La recente circolare
ministeriale del 27 giugno, sul Piano Annuale per l’Inclusività, a
firma del Capo Dipartimento del Ministero, Lucrezia Stellacci, fa
chiarezza sulla controversa questione dei Bisogni educativi speciali
(B.E.S.) nuova sigla che si aggiunge alle molteplici formule che
caratterizzano il linguaggio specifico del mondo scolastico.
Sembra proprio che il prossimo anno scolastico "dovrà essere utilizzato per sperimentare e
monitorare procedure, metodologie e pratiche anche organizzative"
si legge nella circolare e quindi occorre lavorare per "Abbissare i Bes", espressione che in
lingua siciliana vuol dire: "sistemare, dare ordine, organizzare", e
c’è un anno di tempo per fare chiarezza sulla didattica
dell’inclusività, operando in convergenza con i docenti di sostegno.
Da altri fronti: sindacali e di contestazioni, viene pronunciata,
invece, un’altra espressione: "Inabissiamo
i BES", quasi per farli sprofondare in un profondo abisso,
legandoli ad un grosso macigno per non farli riemergere.
Leggendo le note e i comunicati riguardanti le delibere dei Collegi dei
Docenti di diverse scuole, si evince il disagio e la difficoltà di dare
attuazione ad una coerenza azione d’inclusività che, di fatto, nella
scuola c’è sempre stata, almeno come intenzionalità educativa. Quando i
docenti organizzano la classe per fasce di livelli e quando pianificano
degli interventi di recupero e di sostegno o quando pianificano
interventi didattici personalizzati e individualizzati, non fanno altro
che trovare una risposta ai bisogni educativi degli studenti che sono
tutti “speciali” nella loro singolarità e unicità.
Nulla di nuovo o di trascendente, quindi, in una scuola che, attenta
all’alunno-persona, risponde ai bisogni del singolo e nel gruppo
classe, dove il docente-educatore è capace di “saper guardare tutti ed osservare ciascuno”.Tutti
gli alunni, handicappati o non, certificati o non, sono “bisognosi di particolari attenzioni”
e la scuola risponde ai bisogni di ciascuno aiutandoli a crescere, ad
esercitare abilità, ad acquisire competenze per essere, durante e dopo
la scuola veri “cittadini” attivi e responsabili.
La circolare del 6 marzo 2013, in attuazione della Direttiva del 27
dicembre 2012 ha suggerito alle scuole di costituire un gruppo di lavoro per l’inclusione (in sigla
GLI) il quale svolge, sulla carta, le seguenti funzioni: rilevazione
dei BES presenti nella scuola; raccolta e documentazione degli
interventi didattico-educativi posti in essere anche in funzione di
azioni di apprendimento organizzativo in rete tra scuole e/o in
rapporto con azioni strategiche dell’Amministrazione; focus/confronto
sui casi, consulenza e supporto ai colleghi sulle strategie/metodologie
di gestione delle classi; rilevazione, monitoraggio e valutazione del
livello d’inclusività della scuola; raccolta e coordinamento delle
proposte formulate dai singoli GLH Operativi sulla base delle effettive
esigenze; elaborazione di una proposta di Piano Annuale per l’Inclusività
riferito a tutti gli alunni con BES, da redigere al termine di ogni
anno scolastico (entro il mese di Giugno).
Troppi sono i compiti previsti e ritenendo che bisognasse metterli in
atto tutti ed in breve tempo sorge spontanea la domanda: Con quali soldi? Con quale compenso
aggiuntivo, giacché il Fondo d’Istituto è stato notevolmente decurtato?
Come programmare i bisogni per le classi prime se non si conoscono gli
alunni?
Nella recente circolare del 27 giugno si chiarisce il significato ed il
valore da assegnare al Piano Annuale dell’Inclusività” ( in sigla: PAI)
che fa parte integrante del POF in quanto descrive e fotografa la
realtà dei “bisogni” della comunità scolastica, ai quali il Piano
dell’Offerta Formativa dovrà dare puntuale risposta.
Il PAI, si legge nella circolare, è un “atto interno della scuola autonoma”
e “non va inteso come un ulteriore
adempimento burocratico, bensì come strumento che possa contribuire ad
accrescere la consapevolezza dell’intera comunità educante sulla
centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione alla
qualità dei risultati educativi”.Così inteso, il Piano Annuale
dell’Inclusione non va confuso o interpretato come un esercizio
compilativo, né come “documento” da produrre, né tanto meno diventa il
“piano formativo per gli alunni con bisogni educativi speciali”, ma è
lo “strumento” per una progettazione dell’offerta
formativa in senso “inclusivo” e quindi un’opportunità, quasi
una finestra aperta verso una didattica innovativa, attenta ai bisogni
di ciascuno nel realizzare gli obiettivi comuni, sollecitando in tal
modo una fattiva interazione tra il docente di sostegno e i docenti
curriculari di classe in un’operativa azione convergente in vista
dell’effettiva integrazione degli alunni disabili o con difficoltà nel
gruppo classe, così da poter crescere e camminare insieme.
Qualche tempo fa in una scuola che vantava la fama di essere “di
eccellenza” c’era una scritta (ideale): “In questa scuola non ci sono handicappati,
né figli di portinaie”, quasi ad indicare la tipologia di utenza
e la selezione che veniva operata per le iscrizioni. Quale cultura
d’inclusione veniva operata con quella mentalità?
Oggi la scuola, che opera in una società multietnica e multiculturale,
non può operare differenze e discriminazioni, ma nel dare a ciascuno
secondo i propri bisogni, deve essere scuola aperta e pronta a saper
gestire in maniera efficace e nell’ottica del miglioramento, attraverso
l’insegnamento e la didattica curriculare anche i “bisogni speciali”.
Ecco quindi la possibilità e l’occasione per riflettere sulla gestione
delle classi composte in “maniera equieterogenea”, così da poter
attivare la didattica cooperativa, per classi aperte, per moduli
organizzativi che superano le barriere delle classi e avvantaggiano la
didattica attraverso la formazione di piccoli gruppi anche omogenei, in
relazione ai bisogni di ciascuno.
Il Ministero e la Direzione Generale per lo Studente, nella proposta di
sollecitare le scuole a mettere in atto specifici e dettagliati “piani
annuali per l’inclusività” ha inteso inoltre favorire la
socializzazione della best-pratics, quale modello e stimolo di progetti
operativi che hanno prodotto efficaci miglioramenti nella didattica e
nel rendimento scolastico degli alunni. L’invio della
documentazione all’indirizzo:
dgstudente.direttoregenerale@istruzione.it avrà, appunto, tale scopo e
costituisce un servizio per la crescita della scuola italiana, puntando
sulla sinergia di tutti.
La circolare precisa inoltre che la richiesta dell’organico dei docenti
di sostegno non è direttamente collegata alla redazione del PAI, ma
segue le procedure e le modalità definite dalle singole Direzioni
scolastiche regionali.
In quest’operazione documentativa dei BES, infatti, alcuni docenti, i
più maliziosi e i più oppositivi, hanno letto una strategia
ministeriale finalizzata alla riduzione dei docenti di sostegno e
quindi rifiutano in toto le attenzioni verso gli alunni con
“particolari bisogni”; altri auspicano che con tale dichiarazione di
BES possano aumentare i posti di lavoro, magari con personale
specializzato per attività didattiche alternative; altri ancora
evidenziano un sovraccarico di lavoro per i docenti curriculari, per i
quali gli alunni “difficili” o “particolari” sono stati finora un peso
da portare avanti ed ora che sono elencati o “schedati” assumono una
connotazione specifica per i quali si attendono aiuti, sostegni e
risorse aggiuntive.
Il docente, invece che osserva, studia e guida l’intero gruppo classe,
in maniera educativa e quindi segue ed è attento ai ritmi di
apprendimento di ciascuno, trova nei BES il riconoscimento di una
classificazione che non modifica il suo agire didattico, ma lo conforta
nella strada della personalizzazione dell’insegnamento e quindi con
accogliente positività per il bene dei suoi alunni ne carpisce tutti i
vantaggi e i benefici. Con questi presupposti si può affermare
che “il bicchiere è quasi pieno” ed occorre attivare strategie e
percorsi alternativi alla didattica tradizionale, supportati, se
possibile, da personale esterno aggiuntivo, e mediante l’attivazione di
laboratori operativi e finalizzati ad un apprendimento efficace.
La presenza di una figura aggiuntiva di educatore, animatore, esperto
di relazione e di comunicazione, potrebbe essere di grande aiuto
nella vita della classe per la soluzione di alcuni problemi che
rimangono spesso irrisolti e nel tempo, si atrofizzano nella negatività.
Se questi interventi ministeriali aiutano e sostengono la
professionalità del docente proiettandola verso una migliore
prestazione ed una più elevata qualità di insegnamento, certamente gli
studenti delle scuole italiane ne avranno un grande beneficio e
la qualità della didattica potrà competere e dialogare con le scuole
d’Europa.
Giuseppe Adernò
g.aderno@alice.it