ancora le regioni non esistevano e mantenuta in esso per l'evidente incapacità di molte amministrazioni regionali di darle respiro, funzionalità, organizzazione e qualità. Nonostante le modifiche curriculari e l'impegno a darle una forte e distinta fisionomia l'istruzione professionale è ancora relativamente diversa rispetto a quella tecnica; non solo, ma non si riesce a delineare in modo corretto e funzionale il rapporto  che deve avere con la formazione regionale.

A rigore il sistema duale di istruzione e formazione sarebbe più razionale, ma per l'accettazione di questo modello sorgono le obiezioni fondamentali dell'inerzia e dell'incapacità  di gran parte delle regioni e la tradizione seria degli istituti tecnici statali, una specificità del sistema scolastico italiano, che dopo la breve parentesi dell'era morattiana nessuno si sente più di cancellare ( ..licealizzandola ). Sempre in funzione di questa esigenza di efficienza e di efficacia si è decisi di dare sistematicità all'istruzione terziaria,nè scolarizzata, nè accademica, istituendo gli istituti tecnici superiori e rimodulando gli IFTS. La preparazione finale  dell'istruzione secondaria nel terzo millennio necessariamente si realizza nel livello della professionalità di base, perchè ragionevolmente  si assegna al nuovo segmento dell'istruzione terziaria il compito di mettersi in sintonia con i bisogni di competenze del complessivo sistema economico.

E' in qualche modo un corollario di questa esigenza che contestualmente si sia proceduto ad un riassetto delle sedi scolastiche per potere garantire  investimenti adeguati nelle tecnologie e in dotazioni di alto livello (biblioteche, laboratori, spazi aperti, mense etc) e per disporre di un numero sufficiente di alunni per classe e per sede scolastica. L'eccessiva dispersione eleva il costo d'impianto e di gestione, anche se per certi gradi di istruzione la prossimità della sede garantisce un migliore servizio alla persona e tutela il diritto alla formazione meglio di qualsiasi "ricchezza tecnologica".

Le modalità scelte per razionalizzare la rete scolastica a volte hanno  provocato un deterioramento organizzativo e gestionale della vita scolastica e l 'abbassamento della qualità dei processi di apprendimento e spesso non hanno avuto altra giustificazione se non quella del raggiungimento del parametro numerico per l'assegnazione o il mantenimento dell'autonomia ad un istituto scolastico. Nell'istruzione primaria  dopo le indicazioni nazionali sul curriculum non ha più senso mettere insieme scuole medie con scuole superiori o con altre scuole medie. Sarebbe opportuno procedere ad accorpamenti verticali dalla materna alle media.

RAZIONALIZZAZIONE DEGLI OBIETTIVI PEDAGOGICI. Negli anni che abbiamo preso in considerazione si è creato un movimento d'opinione che ha alimentato un 'esigenza di precisione e di efficacia nelle attività formative per potere disporre di risultati d'apprendimento certi e non aleatori. Sia nella pedagogia degli obiettivi che nel più recente approccio per competenze è evidente l'accoglimento della sollecitazione a rendere rigoroso il procedimento di insegnamento, a esplicitare in termini di compiti precisi, accessibili, osservabili i risultati d'apprendimento,a selezionare e a standardizzare gli elementi del sapere congrui con questo scopo e a individuare i modi esatti per valutare la corrispondenza tra ciò che era atteso e ciò che viene accertato. E tutto questo in un quadro rigoroso di contingentamento dei tempi per ogni sequenza d'insegnamento, comunque viene la voglia di nominarla (unità didattica, unità d'apprendimento, modulo, unità formativa capitalizzabile etc.). Sia la pedagogia per obiettivi, sia l'approccio per competenze delineano un progetto di razionalizzazione dell'organizzazione didattica; la pedagogia degli obiettivi, in particolare, lascia in eredità a qualsiasi altro indirizzo che voglia cimentarsi con il paradigma dell'efficacia e dell'efficienza una teoria generale dell'azione che non propone alcun valore se non quella dell'efficacia operatoria e per questo esalta i valori dell'operazionalità delle mete educative.  L'approccio per competenze svolge la sua missione razionalizzatrice ponendosi come funzione tecnica di mediazione, come interfaccia  tra esigenze del sistema produttivo e istituzioni formative.

Ma è davvero razionale il progetto di potere dominare e controllare l'insieme delle relazioni che si instaurano nel rapporto educativo? La razionalizzazione completa delle relazioni pedagogiche comporta la cancellazione del faccia a faccia in classe, la disumanizzazione in un mestiere che più umano non ce n'è. Programmare le azioni educative non è programmare la produzione di un bene industriale; non ci vuol molto a capire che il percorso formativo non è rettilineo, senza scarti e resistenze e che senza questa consapevolezza si rischia di rasentare la follia (D. Hameline). In pedagogia bisogna rassegnarsi."E'' impossibile aprire il registro delle certezze" (Ph.Meirieu).

MISURABILITTA' DEI RISULTATI SCOLASTICI. Dire qualcosa con certezza sui risultati d'apprendimento è stato l'obiettivo perseguito per decenni dalle varie correnti di docimologia che hanno coltivato il sogno della misura esatta nella valutazione. Si è cercato di risolvere il giudizio di valore nel giudizio di realtà, ma ridotta a poche o addirittura ad una sola dimensione; si è voluto espellere dalle operazioni di valutazione la dimensione ermeneutica, quantificando  ciò che non è assolutamente  e sempre ponderabile. Il raggiungimento di questo obiettivo è  ritenuto funzionale per migliorare le  decisioni sull'apprendimento degli alunni, per migliorare la qualità dell'insegnamento, per dare garanzie sulla credibilità dei titoli di studio rilasciati. Disporre di valutazioni esatte per potere regolare sia i processi di apprendimento;ma anche per potere regolare il sistema di istruzione nel suo insieme. Un rigoroso e puntuale  sistema di accertamento dei risultati di apprendimento viene ritenuto il fondamento necessario di tutte le azioni di politica scolastica; sorregge il bisogno di informazione sul funzionamento del sistema scolastico,ai fini di una considerazione dell'efficacia e dell'efficienza degli investimenti pubblici destinati ad esso. Qualsiasi società non può non chiedersi se un sistema di istruzione funzioni e quale sia il contributo che ha dato e deve dare alla costruzione della società della conoscenza e all'economia della conoscenza. In questo particolare momento e soprattutto nel sistema delle autonomie scolastiche si è imposta la necessità di una valutazione esterna alla scuola che affianchi e sostenga le azioni necessarie di valutazione interna. Per essere accettata la valutazione esterna bisogna legare alle funzioni di verifica e di controllo interventi vincolanti di assistenza, sostegno e sviluppo, estranei ad ogni modo ad una logica di premi e di sanzioni. Prima o poi deve essere accettato che ad un possibile, superficiale giudizio proveniente dall'esterno non si può contrapporre  una incerta autodifesa tutta giuocata sull'autoreferenzialità impressionistica degli addetti ai lavori (G. Gerini).

La scuola non è un'azienda,ma senza dubbio è un'organizzazione che deve essere valutata nelle sue procedure e nei suoi risultati. Con l'autonomia la valutazione interna e quella esterna sono un dovere e un servizio per tutti: operatori, utenti, istituzioni.

L'inefficienza del sistema scolastico e formativo con la quale si convive comporta danni sociali di una certa gravità: costi elevati senza rendimento, modeste opportunità per coltivare e sviluppare le proprie attitudini,incongruenza con le esigenze della società. L'aggravamento e la durata delle difficoltà e delle inefficienze della scuola rischiano di mettere in discussione l'esistenza dell'istruzione pubblica e rendono incerta la sua difesa e la sua salvaguardia.

Prof. Raimondo Giunta








Postato il Venerdì, 21 novembre 2014 ore 07:45:00 CET di Nuccio Palumbo
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