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Riforma: Sui professori a scuola 36 ore la settimana ...

Rassegna stampa
Puntualmente, in luglio o agosto, i vari ministri della Pubblica istruzione si affrettano a proporre (imporre) le loro proposte di riforma, mentre il caldo infuria e gli ultimi gravosi impegni spossano i lavoratori della scuola. E’ difficile ragionare serenamente su queste cose, dopo aver trascorso la mattinata ad ascoltare e interrogare i candidati all’Esame di Stato, dopo giorni e giorni di sveglia all’alba e ore alla guida per raggiungere l’istituto in cui si presta lavoro, come membro di commissione.
Eppure ci voglio provare..

Vogliono che gli insegnanti siano presenti 36 ore settimanali a scuola. Teoricamente può avere un senso, cioè quello di equipararci ai lavoratori statali delle amministrazioni pubbliche.

Ma come si può organizzare concretamente questo cambiamento?

Come risolvere tecnicamente la faccenda?

Se ipoteticamente ciascuno di noi insegnanti prestasse servizio in una sola sede scolastica, sarebbe semplicissimo stabilire di farci timbrare il cartellino alle 8.00 in entrata e poi alle 14,00 in uscita. Se la matematica continua a non essere un’opinione, 6 ore per 6 giorni fanno giusto 36 ore.

Credo però che questa situazione idilliaca sia piuttosto rara. Moltissimi docenti, specie con le potature drastiche operate sulle varie discipline, si ritrovano con cattedre sbriciolate su più sedi e istituti, spesso distanti chilometri l’uno dall’altro.

Conteggiamo anche le ore trascorse alla guida o sui mezzi pubblici, per raggiungere le varie sedi scolastiche, oppure dobbiamo azzerare il conteggio al momento dell’ingresso in istituto?

A proposito: i mezzi pubblici.

Crede davvero, il ministro, che le nostre disastrate aziende di trasporto possano adattarsi a qualsivoglia cambiamento d’orario scolastico?

E le famiglie? Riescono a organizzarsi? I genitori desiderano anche averli un po’ accanto, i loro figlioli!

Si parla di tenere aperte le scuole fino alle 22! E chi ce li tiene gli studenti a scuola fino a quell’ora, se scalpitano, giustamente, allo scoccare della fatidica “una”, ossia le tredici?

Venendo ad un caso come il mio, premesso che mi reputo fortunata, ho tre diverse sedi da raggiungere, ma nello stesso paese, Castelnovo ne’ Monti. Spesso, per passare da una sede all’altra, devo sfruttare l’intervallo; la cosa riesce bene perché sono sufficienti 7-8 minuti per questi spostamenti. In alcuni casi ho un’ora libera, allora ho il tempo magari di fare delle fotocopie, una volta giunta a destinazione.

Se dovessi aggiungere altre 18 ore, comprese quelle di ricevimento genitori che nel mio caso devono essere almeno due visto che ho una decina di classi, quindi alla fine diventano 16, mi chiedo in quale delle tre sedi devo “farle”? Devo restare ancora, magari fino a sera, in scuole non riscaldate, visto che la provincia spegne gli impianti alle 14 altrimenti come li paga i combustibili. A fare cosa? A correggere i compiti naturalmente o a prepararli.

Ma non è meglio che ciascuno di noi compia questo importantissimo lavoro a casa propria, come abbiamo sempre fatto, in tranquillità e con i mezzi giusti; già, ad esempio con la propria stampante. Ci credete voi che le scuole dispongano di sufficienti attrezzature per permettere a tutto il personale di stampare i propri compiti? Siamo già fortunati se riusciamo a fotocopiarli.

Ci dobbiamo portare le stampanti da casa?

E poi dove svolgiamo questo lavoro? Ci sono gli spazi per tutti, magari anche per gli allievi che vogliono frequentare i corsi di recupero o farsi aiutare a studiare?

Insomma, prima di fare cambiamenti basati su conti fatti a tavolino, senza minimamente pensare alla realtà concreta, vogliamo tentare di dare una risposta a queste domande? O meglio, vogliamo andare a vedere la scuola, quella fatta di cemento e mattoni e soprattutto fatta dalle nostre giovani speranze: gli studenti?

Dobbiamo capire, una volta per tutte, che il lavoro dell’insegnante non va misurato in produttività oraria, ma in qualità del servizio. Non dobbiamo produrre pentole o maglioncini, stiamo lavorando su coloro che dovranno prendere il nostro posto e che potranno sostenerci nella nostra vecchiaia; sono il nostro futuro vivente, ma soprattutto sono persone, non cose.

Maria Grazia Consolini - Redacon.it








Postato il Domenica, 06 luglio 2014 ore 06:00:00 CEST di Michelangelo Nicotra
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