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Umanistiche: Le Idi di Marzo

Redazione

"Ma tu lo sai chi era Giulio Cesare?", mi diceva sempre il mio amico!
Giulio Cesare non è stato solamente un generale romano, il grande "dittatore" che ha cambiato la storia di Roma, è stato, soprattutto, un sogno, una metafora, il miraggio del dominio, l'emblema dell'autorità, il trionfo dell'egemonia, l'incarnazione del potere e della supremazia. Il nome Cesare incuteva timore e rispetto, rappresentava l'onore e il diritto, incarnava Roma e il suo impero.

E nell'uso comune il suo nome è diventato sinonimo di imperatore; nella forma originale il titolo è stato in uso nell'Impero Romano, nell'Impero Bizantino e nell'Impero Ottomano ("Cesare dei Romei", era uno dei titoli del Sultano). La variante Zar venne invece utilizzata nell'Impero bulgaro (913-1018, 1185-1422 e nella Bulgaria del 1908-1946), nell'Impero russo e in Serbia (1346-1371), mentre in quelli austriaco e tedesco il titolo prese la forma di Kaiser (dal greco Kaisar).
Ma chi è stato veramente Giulio Cesare?

Nell'antica Roma ha avuto un ruolo cruciale nella transizione dal sistema di governo repubblicano a quello imperiale. Fu dictator di Roma alla fine del 49 a. C., nel 47 a.C., nel 46 con carica decennale, nel 44 a.C. venne nominato dittatore perpetuo, e attribuì il titolo di console al fidato Marco Antonio e la pretura a Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino. Quest'ultimo, spinto dalla delusione per non aver ottenuto il consolato, si fece interprete dell'insofferenza di ampia parte della nobilitas romana, e incominciò a organizzare una congiura anticesariana, trovando l'appoggio di molti patrizi. I congiurati, con lo stesso Cassio, decisero di chiedere l'appoggio di Marco Bruto, lontanissimo discendente di quel Lucio Giunio Bruto che, nel 509 a.C., aveva scacciato il re Tarquinio il Superbo e istituito la repubblica, e poteva rappresentare il capo ideale per una congiura che si proponeva di uccidere un nuovo tiranno.

Il più influente tra i personaggi romani a non aderire alla congiura fu Cicerone, che, pur essendo amico di Bruto e sperando nell'eliminazione del tiranno Cesare, decise di tenersi fuori dal complotto; egli tuttavia, auspicò che assieme a Cesare fosse ucciso anche Marco Antonio che, non a torto, vedeva come un possibile successore del dittatore.

Intanto le Idi di marzo si avvicinavano, precedute, secondo la tradizione, da un incredibile numero di presagi! Da più parti si videro bruciare fuochi celesti, uccelli solitari giunsero nel foro, e si udirono strani rumori notturni. Pochi giorni prima del suo omicidio, Cesare, mentre compiva un sacrificio, non riuscì a trovare il cuore della vittima, il che costituiva un presagio di malaugurio.
In quello stesso periodo fu scoperta la sepoltura del fondatore di Capua, Capi, e sulla lapide tombale fu trovata la scritta: "Quando verranno scoperte le ossa di Capi, un discendente di Iulo verrà assassinato per mano dei suoi consanguinei, e subito sarà vendicato con grandi stragi e lutti per l'Italia".

Le mandrie di cavalli, che Cesare aveva fatto liberare al momento del passaggio del Rubicone, cominciarono a piangere a dirotto, e un uccellino, entrato nella Curia di Pompeo (dove il Senato si riuniva dopo che la Curia era andata distrutta da un incendio) portando un ramoscello d'alloro, fu subito attaccato e ucciso da parecchi uccelli che sopraggiunsero all'istante.
Alla vigilia dell'omicidio, Calpurnia, la moglie di Cesare, donna del tutto priva di superstizioni religiose, fu sconvolta da sogni in cui la casa le crollava addosso, e lei stessa teneva tra le braccia il marito ucciso. Lo stesso Cesare sognò di librarsi nell'etere, volando sopra le nubi e stringendo la mano a Giove.
I presagi di morte c'erano tutti!

La mattina del 15 di marzo Calpurnia pregò il marito di restare in casa, ma egli, che la sera prima in compagnia d'amici aveva detto che avrebbe preferito una morte improvvisa allo sfinimento della vecchiaia, sebbene si sentisse poco bene, fu convinto dal congiurato Decimo Bruto Albino a recarsi al Senato, in quanto sarebbe sembrato sconveniente non presentarsi al cospetto dei senatori che si erano riuniti per nominarlo, proprio quel giorno, re. Cesare, che poco prima di un mese aveva imprudentemente deciso di congedare i duemila ispanici della sua guardia personale, la scorta che lo accompagnava dovunque, uscì in strada, e qui fu avvicinato da un indovino,

Artemidoro di Cnido, che gli consegnò un libello in cui lo ammoniva del pericolo che stava per correre. L'indovino si sincerò che Cesare lo leggesse quanto prima, ma il dittatore, che più volte si apprestò a farlo, non vi riuscì per colpa della folla che lo circondava. Giunto alla Curia di Pompeo, Cesare fu avvicinato da un aruspice di nome Spurinna che, qualche giorno prima, lo aveva avvisato di guardarsi dalle Idi di marzo, mentre si recava al Senato chiamò il veggente e, con aria beffarda, gli disse, "Le Idi erano arrivate!", ed egli rispose, soavemente, "Si, ma non sono ancora passate!".

Entrato in Senato, si andò a sedere ignaro al suo seggio, dove fu subito attorniato dai congiurati che finsero di volergli chiedere grazie e favori. Mentre Decimo Bruto intratteneva Antonio fuori dalla Curia, per evitare che prestasse soccorso, al segnale convenuto, Publio Servilio Casca Longo sfoderò il pugnale e colpì Cesare al collo, causandogli una ferita superficiale, ma non mortale. Cesare, per nulla indebolito, cercò di difendersi con lo stilo che aveva in mano, e lo apostrofò gridando, "Scelleratissimo Casca, che fai?", e secondo altri, "Ma questa è violenza!".

Casca, allora, chiese aiuto al fratello, e tutti gli altri congiurati che erano attorno a Cesare gli scagliarono violentemente i pugnali, Cesare tentò inutilmente di schivare le pugnalate dei congiurati, ma quando capì di essere circondato e vide anche Bruto, raccolse le vesti per pudicizia e si coprì il capo con la toga prima di spirare, trafitto da ventitré coltellate. Giulio Cesare cadde così ai piedi della statua di Pompeo, pronunciando le ultime parole che sono state riferite in vario modo:

"Anche tu, figlio? "Anche tu Bruto, figlio mio? (in latino, "Tu quoque, Brute, fili mi!").

Erano da poco passata l'ora quinta (le 11 del mattino) del 15 marzo del 44 a. C. Cesare aveva 56 anni.
A compiere questo efferato delitto furono proprio quegli stessi nemici a cui aveva concesso la clemenza, gli amici a cui aveva concesso onori e gloria, e coloro che aveva nominato suoi eredi:
Casca (il primo a colpirlo al collo),
Decimo Giunio Bruto (legato di Cesare in Gallia, ufficiale della flotta nella guerra contro i Veneti),
Marco Giunio Bruto (figlio di Servilia Cepione, amante di Cesare),
Gaio Cassio Longino (che era riuscito a sopravvivere alla disfatta di Carre ed era poi divenuto uno degli ufficiali di Pompeo a Farsalo),
ed un'altra ventina di cospiratori, tutti pretori e senatori.

Intanto nella Curia tutti i senatori presenti fuggirono in preda al panico.
Spettò a tre schiavi raccogliere il cadavere di Cesare, deporlo su di una lettiga e ricondurlo a casa.
Appena la triste notizia si sparse per l'Urbe, tutti i negozi furono chiusi e tutti i romani intimoriti si rinchiusero nelle loro abitazioni.
Il medico Antistione, incaricato di eseguire l'esame autoptico sul cadavere di Cesare, allo scopo di accertare la causa della morte, constatò che una sola delle 18 ferite era da considerarsi mortale, la seconda, per ordine temporale. Questo esame era previsto dalla Lex Aquilia, che stabiliva che "non bastava la morte del ferito per dichiarare mortale una ferita, ma doveva essere provato dai medici che la sua morte era derivata esclusivamente da quella ferita".

Ma l'eliminazione di Cesare non servì ad arrestare il processo, ormai irreversibile, della fine della Repubblica. La morte del dittatore innescò infatti una serie di eventi che portarono all'emergere di Ottaviano, figlio adottivo ed erede di Cesare. Nelle successive elezioni consolari furono eletti due nipoti di Cesare: Ottaviano e Quinto Pedio che propose la lex Pedia che condannava all'esilio tutti i Cesaricidi, che invece si erano autonominati "liberatores".

Proprio Ottaviano, dopo aver combattuto la guerra civile contro Marco Antonio (che era stato stretto collaboratore del defunto dittatore), pose fine alla Repubblica e instaurò il Principato. Intanto nelle lotte di potere che seguirono la morte di Cesare, i cesaricidi morirono uno dopo l'altro, in battaglia, suicidandosi o assassinati, in una scia di vendette e di sangue che si concluse solo il 42 a.C., quando, nella battaglia di Filippi, Bruto e il cognato e amico Cassio furono sconfitti da Antonio ed Ottaviano, che in questo frangente erano alleati.
Dopo la disfatta, Bruto e Cassio si tolsero la vita. Nel 30 a.C. non risultava più in vita alcun cesaricida. In seguito si decise di murare la Curia in cui venne ucciso, di chiamare Parricidio le Idi di marzo e che mai in quel giorno il Senato tenesse seduta.Nel Foro venne innalzata una colonna di marmo con la scritta "Parenti Patriae", al Padre della Patria. E Giulio Cesare diventò immortale. Per sempre.

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it








Postato il Sabato, 15 marzo 2014 ore 08:30:00 CET di Angelo Battiato
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