La riduzione
dell'intelligenza umana alla sola attività razionale e
intellettuale è un'operazione che si sviluppa a partire dagli inizi
della filosofia greca e subisce un'intensificazione col neoplatonismo e
col cristianesimo, impegnati a purificarla di tutti gli elementi
emotivi e sensoriali.
Per impulso di scelte dal sapore ascetico si è venuto a costituire un
paradigma di intelligenza, che è stato piegato a meraviglia alle
esigenze delle stratificazioni economico-sociali, ai valori e ai
convincimenti particolari delle società pre-industriali.
Per il prestigio datogli da così grande e lunga tradizione di pensiero
e per la sua concomitanza con gli interessi delle classi
dirigenti, questo modello di intelligenza pura nel corso della
storia è stato fatto proprio da tutti i sistemi scolastici.
Un paradigma elitario e vivo anche quando altri valori,
altre classi sociali, altra organizzazione del lavoro e delle attività
economiche hanno messo radici nelle nostre società. Un paradigma
che non si riesce a smontare, nonostante la consapevolezza
acquisita dell'esistenza e del grande valore delle
varie forme dell'intelligenza umana, che hanno arricchito e
arricchiscono con i propri risultati e con le proprie fatiche la vita
dell'uomo.
Da questo modello di intelligenza si è voluto dedurre una
gerarchizzazione sociale delle occupazioni umane, che ha
voluto collocare al primo posto l'attività intellettuale e
all'ultimo posto qualsiasi attività pratica, che avesse a che fare con
il lavoro manuale, con il mondo commerciale ed economico e anche
con molte delle esperienze artistiche, come se fossero prive di
intelligenza o ne facessero un uso sconveniente.
Nel prolungamento storico di questo pregiudizio sociale, che assegna il
primato nelle attività umane, sempre e comunque,
all'intelligenza "speculativa e razionale", un ruolo importante hanno
avuto tutti i filoni del razionalismo, Cartesio e il cartesianesimo,
ricollegabili peraltro alla tradizione platonica. "E io trovo qua che
il pensiero è un attributo che mi appartiene; solo esso non può essere
staccato da me"."Io non sono, dunque, precisamente parlando che una
cosa che pensa".
Si ha scienza di ciò che è matematizzabile: estensione, figura, peso,
luogo, movimento, durata, numero; mentre apparenti o false sono luce,
colore, suoni, odori, sapori, caldo, freddo, cioè le qualità delle cose
e della vita.
La perfezione e il rigore delle procedure matematiche e i
successi delle scienze empiriche, dove l'intelligenza razionale celebra
i suoi trionfi, hanno ridimensionato il valore di ogni altra forma di
intelligenza umana, anche se non sono riuscite con la loro
superbia a render conto del senso del nostro esistere e
della complessità delle relazioni umane.
I sistemi scolastici hanno materializzato questo pregiudizio nella
divisione sociale dei gradi e degli ordini di istruzione: scuole per
tutti; scuole per chi se lo può permettere; scuole che portano ai
ranghi delle elites, scuole che portano alle attività manuali, scuole
che portano ai quadri intermedi.Ognuna adatta alle opportunità date
dagli ambienti e dalle famiglie di appartenenza, ma non alle doti e
alle qualità naturali, come si ama dire e rappresentare ipocritamente,
cercando di trasformare i vantaggi sociali ereditari in meriti
personali acquisiti.
Tentativi in Italia per uscire da questa gabbia ne sono stati
fatti ed è giusto ricordarli, perchè sono stati sostenuti da
dibattitti seri e profondi e da lotte politiche e sociali
impegnative:la creazione della scuola media unica, con l'introduzione
della musica e delle applicazioni pratiche e la progressiva
eliminazione del latino; il libero accesso a qualsiasi facoltà
all'università da qualsiasi scuola secondaria;la durata quinquennale di
ogni indirizzo scolastico; la trasformazione dei curricoli dei
tecnici e dei professionali.
I fatti, che come al solito hanno la testa dura, ci ricordano che
ciò nondimeno all'università ci si va in prevalenza dai licei (dove
prevalgono le discipline logico-teoriche- linguisstiche); che ai
licei ci si va da famiglie bene-stanti; che ai professionali si mandano
i ragazzi a rischio di esclusione, perchè a malapena sono capaci di
leggere e scrivere, dopo 5 anni di scuola primaria e 3 di scuola media.
Considerato il rapporto tra titolo di studio e reddito economico, così
come lo documentano da qualche decennio le più serie ricerche di
sociologia dell'educazione, si dovrebbe concludere che chi sa parlare e
scrivere, chi è in possesso del codice linguistico, praticato a scuola
e nelle professioni che contano, chi affina l'intelligenza
astratta e/o teorica è destinato a grandi carriere; chi possiede
altre forme di intelligenza ed è al di sotto del codice linguistico in
voga si deve arrangiare; chi si realizza in prodotti umani
che non siano il leggere e lo scrivere o il lavoro intellettuale -
razionale, deve accontentarsi di quello che passa il convento.
Il ribaltamento delle storture di questa logica non è
responsabilità della sola scuola; è responsabilita della società
che in qualche modo finisce per imporre alla scuola la propria
scala di valori e a farvi transitare il regime di diversificazione
sociale, mantenuto e difeso a denti stretti dai ceti sociali che hanno
voce in capitolo nelle vicende politiche e quindi nelle faccende
scolastiche.
Se il lavoro manuale è deprezzato, rispetto a qualsiasi lavoro
d'ufficio, per quale ragione una famiglia dovrebbe indirizzare un
ragazzo verso un'attività sociale poco considerata? Perchè non dovrebbe
tentare la strada che conduce all'Università, se prima o poi potrebbe
godere di un reddito mediamente superiore a quello dei diplomati o
degli operai?
La scuola può non essere il notaio di queste costanti situazioni
e far valere se ne ha volontà un codice di valori, congruente con le
proprie convizioni e finalità. Le disuguaglianze esterne si riversano
dentro la scuola: lo soppiamo; bisogna impedire, però, che possano
accumularsi con quelle che possono essere prodotte dal sistema
scolastico stesso o dal modo di fare scuola.
Non c'è da fare la guerra alla cultura teorico-linguistica e se anche
gli si assegna l'importanza che merita, bisogna stare accorti a farne
l'unico criterio di orientamento e di valutazione delle attività
scolastiche. La scuola può valorizzare ogni forma di intelligenza e di
impegno e anche lavorare perchè il possesso di un adeguato codice
linguistico, per le opportunità che apre, sia garantito a tutti.
Anche se il mondo va per i fatti propri, la scuola deve fare le proprie
scelte di giustizia e non rassegnarsi ad un ruolo di subalternità ai
voleri altrui. Ogni giovane, qualunque sia la sua origine, deve
riuscire ad affrontare gli altri su un piano di parità; la scuola deve
offrire ad ognuno la possibilità di realizzare il suo potenziale umano
per vivere secondo il principio di dignità; nessuno deve restare
indietro; nessuno deve uscire dal sistema scolastico senza il bagaglio
necessario di competenze per non essere emarginato e per vivere
una vita dignitosa; la scuola non deve contribuire ad aumentare le
differenze di riuscita tra individuo e individuo; quelli che sono allo
stesso livello di talento e di di capacità e hanno lo stesso desiderio
di utilizzarli, devono avere le stesse prospettive di successo, senza
tener conto della loro posizione sociale.
Ogni singola scuola ha una propria parte da svolgere in questo ambito
di problemi: impedire la formazione di classi omogenee e
segreganti;dare spazio ai lavori per piccoli gruppi, al lavoro di
ricerca,al sostegno e all'accompagnamento individuale; costruire il
rapporto educativo sulla fiducia, sulla motivazione, sulla
disponibilità all'ascolto, sul rispetto, sul diritto dell'alunno
all'autostima; dare responsabilità per compiti significativi (ricerche,
dibattiti, giornalino, volontariato, gruppi sportivi, gruppi di teatro,
di danza e di musica); assegnare tempo educativo supplementare agli
alunni in difficoltà.
L'equità del sistema di istruzione è la sua unica giustificazionne e la
sua via d'uscita dalla crisi: rappresenta la sua sfida per il presente
e per il futuro. Il problema dell'equità a scuola è quello del comune e
universale accesso al sapere e alla conoscenza.
Prof. Raimondo Giunta