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Umanistiche: Guido De Ruggiero e la disperata ricerca del Trascendente

Redazione
Stupisce che il nome di Guido De Ruggiero (Napoli 28 marzo 1888 - Roma 29 dicembre 1948) non sia apparso nelle grandi storie della filosofia che si sono compilate in Italia negli ultimi cinquant'anni, da quella della Garzantia cura di Ludovico Geymonat a quella della UTET a cura di Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero ed a quella della Bompiani a cura di Giovanni Reale e Dario Antiseri, e che sia apparso solo di passaggio in qualche enciclopedia filosofica. Capisco che non tutti gli autori possono trovare spazio nelle compilazioni monumentali, ma sorprende che il primo realizzatore italiano di una intelligente e onesta storia della filosofia in tredici volumi editi da Laterza dal 1918 al 1948 non venga nemmeno menzionato, tranne che in brevi note bibliografiche, dai suoi più giovani colleghi, almeno per la straordinaria fatica storiografica da lui sostenuta, tutta condotta in prima persona e con grandissimo dispendio di energie intellettuali e fisiche che probabilmente ne hanno provocato la morte prematura. Egli, insomma, non ha una adeguata collocazione da nessuna parte come storico della filosofia e nessuno ha voluto assumersi la responsabilità di parlarne in modo criticamente adeguato. Lo ha fatto in modo piuttosto polemico Renzo De Felice, ne hanno scritto in termini politici Norberto Bobbio e Luigi Salvatorelli e ne ha discusso con tono amichevole Luigi Russo in un delicato: "Ricordo": "Ora che ne scriviamo, in attesa che qualcuno più competente possa parlare dello storico della filosofia, ci giova rendere almeno un qualche omaggio non solo all'amico, ma anche all'uomo di schietti sentimenti laici, che non erano mai venuti meno in lui, tanto da sdegnarsi che altri potessero pensare che egli volesse tornare ad amoreggiare con la trascendenza cattolica" (in "Il dialogo dei popoli", Parenti, Firenze 1953, p.252). In modo più pertinente filosoficamentene ha scritto Eugenio Garin con una lunga e bella Prefazione alla nuova edizione della sua "Storia del liberalismo europeo", nella quale egli spiega sinteticamente cos'è il Trascendente deruggieriano: "In certo senso lo svolgimento di tutto il suo pensiero potrebbe venir presentato come una sorta di ritorno ideale verso le giovanili preoccupazioni kantiane di una assolutezza di valori da salvaguardare oltre il flusso della storia" (in Prefazione a G. De Ruggiero,"Storia del liberalismo europeo", Feltrinelli, Milano 1977, p.VIII ).

Il De Ruggiero è stato un uomo di fede liberale maturata nell'esperienza di vita politica e negli studi appassionati della filosofia antica e moderna. Egli si è innamorato dell'illuminismo, del quale ha dato, tra i primi studiosi, una interpretazione singolare, ponendo la centralità di Kant, teorizzando la religiosità del razionale e facendo una pubblica professione di fede illuministica: "Si può vedere di qui facilmente quale sia la funzione della ragione. Essa domina dal di fuori e dall'alto gli ingredienti del suo mondo, senza intrinsecarsi con essi, come la mente dell'orologiaio domina il complesso delle ruote, dei perni, delle molle del suo ingegnoso meccanismo. Ecco perché molti di noi (e, prima di noi, molti degli stessi illuministi) non riescono facilmente a scoprirla, quando concentrano la loro attenzione sull'opera piuttosto che sull'artefice. Quest'ultimo è il deus ex machina omeglio il deus extra machinam, che tutto spiega senza essere a sua volta spiegato, non diversamente dal suo progenitore teologico. E la sua razionalità si manifesta nell'ordinamento armonico e regolato delle parti di cui consta la sua opera [...] Perciò più in alto si leva l'artefice, cioè più la ragione umana tende a confondersi con la ragione divina, meglio s'armonizza e s'integra la visione totale delle cose" (G. De Ruggiero,"L'età dell'illuminismo", Laterza, Bari 1968, p.11)Volgere la storia della filosofia verso la teologia era ed è un atto spericolato, si sa, e dichiarare la propria propensione religiosa in filosofia è un'attività altrettanto coraggiosa La sua posizione lo conduce per questo all'isolamento perché così facendo egli si allontana dall'attualismo di Giovanni Gentile e dallo storicismo di Benedetto Croce, e dai loro rispettivi amici, epigoni e allievi. Di qui nasce forse la prima radice della disattenzione filosofica nei suoi confronti.

De Ruggiero è e rimane uno spirito orgoglioso, indipendente e libero prima davanti al fascismo e poi nel regime democratico, e persino di fronte ai suoi stessi compagni di lotta nel corso della lunga opposizione alla dittatura e della breve resistenza al nazifascismo all'interno del partito d'azione e come ministro della Pubblica Istruzione nel governo Bonomi dal giugno al dicembre 1944, dalla cui partecipazione però egli non riceve moltissime gratificazioni: "Data la difficoltà della situazione e la brevità della sua permanenza al ministero,i risultati conseguiti furono però tutto sommato modesti e ancor minori furono le soddisfazioni derivanti dal suo lavoro; sicché, sopravvenuta ai primi di dicembre dello stesso anno la crisi del governo, il De Ruggiero fu ben lieto che la non partecipazione degli azionisti al successivo lo liberasse dagli impegni governativi e gli permettesse per un verso di cominciare a tornare ai suoi studi e per un altro verso di dedicarsi ad altre forme di impegno più congeniali al suo modo di intendere la politica"(Renzo De Felice, "De Ruggiero Guido", in Dizionario Biografico degli Italiani, vol.39, Treccani1991).
La scarsa fortuna storiografica di Guido De Ruggiero è dovuta soprattutto, a parer mio, all'aspro giudizio di Croce nella dura lettera di contestazione pubblicata da "La Nuova Europa" nel febbraio 1945 e, dopo la sua morte, il rifiuto di parlarne,da parte dello stesso Croce, per "scarsa consistenza filosofica". Bisogna aggiungere,però,che anche i giudizi del De Ruggiero nei confronti di Croce sono sprezzanti e quasi mai puntuali e contestualizzati. Questi giudizi non tengono conto invero del percorso compiuto dallo storicismo crociano, che invece viene da lui assimilato senz'altro a tutto lo storicismo, compreso quello tedesco responsabile di giustificazionismo storiografico e di relativismo morale: "Alle osservazioni contenute nei capitoli precedenti il Croce ha cortesemente risposto sul giornale stesso che le aveva pubblicato (La Nuova Europa), riconfermando il suo storicismo. Sento perciò il bisogno di chiarire e precisare, con questa breve replica, il mio punto di vista. Io avevo notato che la visione storicistica è troppo retrospettiva: essa conclude una fase della realtà storica, ma non ne apre una nuova; perciò essa sacrifica alla storia fatta la storia ancora da fare [...] Questa risposta non mi appaga, perché mi pare che non superi l'istanza critica che avevo proposta [...] Ma chi è che può giudicare la storia passata in questo suo contrasto di ombre e di luci, di soluzioni realizzate e di problemi aperti, di razionalità e d'irrazionalità? Solo lo spirito che in sé trascende la storia, che nella sua infinità sente l'inadeguatezza di tutte le sue esplicazioni finite, che alla sua potenza mai compiutamente espressa attinge la capacità di esplicazioni nuove" (G. De Ruggiero,"Replica", in "Il ritorno alla ragione", Laterza, Bari 1946, pp.37-39).
Chi cerchi di ricostruire e di comprendere la natura dello storicismo di Benedetto Croce non può in effetti disinteressarsi dell'ultima fase della sua elaborazione speculativa e deve tener conto dei suoi esiti estremi, dei suoi avanzamenti e delle sue autorevisioni fino alla morte avvenuta nel 1952. Lo nota per primo Carlo Antoni nel Commento a Croce del 1955 e nella Restaurazione del diritto di natura del 1959. In particolare,in quest'opera lo studioso triestino distingue lo storicismo di Croce da quello tedesco di Meinecke che tutto giustifica,tutto travolge e tutto relativizza e che trova in Hegel il suo massimo profeta e teologo, difende Croce dall'accusa deruggieriana di ridurre la storiografia ad uno strumento "giustificazionista" e ritiene che il De Ruggiero vede nello storicismo crociano solo i fattori che condizionano l'evento anziché la necessità di superamento dei limiti e delle contraddizioni della storia. In realtà, la concezione crociana presenta l'intelligenza della storia come un impegno tormentoso e pieno di responsabilità nel tragico corso degli eventi umani. Croce, insomma, non è lo storico della pacificazione a buon mercato e della concordia semplicistica.

Antoni difende il Croce dagli attacchi del De Ruggiero e al tempo stesso, a differenza di altri, apprezza lo sforzo di questi nella ricostruzione del pensiero e dell'opera di Hegel nell'ultimo volume della sua "Storia della filosofia", dato alle stampe nel 1948 (poco prima di morire improvvisamente a seguito di attacco cardiaco), nel quale la critica rivolta al filosofo di Stoccarda muove dalla stessa profonda esigenza metafisica che ispira la sua opposizione allo storicismo crociano: "Ma il paradiso filosofico hegeliano, essendo terrestre e non celeste, è come un terso cristallo, dal quale traspare tutto il movimento delle cose che si compie all'aria libera [...] Anche questa è indubbiamente un'attività, anzi un'alta e degna attività ; ma ne tarpa le ali appunto quel compito retrospettivo che Hegel le affida e che la fa assomigliare al lavoro autobiografico a cui si dedicano di solito gli uomini d'azione dopo che hanno concluso la loro esistenza attiva. Non è questa per noi la funzione della storia della filosofia o della storia in genere [...] Ma nella concezione di Hegel la storia della filosofia non è in funzione del nuovo filosofare, al modo stesso che la storia in genere non è in funzione della nuova vita, esse chiudono e non aprono l'orizzonte umano" (G.De Ruggiero, "Hegel", Laterza, Bari 1958, p.274).
L'insoddisfazione del De Ruggiero per l'assenza in Croce, come in Hegel, di ogni slancio ideale e per la "contemplazione" della razionalità del già realizzato, che dà luogo, per esempio, alla stesura di una "Storia d'Italia dal 1871 al 1915" in cui il protagonista, Giolitti, viene da Croce beatificato come il rappresentante più alto del liberalismo e il migliore sistematore di tutti i tasselli della realtà socio - politica italiana, senza mostrarne il dato irrisolto, cioè quelle contraddizioni che avrebbero poi determinato l'irresistibile ascesa del fascismo, è indigesta, anche se in effetti questa è un'interpretazione comune e abbastanza consolidata, ancor oggi. Rimane certo il capolavoro crociano di una storia etico-politica perfetta sotto il profilo formale, e la nostalgia di un'epoca d'oro nella vita nazionale, prima della realizzazione della barbarie fascista; ma l'accusa deruggieriana è esatta almeno per quanto riguarda certe pagine di questa "Storia d'Italia" compilate all'insegna dell'ottimismo. Il De Ruggiero avverte un senso di fastidio nella storiografia crociana, e ciò corrisponde al vero, se ci si sofferma su alcuni capitoli, che tuttavia non impediscono al libro di essere mirabile sotto certi aspetti e astutamente apologetico dell'età giolittiana, se si pensa che esso viene pubblicato nel 1928, cioè ormai in piena dittatura fascista.
 
La vocazione giornalistica ed elegante del De Ruggiero è decisiva anche per la sua produzione filosofica, ma gli procura l'ostilità della filosofia cattedratica e paludata che pretende l'austerità tradizionale della lingua e della scrittura teoretica. Non è un caso se egli tratta prima sul settimanale "La Nuova Europa" molti argomenti che, raccolti in volume, costituiscono il contenuto del Ritorno alla ragione, l'opera sua più importante e preziosa per comprendere il senso vero e inquieto della critica allo storicismo e specialmente a quello di Benedetto Croce: "Questo si presentava come una visione troppo retrospettiva del reale; esso concludeva una fase del mondo, senza aprirne una nuova; e in quella fase esso assorbiva e scioglieva senza residui, col suo realistico immanentismo, quei valori eterni dello spirito, la cui relativa trascendenza di fronte alla realtà empirica avrebbe potuto creare un fecondo squilibrio capace di schiudere le porte del futuro" (G. De Ruggiero,"Il ritorno alla ragione", cit., p.14). Mancherebbe quindi allo storicismo del Croce l'idea di una distinzione di piani della realtà, quella storica e quella metastorica, quella fisica e quella metafisica.

A parte (come si è visto) la critica più o meno puntuale nei confronti dello storicismo crociano,vi è nell'autore della fortunata "Storia del liberalismo europeo"del 1925 una fortissima inquietudine esistenziale che lo spinge oltre l'idealismo e lo storicismo, nel cielo di una metafisica di nuovo conio che gli fa intravedere lo scontro dialettico e l'immane conflitto di immanenza e trascendenza e l'irriducibilità di una Ragione illuministica che si solleva con lui di gran lunga al di sopra degli eventi storici grazie ad un'insofferenza ontologica superiore al divenire immanente delle cose empiriche: "Ma, d'altra parte,la trascendenza della ragione illuministica ha un pregio che l'immanentismo storico rischia di annullare. Essa si solleva a una regione ideale, dove tutto ciò che nello spirito vi è di eterno trova il suo rifugio e la sua meta, donde il fuggevole divenire si giudica e si misura con senso di distanza e con capacità di dominio, perché non si è travolti nel suo gorgo. Ivi sorgono le insofferenze verso una realtà sempre inadeguata all'essenza razionale dell'uomo, ivi si coltivano i nobili e generosi ideali,che sono sprone incessante all'azione" (ivi, p.28). Il "senso di distanza" della Ragione rischia di sorpassare persino la metafisica kantiana della Critica della Ragion Pratica, giacché sposta fuori del mondo empirico, molto al di là di esso, la razionalità costitutiva dell'ordine naturale e umano. Si tratta di un modo originale di intendere l'illuminismo.

Nella critica all'immanentismo(storicista e non)si può misurare la vicinanza del De Ruggiero alla filosofia di Leibniz e cogliere la sua stretta adesione al pensiero morale di Kantla cui presenza non viene mai rimossa. E qui sta forse la sua debolezza teoretica, cioè nel volersi contemporaneamente mantenere fedele all'idealismo: "Qualche lettore disattento o superficiale ha potuto interpretare la mia partecipazione a questo lavoro di revisione idealistica come una sconfessione del mio passato, quasi che il compito di un idealista o di un fautore di qualunque orientamento di pensiero dovesse essere quello di cristallizzarsi nelle posizioni già conseguite e non piuttosto di temprare il proprio pensiero al fuoco di esperienze sempre nuove di vita e di dottrina. Ma al lettore di mente aperta e ben disposta può sembrare quasi superfluo che io riaffermi qui ancora una volta la mia fede idealistica" (Prefazione alla prima edizione del 1933 di "Filosofi del Novecento", quarta edizione, Laterza, Bari 1940, p.VI ).

L'attitudine fondamentale del De Ruggiero è dunque quella di derivazione kantiana che lo spinge a cercare e trovare la forza capace di emergere dalla terrestrità opaca dell'immanenza e di affermare la trascendenza dei valori e della stessa Ragione, predisponendo la soggettività verso la regione dell'eterno e del divino che non si può mescolare con l'empirico. E ciò definisce, come in Kant, il senso autentico e imprescindibile dell'umano: "Ciò che infatti costituisce il nostro valore spirituale è un'attività in sé unita e raccolta che sorpassa il tempo, per il fatto stesso che lo pone e che contiene in sé la potenza di tutto ciò che in esso si distribuisce e si svolge" (G. De Ruggiero, Ritorno alla ragione, cit., p.24).
La fede nel Trascendente impregna di sé e illumina il percorso mentale e la ricerca storiografica del filosofo napoletano. Senza eternità, per lui, non può esistere temporalità, né può darsi progressione storica. L'illuminismo è perciò la grande scoperta deruggieriana: esso è il secolo della Trascendenza anziché l'età dell'ateismo e dell'immanenza, cioè il secolo che conduce la Ragione nelle alte sfere della metafisica, di cui Kant, Rousseau e Leibniz sono gli spiriti magni. Il Trascendente rimane l'ineludibile oggetto della storia e della ricerca filosofica che trova in ogni tempo, a partire dall'antichità, la vittoria dello spirito sulla materia: "Compito della filosofia di tutti i tempi è stato e sarà sempre di fissare questa essenza permanente che cela il segreto del divenire e che forma il presente eterno. Togliete quest'ansia dell'eterno ed anche i tempi si appiattiscono e si vuotano, e il divenire s'immobilizza nel divenuto"(ibidem). Così il liberalismo del De Ruggiero diventa lo strumento metodologico per reinterpretare i fatti storici e comprendere l'incompreso.

prof. Salvatore Ragonesi
salvatoreragonesi@hotmail.com








Postato il Sabato, 08 novembre 2014 ore 08:30:00 CET di Michelangelo Nicotra
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