Sesso e
mistica si mescolano in maniera inestricabile nel Cantico dei Cantici,
un componimento considerato di sconvolgente bellezza dai credenti, che
ne ravvisano il messaggio divino, sebbene l’Onnipotente non sia mai
espressamente citato nel testo. Quest’inno sacro all’amor profano è
stato interpretato in vario modo: come immagine dell’amore di Dio per
l’Uomo, di Cristo per la Chiesa, simbolo di storia d’amore tra uomo e
donna. Proprio quest’ultima ardita interpretazione ha messo in
imbarazzo gli esegeti; e perciò, fin dai primi chiosatori, il Cantico
dei Cantici è stato recepito dai più come testimonianza del rapporto
d’amore spirituale con Dio. Autorevoli rabbini sentenziarono tale
interpretazione, allo scopo di mettere a tacere i commentatori che,
invece, interpretavano in senso naturalistico l’esplicita descrizione
dei fremiti carnali.
L’umanista Ugo Grozio (1583-1645) ravvisò licenziosità nelle
espressioni di fuoco del Cantico dei Cantici, i cui penetranti segreti
dovevano esser ignorati dal popolo: difatti, l’Inquisizione spagnola
imprigionò il frate Luis de Lèon (1527-1591) che lo aveva tradotto in
castigliano.
Le eccelse elevazioni mistiche di Teresa d’Avila (1515-1582) si
nutrirono della lettura del testo e la religiosa fu più volte invitata
a dare alle fiamme le sue “Meditazioni sul Cantico dei Cantici”, che
aveva scritto quasi clandestinamente (come testimonia visivamente un
dipinto barocco, conservato nella Chiesa di Santa Teresa a Mantova).
In tempi più recenti, l’allegoria perpetua di Gesù Cristo con la sua
Chiesa (in ambito cristiano) e la metafora del legame tra Iahvè e
popolo di Israele (nella tradizione ebraica) continuano ad esser
sottese al Cantico dei Cantici, che nel 1975 è stato ritradotto da
Guido Ceronetti, noto per aver trasformato, con un radicale cambio di
prospettiva, il testo biblico in sogno erotico, come impone di pensare
l’immediata lettura del testo. Le inquietanti suggestioni ceronettiane,
dopo aver avuto una vasta eco editoriale, sono state recentemente
stemperate dal priore Enzo Bianchi, protagonista di letture pubbliche
che consegnano il testo biblico all’attualità.
Quanto fin qui scritto basta per dimostrare che il Cantico dei Cantici
ha ispirato pensatori e scrittori di ogni tempo, con innumerevoli
traduzioni in ogni lingua e anche versioni in dialetto. Uno degli esiti
più recenti si deve alla casa editrice Le Farfalle, di Angelo
Scandurra. Il titolo, "Canticu di’ Cantici", non lascia dubbi sul
contenuto del volume, che nella quarta di copertina riporta un brano
espressivo (Mèntimi comu signaturi
no’ to’ cori,/ comu signaturi ne’ to’ vrazza:/ picchì forti come la
morti è l’amuri,/ pussenti comu l’infernu è ‘u disìu…). L’autore
della versione in dialetto siciliano (misterbianchese, per la
precisione) è Angelo Battiato, che - confrontandosi con “il più grande
testo d’amore di tutte le letterature” - valorizza il suo territorio e
storia, le sue origini e tradizioni, consegnando al vernacolo il ruolo
di lingua dell’emozione, dell’identità e dell’appartenenza.
Angelo Battiato non è stato il primo a tradurre nella parlata locale il
testo biblico. Già 150 anni fa Luigi Scalia volgarizzò in dialetto
siciliano “Il Cantico de’ Cantici di Salomone” (London, Strageways
& Walden, 1860, 19 p.). Il luogo di edizione non deve stupire. Il
libro dello Scalia (patriota, inviato nel 1848, con il principe di
Granatelli, in missione a Parigi e Londra dal governo rivoluzionario
siciliano) fu finanziato dal dialettologo e mecenate Luigi Luciano
Bonaparte (1813-1891), il nipote di Napoleone che, appena prima
dell’Unificazione italiana, stampò a spese sue a Londra le traduzioni
nei vari dialetti di testi biblici. Queste trasposizioni, di aiuto
anche per ricerche filologiche, furono utili alla conservazione di
lingue rare o in via di estinzione: il sardo, ad esempio, ebbe versioni
nelle sub varianti regionali sassarese, gallurese di Tempio, logudorese
ecc con l’adozione di una grafia adeguata. Oltre a fotografare lo stato
dei dialetti italiani della sua epoca, Luigi Luciano Bonaparte commentò
il “Vangelo secondo Matteo volgarizzato in dialetto siciliano da Luigi
Scalia” (London, Strangeways & Walden, 1861, ristampato da CLUEB
nel 1997).
Sarebbe interessante fare delle osservazioni linguistico - comparative
tra il dialetto usato nel 1860 dallo Scalia (che era originario della
Sicilia occidentale) e quello impiegato, oggi, da Angelo Battiato,
analizzando la struttura fonetica-grammaticale e tenendo conto delle
eventuali differenze nella trascrizione del siciliano. Al di là di
questo aspetto morfologico - linguistico, resta il fatto che il
dialetto continua ad avere un rapporto vitale con la comunità, come
dimostra anche l’esuberanza dell’odierna poesia amorosa vernacolare.
Proprio alla sfera affettiva riporta lo spirito del Cantico dei
Cantici, una composizione in cui uomo e donna - si badi bene - non si
incontrano mai, nonostante il loro vicendevole desiderio di
compenetrarsi. Enigma di un testo ambiguo. Ma, come diceva Ignazio
Silone: "Per capire bene le parole
sacre bisogna trovarsi in stato d’innocenza; anche allora, però, esse
possono essere misteriose".
Francesca M. Lo Faro