Riflessioni sul libro-intervista dei giornalisti Lo
Bianco e Rizza, nel quale l’ex magistrato rielabora criticamente
vent’anni della nostra storia, a partire dalle stragi di mafia del
’92.
“Io so”: un titolo che suona
come un nuovo “J’accuse”.
Dalle pagine del suo libro, Antonio Ingroia parla di una verità senza
prove, di pasoliniana memoria, delle responsabilità di uno Stato che
non ha mai voluto veramente sdradicare il fenomeno mafioso, né fare
chiarezza sulle stragi, alle quali piuttosto ha risposto con una
politica di contenimento, di compromesso, che ha inquinato i principi
della democrazia. Il giudice Borsellino - ricorda Ingroia - viene
ucciso perché percepito come ostacolo alla trattativa Stato-mafia.
Questo, e molto altro, è stato oggetto di riflessione nell’Aula Magna
del Liceo “M. Cutelli” il 27 marzo 2014, per un folto gruppo di
studenti che negli anni delle stragi di mafia non erano ancora nati, ma
ai quali va consegnata questa memoria. Più volte nel suo libro Ingroia
si rivolge ai giovani per ricordare loro l’assassinio di “uomini che
rappresentavano un modello di cittadino diverso e un’Italia diversa” e
per invitarli a recuperare, con il nostro aiuto, il patrimonio storico,
etico e morale, che le stragi del ’92 hanno tentato di cancellare. “Da
lì, da quel patrimonio, bisogna ricominciare”.
E’ intervenuta al dibattito la prof.ssa Caterina Liberti, docente di
Filosofia Teoretica all’Università di Catania. Ha coordinato i lavori
la prof.ssa Ermelinda Majorana, del Liceo “Cutelli”.
Agata Maria Pennisi
agatamariapennisi@gmail.com