Si sente dire
spesso, ma non si sa con quali cognizioni di causa, che
l'Italia sia una nazione di destra. E' una di quelle definizioni facili
da prendere per buone, ma che non aiutano a capire la realtà. A
guardare bene vi si può intravedere un residuo delle vecchie, desuete,
inservibili culture ideologiche, che erano funzionali alla lotta
politica più che alla comprensione della realtà. Dentro questa "facile"
definizione giace molta polvere del passato.
Se è vero che non esistono nazioni di destra e anche vero che non
esistono nazioni di sinistra. Sono esistite classi dirigenti che hanno
innalzato la bandiera dello sviluppo economico, dell'espansione dei
diritti individuali, delle libertà, rappresentando in questo modo i
propri interessi di classe e quelli di quanti intravedevano in queste
posizioni opportunità per i propri.
Per questi fini hanno condotto lotte aspre e lunghe e non si sono
fermate nemmeno di fronte all'ipotesi di abbracciare la via della
rivoluzione. Classi dirigenti e ceti sociali minoritari di stampo
giacobino.
Ci sono state anche frazioni delle classi dirigenti che nella
conservazione delle loro posizioni di potere, dei loro privilegi
sociali e degli equilibri politici a loro favorevoli hanno condotto la
propria battaglia contro ogni forma di innovazione (istituzionale,
sociale, culturale) trovando nella propria strada il consenso
convinto di vasti strati della popolazione, che in questi orientamenti
vedevano una tutela dei propri interessi.
Le lotte dei "progressisti" hanno mietuto vittime e creato sofferenze,
come ogni lotta politica condotta senza risparmi di forze; non sono
state delle passeggiate.
Parte considerevole della classe dirigente che si era intestata
la bandiera delle magnifiche sorti progressive ha ritenuto concluso il
percorso dello sviluppo sociale e civico quando altri soggetti,altre
classi sociali, quelli che ne avevano pagato il conto hanno
cominciato a richiedere il proprio posto al sole.
E' toccato alle classi dirigenti essere di destra o di sinistra; le
società ancora oggi si scompongono e si compongono nei loro conflitti
interni secondo linee di frattura segnate dagli interessi, dalla
cultura, dalle tradizioni, dalle convinzioni; confini che cambiano nel
tempo secondo le condizioni storiche del momento con intenzioni più
pragmatiche che ideologiche.
Il mondo che si è voluto tenere lontano dalle sedi dove si fanno le
scelte che contano ha trovato nel passato le proprie guide e si è
sentito rappresentato da altre parole d'ordine, da altre prospettive
economiche e sociali. Una di queste guide era di formazione, di
cultura e di convinzioni cattoliche.
Solo una lettura carica di stereotipi e di pregiudizi può inquadrare le
scelte di questa classe dirigente come scelte di destra. L'insieme di
quel mondo ,che per comodità chiamiamo cattolico, nel secondo
dopoguerra si è rivelato stabile e maggioritario (... non per
vocazione, ma per consensi) ed ha garantito un lungo periodo di
sviluppo economico, di apertura sociale e democratica(aborto, divorzio,
decentramento dei poteri agli enti locali, apertura degli accessi
universitari, statuto dei lavoratori, decreti delegati a scuola,
riforma sanitaria, estensione del diritto alla pensione etc.)
Gli equilibri socio-politici degli anni che vanno dal '46 al '92 si
imperniavano sulla capacità di chi gestiva le maggioranze
parlamentari di tenere insieme le parti sociali e di avere quasi
sempre una particolare attenzione ai ceti medi che erano in
continua espansione e alle posizioni politiche del mondo della sinistra.
La rottura degli equilibri si è consumata nel momento in cui è venuta a
mancare la spinta all'innovazione e si è oscurata la capacità di
interpretare e rappresentare le trasformazioni della società per darle
una prospettiva di sviluppo in un quadro politico internazionale
radicalmente mutatato.
L'immobilismo degli ultimi anni di quel periodo ha provocato un'ondata
scomposta e violenta contro tutte le degenerazioni che ne sono derivate
e un desiderio forte non adeguatamente orientato di cambiamento ,che
dopo 20 anni non ha avuto alcuna decente soddisfazione.
La rottura è avvenuta sul fronte socio-politico, che era nello stesso
tempo emergenza di nuove figure di ceto medio e crisi fiscale dello
Stato. Intorno a questi nodi si sono combattute, a volte
inconsapevolmente, le lotte politiche dell'ultimo ventennio, ma senza
la capacità e la strategia di mediazione,che avevano
caratterizzato la prima repubblica. Patrimonio immenso senza eredi.
La società è stata imprigionata nella gabbia del sistema
maggioritario, che di fatto ha cancellato la possibilità di un'autonoma
espressione politica dei nuovi e dei vecchi ceti medi, fagogitati
prevalentemente nel vortice delle illusioni, alimentate dai mass-media
posseduti in forma quasi monopolistica da una parte politica, che ha
perseguito solo i propri interessi aziendali.
Ciò nonostante se il centro-destra ha avuto spesso la maggioranza
in parlamento, mai ha avuto la maggioranza dei voti. Questo significa
che il sistema elettorale e le carenze politiche della sinistra, di cui
non si finisce mai di stupirsi, sono all'origine della mitologia di una
nazione di destra.
Non si è stati capaci di rompere l'incantesimo di politiche
sostanzialmente regressive e populistiche e di proporre, dopo averci
studiato e ragionato, un'idea di società e di sviluppo in grado di
valorizzare le energie di ceti sociali condannati ad una condizione di
incertezza e a volte di disperazione.
L' inizio di un nuovo percorso non va trovato nell'invenzione di
sistemi elettorali che nascondono i conflitti sociali e negano
rappresentanza politica a porzioni consistenti della società. L'inizio
va trovato nella volontà seria di combattere le iniquità; nella volontà
seria di capire la società; nella volontà indomita di combattere
inefficienze, sprechi, corruzione .
Il nuovo inizio si avrà quando alla complessità dei problemi non si
risponderà più con le brutali semplificazioni degli spot elettorali e
si comprenderà che una società del terzo millennio non si può affidare
agli uomini della Provvidenza, perché Questa ha cose più
importanti di cui interessarsi. Bisogna rompere le catene che hanno
imprigionato parte importante della società e partire dai problemi che
da vent'anni chiedono soluzione: equità, sviluppo, crisi fiscale, ceti
medi, innovazione, istruzione.
Raimondo Giunta