Il soffitto sgretolato
di Scienze politiche è l'emblema della drammatica situazione
strutturale con cui sono costretti a convivere studenti, insegnanti e
bidelli sull'isola, dove gli edifici che ospitano le lezioni sono privi
di manutenzione, vecchi, pericolosi. E costosi per il pubblico Meno
male che siamo in estate. E’ con una battuta che gli studenti di
Scienze Politiche a Palermo hanno liquidato il crollo del tetto nel
palazzo che ospita la loro facoltà. Nel pomeriggio del 19 agosto, una
porzione di soffitto di circa duecento metri quadrati si è
completamente sgretolata, al terzo piano dell’ex collegio di San Rocco,
dove in via Maqueda ha sede la facoltà di Scienze Politiche. Già in
passato l’edificio era stato a rischio di crolli e in molti ricordano
quando al primo piano era stato affisso un avviso che invitava gli
studenti a non sostare all’entrata. “Noi abbiamo fatto tutti i lavori
di ristrutturazione – racconta il preside Antonello Miranda – e abbiamo
segnalato più volte all’amministrazione comunale la necessità di
recupero del terzo piano”.
Segnalazioni che non hanno evidentemente avuto esito. Ieri è quindi
arrivato il crollo definitivo: nessun ferito, perché appunto l’edificio
era deserto. Ma una domanda torna puntualmente ogni anno alla vigilia
della ripresa delle lezioni: come stanno le scuole e le università in
Sicilia? Male, anzi malissimo. E a raccontarlo non sono soltanto i
fatti di cronaca come quello del crollo a Scienze Politiche. A
tracciare il libro nero delle scuole sull’isola sono soprattutto i
numeri. Dati incontrovertibili che immortalano la tragica situazione in
cui versano le scuole siciliane: aule con l’intonaco scrostato, infissi
arruggini o mancanti, manutenzione assente, rischio elevato di incendi,
impianti elettrici non regolari. Il tutto aggravato dai raid
distruttivi notturni che scandiscono le settimane nelle scuole più a
rischio, quelle che sorgono nei quartieri più disagiati delle città
siciliane.
“Ci troviamo invece a lavorare in strutture fatiscenti, in cui i
cornicioni crollano, la muffa si sviluppa e i riscaldamenti non
funzionano. Luoghi non vivibili per gli adulti, figuriamoci per bambini
e ragazzi e in cui per ottenere il minimo i dirigenti debbono
ingaggiare battaglie quotidiane facendosi il giro delle sette chiese
tra uffici preposti e amministrazioni sempre i difficoltà. A me sembra
che manchi la volontà reale per agire in tal senso, come mancano
interlocutori in grado di capire che la scuola o la ricerca non sono
giochi di retorica politica, ma decisioni, progettazione, competenza,
capacità di intercettare e utilizzare i fondi comunitari” racconta Mila
Spicola, docente palermitana, autrice del saggio La scuola si è rotta,
edito da Einaudi.
Parole quelle della Spicola che, sommate ai dati raccolti dal Miur
negli ultimi dodici mesi, non lasciano dubbi: sulla edifici scolastici
in Sicilia sta lentamente calando il sipario. Basta dare un’occhiata
all’anno di costruzione degli stabili: su 3.335 edifici scolastici, ben
1.350 è stato costruito negli anni ’60, mentre sono addirittura 450
quelli costruiti tra la fine dell’800 e il 1940. Senza contare che in
Sicilia quasi un terzo degli edifici scolastici è stato costruito per
altri usi, a volte completamente diversi: su 3.335 scuole ben 716 è
stato riadattato per uso scolastico dopo sommari ( e in certi casi
inesistenti) lavori di manutenzione. E’ per questo che un terzo degli
studenti siciliani (dalla scuola primaria, alle superiori, fino ad
alcune sedi distaccate dell’Università) si trovano ogni anno a fare
lezione nei sottoscala, negli sgabuzzini, in ex uffici e locali
commerciali. Dove la manutenzione è minima: una scuola siciliana su due
non ha l‘impianto elettrico a norma, mentre solo il 13,4 per cento
possiede il Certificato Prevenzione Antincendi.
Motivo? Non ci sono soldi per la manutenzione. E’ lì dove ci sono,
capita anche di dover convivere settimanalmente con raid distruttivi.
Come alla scuola Giovanni Falcone, che allo Zen di Palermo è presa di
mira ogni settimana da bulli che distruggono finestre, imbrattano i
muri, rubano apparecchiature. Una situazione che richiederebbe un
regolamento speciale per le scuole dei quartieri a rischio, dove fare
il docente non è un lavoro come tutti gli altri. Lo sa bene Domenico Di
Fatta, per sei anni preside della Falcone, che da quest’autunno ha
chiesto e ottenuto di lasciare lo Zen. Quartieri difficili a parte,
però, il vero problema delle scuole siciliane è la proprietà: in
Sicilia sono ben il 10 per cento gli edifici scolastici in affitto
(solo il 4 per cento nel resto d’Italia), che quindi appartengono ai
privati. A Palermo su 281 scuole comunali ben 88 erano in affitto:
molti di questi edifici erano stati confiscati al costruttore Vincenzo
Piazza, che ai tempi di Salvo Lima e Vito Ciancimino imponeva al comune
affitti da capogiro.
Anche dopo la confisca però gli enti continuavano a pagare affitti a
sei zeri alle amministrazioni giudiziarie. Una situazione parzialmente
risolta quest’estate quando l’Agenzia per i beni confiscati ne ha
assegnati una trentina al comune di Palermo. Problema risolto? Neanche
per idea. Perché a mancare continuano a essere i soldi per la
manutenzione. Lo scorso anno proprio il Miur prevedeva un investimento
di 244 milioni di euro, provenienti dai fondi europei, per la messa in
sicurezza di 562 scuole siciliane, ovvero circa un decimo di tutte
quelle che sorgono sull’isola. Una cifra ritoccata dal piano Azione e
Coesione dell’ex ministro Fabrizio Barca che aveva invece previsto lo
stanziamento di 560 milioni di euro per la messa in sicurezza e per la
ristrutturazione degli edifici scolastici in tutto il Sud Italia.
Bastano? Ovviamente no. A dirlo è la Protezione Civile, che nel 2002,
nel piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici
scolastici, quantificava in 1,6 miliardi di euro la cifra da investire
per la messa a norma delle scuole più fatiscenti. Una cifra enorme che
però corrisponde più o meno alla spesa già fatta dal Ministero della
Difesa per l’acquisto della portaerei Cavour, che nei piani del governo
dovrebbe ospitare i nuovi caccia F-35. E mentre il dibattito
sull’acquisto degli aerei da guerra infiamma il paese, per gli studenti
siciliani sarebbe il caso di armarsi di elmetto per affrontare il nuovo
anno scolastico.
Giuseppe Pipitone
Ilfattoquotidiano.it