
"Essi sono altrove molto più lontano della notte / Molto più in alto del giorno".
Molto più in alto di noi, poveri, semplici insegnanti. Poi verrà domani, e sarà un altro giorno di duro lavoro...
Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it
"Vivo come un soldato". Così scriveva una maestra, all'inizio del secolo. E in effetti le condizioni di vita, per insegnanti e alunni erano molto dure. Le scuole erano fatiscenti, le classi sovraffollate, lo stipendio basso e differenziato tra uomini e donne, i contratti "provvisori" (si usava questo aggettivo, allora) per anni e anni.
Eppure, malgrado tutto, è stata la scuola pubblica (e in particolare le maestre, misconosciute eroine di un'epoca ancora da raccontare) a "fare" davvero l'Italia. A proiettarla nella modernità. A sconfiggere (o a mitigare) l'analfabetismo assoluto, che regnava sovrano in tutta la penisola. Un analfabetismo che imprigionava milioni di uomini e donne in un destino di subalternità sociale.
È passato un secolo e ancora molte scuole sono fatiscenti, gli insegnanti "precari" (adesso si dice così) e i programmi obsoleti, inadeguati alle nuove sfide del mondo globale. È cambiato il modo di comunicare, la rivoluzione digitale sta cambiando perfino il modo di leggere, ma la scuola non ha mezzi per rinnovare se stessa. È la cenerentola della politica. È povera, pur essendo ricca di energie e di volontà. E anche di desideri, perché a scuola non si impara soltanto a leggere e a scrivere. A scuola si impara a "vedere" e a progettare la vita futura.
Insegnare. Imparare. Sono due attività che stanno alla base della convivenza umana.
L'augurio è di non essere costretti a insegnare e a imparare soltanto come soldati, sempre in trincea, sempre in battaglia. Vorremmo che la scuola, la scuola pubblica, fosse un luogo di pace, dove coltivare sogni e concrete speranze.
Maria Rosa Cutrufelli