
Ma Giuseppe è, soprattutto, padre e marito. Vigile, presente, premuroso. Di cui ci si può fidare. Che costruisce, giorno dopo giorno, il duro e magnifico mestiere di padre d’un bimbo unico e speciale, e di marito d’una donna irripetibile e straordinaria. Forse si ricorda della sua infanzia, di quando, anche lui, un giorno, è stato figlio e bambino. E non si lamenta delle marachelle del suo piccolo, non si adira delle sue monellerie, non protesta per i suoi magri averi, non si dispera perché non riesce ad arrivare alla fine del mese. Come tutti gli uomini del suo tempo. Lui no. Lui lavora, osserva, talìa. Guarda Gesù e Maria. E custodisce un segreto, dentro di sé. In silenzio.
Non si siede e non si inginocchia, per non perdere tempo, per completare la sua opera. E sogna. Sogna l’angelo che gli dice di non temere, che lo rasserena sulle nozze con Maria. Sogna l’angelo che lo invita a lasciare la sua casa per rifugiarsi in Egitto, per evitare la furia violenta di Erode. Sogna, sicuramente, suo figlio già grande, in viaggio verso Gerusalemme lungo le bianche strade della Galilea. Giuseppe è un uomo d’altri tempi e proprio per questo è un sognatore.
Perché i sogni non sono roba da ragazzi, ma appartengono ai padri, agli educatori. Sognare è difficile e pericoloso, accende entusiasmo, passione, desiderio, strade da percorrere, montagne da superare. I sogni possono anche sfumare, un bel mattino, come neve al sole. E i padri lo sanno.
Per questo sono prudenti e misurati nei sogni, e nella vita. Senza fare un passo più lungo delle proprie gambe. I sogni, diceva il poeta William Butler Yeats, sono il luogo misterioso in cui le responsabilità hanno inizio. E un padre lo sa, lo ha imparato sulla propria pelle, tra tentativi ed errori.
E Giuseppe lavora e sogna per consegnare il futuro al suo bambino. Non può essere ingordo di sogni, altrimenti si aliena dalla realtà, ma non può neanche farne a meno, per non diventare come uno di quei falegnami che pensa solo al legno e mai all’albero che lo ha generato. Giuseppe sogna quanto basta, poi si rimbocca la tunica e, senza che il bambino se ne accorge, torna al lavoro quotidiano. Taglia la legna e pensa all’albero, e al futuro.
Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
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