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Voce alla Scuola: Caro Matteo, per Lei questi ulteriori elementi di riflessione sulla sofferenza dei lavoratori della scuola

Redazione
Caro Matteo, come Lei vuole essere chiamato signor Presidente del Consiglio, a nome dei precari che rappresento, in quanto responsabile per la FLC CGIL di Catania delle politiche del precariato, Le offro, attraverso questo documento, ulteriori elementi di riflessione sulla sofferenza dei lavoratori della scuola.
Il disagio che noi viviamo non è solo quello lavorativo MA ESISTENZIALE perché anni di precariato, di ingiuste decisioni della politica, di delusioni patite hanno messo a dura prova la nostra resistenza fisica e la nostra capacità di sperare ancora che, in qualche modo, rimane sempre viva, perché a scuola noi abbiamo l’obbligo di avere sorrisi e coraggio per noi e per i nostri alunni. Tuttavia la gabbia che ci imprigiona da tanti anni in questo ruolo di subalternità, di poca considerazione, ove di disprezzo ( vedi Gelmini-Brunetta) talune volte, ci spinge a chiederLe con forza un atto di giustizia nei riguardi dei PRECARI STORICI, che hanno accumulato nella migliore delle ipotesi almeno 10 anni di contratti a tempo determinato.
Di seguito nelle linee essenziali il punto sulla scuola e sul precariato a Catania.

Il punto sulla scuola
La scuola pubblica statale negli ultimi anni ha subito un attacco durissimo: la legge 133/08 ha sottratto 8 miliardi di euro, la legge 169 ha cancellato la positiva esperienza della scuola primaria, la riforma della scuola secondaria cancella discipline e riduce arbitrariamente il tempo scuola. I bilanci delle scuole sono sempre più in rosso a causa della progressiva riduzione del fondo d’istituto, mentre alle famiglie si toglie il tempo pieno e si chiede di supplire al mancato finanziamento da parte dello Stato con il versamento di un contributo ‘volontario’, scaricando così sui genitori che già finanziano attraverso la fiscalità generale (tutto questo mentre si finanziano generosamente le scuole private), i costi della scuola pubblica.

Non capita di rado che un insegnante si trovi a fare scuola in classi sovraffollate, strutture fatiscenti e con difficoltà a garantire le supplenze, in condizioni in cui non solo non è garantito il diritto ad una istruzione che sia realmente di qualità, ma anche la sicurezza di quanti agiscono all’interno di queste strutture, mentre gli studenti sono sempre più disorientati e faticano a riconoscere nella scuola il luogo di acquisizione di un sapere critico.  Infine, la  progressiva diminuizione delle ore di sostegno per gli alunni diversamente abili.

In questo quadro noi esprimiamo il nostro netto NO  alla decurtazione di un anno alle scuole superiori che si configura come un’operazione ragionieristica finalizzata ad ulteriori risparmi in questo comparto e che in alcun modo miglioreranno le prestazioni dei nostri studenti. Ci vuole più scuola, non meno scuola. Non la scuola aperta solo al mattino ma anche durante  il pomeriggio.

Gli ultimi dieci anni per la scuola sono stati semplicemente un fallimento. I vari tentativi di riforma che si sono succeduti hanno, in realtà:

- destabilizzato l’istruzione scolastica;
- sottratto risorse, tempo scuola, discipline fondamentali ( un caso per tutti riguarda la drastica riduzione delle ore di Storia dell’arte in un Paese come il nostro che dovrebbe avere nella conoscenza e nella tutela del patrimonio artistico- monumentale, un naturale sbocco lavorativo);
- svilito il ruolo e il prestigio sociale dell’insegnante in quanto educatore e formatore;
- precarizzato, attraverso la reiterazione dei contratti a tempo interminato, il lavoro dei docenti in attesa, talvolta decennale, della stabilizzazione.

La confusione che si è ingenerata nasce, a nostro avviso, da due considerazioni:

1) non è ben chiaro se per lo Stato italiano l’istruzione pubblica sia un settore strategico in cui investire risorse o un enorme carrozzone di dipendenti che pesa sul debito pubblico;

2) il settore dell’istruzione e della formazione ha una tipicità propria in quanto si occupa di individui (studenti e docenti) il cui lavoro intellettuale, in quanto immateriale, non può essere né standardizzato (con buona pace dell’Invalsi) né reso immediatamente visibile alla stregua di una merce. I tempi di maturazione degli studenti, il conseguimento di un obiettivo, le strategie didattiche non sono quantificabili con un test. Ciò che conta, nel conseguimento del risultato, è la motivazione dell’intera comunità educante, aspetto assai carente per i motivi succitati. Infatti quella stessa comunità educante ha visto, senza mai essere consultata, calare sopra le proprie teste riforme, decreti, dimensionamenti, perdita salariale. La stima e l’autorevolezza verso un insegnante non si inventano per decreto: forse si dovrebbe cambiare registro linguistico.

IL PRECARIATO
Una recente stima parla di circa 130 mila insegnanti precari, nonostante concorsi e le scarse immissioni in ruolo che, in questi anni, non hanno coperto nemmeno il turn over.Ad oggi quasi un decente su 5, nella scuola italiana, è supplente ( a tempo determinato con contratto fino al termine delle attività didattiche, annuale o temporaneo), con tutte le conseguenze negative per gli stessi precari che devono cambiare ogni anno scuola e permanere in uno stato di perenne incertezza.
Appare evidente che la questione del reclutamento sia fondamentale poiché dovranno essere tutelati i diritti di chi, inserito nelle GAE, aspetta la stabilizzazione da molti anni e di chi aspira a questa professione. 
Questa terribile condizione in cui versano tante persone si configura, anche in questo caso, come un fallimento della politica che non ha voluto o non ha saputo rispondere alle legittime aspettative degli insegnanti i quali, anno dopo anno, non vanno a chiedere al Ministero di assumerli ma è l’istituzione scolastica che li chiama perché ha bisogno di loro per il corretto avvio e funzionamento dell’anno scolastico.
Quando un  docente entra in classe, sia esso precario o di ruolo, assume formalmente le stesse responsabilità, gli stessi obblighi, gli stessi doveri; non è che un docente precario si mette un nastro rosso al braccio e dice andando in classe: “guardate io sono diverso perché sono un incaricato annuale..” Anzi, gli obblighi sono i medesimi, i diritti un po’ meno, poiché ad esempio il precario non può usufruire di permessi retribuiti se un giorno deve assentarsi dal posto di lavoro.
Si è avuta l’impressione che i Ministri di turno abbiano non amministrato PER ma CONTRO alimentando tutta una serie di conflittualità all’interno del precariato finalizzato non a risolvere il problema ma a dividere il fronte nell’illusione della stabilizzazione che per qualcuno, come in una lotteria, è probabilmente arrivata. Ci limitiamo ad elencare solo alcuni ma cruciali passaggi nell’universo del reclutamento: concorsi, TFA, PAS, Gae sono gli acronimi che racchiudono i  precari storici, nuovi vincitori di concorso, aspiranti insegnanti. Mentre i precari storici, da una parte, lavorano da più di dieci anni aspettando la stabilizzazione, dall’altra parte si ingrossano le file del precariato abilitando nuovi insegnanti che pagano, profumatamente, la loro formazione.
Per questa ragione appaiono inderogabili i seguenti punti:

- Assunzioni a tempo indeterminato di tutti i lavoratori precari presenti nelle graduatorie attualmente dette “ad esaurimento” e istituzione di un piano finalizzato alla progressiva immissione in ruolo, in tempi brevi e certi, di tutti i lavoratori presenti nelle graduatorie;

- Salvaguardia delle “graduatorie ex-permanenti” (attualmente “ad esaurimento”) e mantenimento delle stesse come canale di reclutamento, tutelando al loro interno le posizioni e i punteggi acquisiti.

LA SITUAZIONE NELLA NOSTRA PROVINCIA
Catania e più in generale il Sud ha pagato un prezzo altissimo ai tagli nella scuola sia in termini di perdita di posti di lavoro, sia in decremento della qualità dell’offerta formativa e infine, al tasso di dispersione scolastica. Un capitolo non meno importante è  la questione dell’edilizia scolastica e la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro.
Un dato che emerge con forza è la ripresa dell’emigrazione che sta riguardando sia i lavoratori della scuola che si vedono costretti a scegliere le provincie del Nord per sperare nella stabilizzazione, sia giovani che cercano lontano dall’isola migliori prospettive di lavori, sia interi nuclei familiari. Questo quadro deve fare riflettere sull’effettivo spopolamento della Sicilia e degli effetti sul territorio.
Osservando e incrociando i dati si è potuto notare come il fenomeno del precariato si è spalmato a macchia di leopardo sull’intera nazione in quanto le immissioni in ruolo statisticamente hanno privilegiato le regioni del centro nord riservando al meridione ben poche briciole, dunque nella provincia di Catania molte graduatorie sono rimaste sostanzialmente ferme. Quest’ultimo aspetto ha drammaticamente colpito il settore della scuola primaria, infatti con la Riforma Gelmini e l’introduzione del maestro unico quel poco di tempo prolungato, nelle nostre zone, è del tutto sparito così molti insegnanti di scuola primaria nella migliore delle ipotesi hanno lavorato con contratto annuali, ma la stragrande maggioranza è stata violentemente espulsa dal mondo del lavoro.

Giovanna Nastasi
giovanna.nastasi@istruzione.it
339 2890104








Postato il Lunedì, 10 marzo 2014 ore 07:45:00 CET di Redazione
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