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Voce alla Scuola: 'Oggi, per sentirmi Italiano, devo andare all’estero', uno studente scrive a Maurizio Viroli, docente di Teoria politica all’Università di Lugano

Rassegna stampa
Caro Professor Viroli,
Le scrivo come promesso.
Vivono un momento di grandissima difficoltà al Bel Paese e noi con loro.
Forse un vero Cattolico direbbe: «Abbiamo perso la retta via». Questo gli basterebbe? L’analisi critica di un fenomeno malfunzionante basta a cambiare le cose? No, il mondo si cambia con le azioni, determinate dai pensieri, naturalmente. Se guardo a sinistra appena dopo essere entrato nella nostra aula, scorgo, sopra il bellissimo prato che costeggia l’università, una scritta dipinta sulla facciata della casa studenti: «VERBUM LAUDATUR SI FACTUM SEQUATUR».

Si lodi un concetto a cui seguano i fatti, è una traduzione molto libera ma rende l’idea. Allora io mi chiedo, com’è possibile che se questo immenso concetto formulato in epoca Romana non venga applicato ancora oggi all’alba del 2013 dopo Cristo?

Viroli lei lo sa meglio di me, non c’è più tempo, l’Italia sta morendo, ci stiamo estinguendo e mi sorge il dubbio che forse non siamo neanche mai esistiti. Siamo un Paese noi? Siamo un popolo? O siamo solo un insieme di persone nate nella stessa circoscrizione? Oggi per sentirmi Italiano devo andare all’estero, oggi, per capire la grandezza di chi siamo stati nel corso della storia, bisogna guardare a quelli che hanno saputo imparare da noi. Ma questo ci basta? Ci possiamo accontentare dell’enorme dono che hanno fatto i nostri antenati al pianeta e vivere di rendita in eterno? No, lo sappiamo bene.

Noi vogliamo di più. Il mio uso del plurale vuole coinvolgerla ancora di più in qualcosa che lei vive già e che probabilmente esprime più di quanto crede, ma non è sicuramente proteso all’innalzarmi a un livello pari al suo.

Lei non è vecchio, basta scuse, lei è saggio, lei ha fatto esperienza e, soprattutto, lei è fortunato. Viroli lei è fortunato perché anche solo con quel poco che ho potuto leggere riguardo la sua vita, ma soprattutto con la grandezza di ciò che riesce a trasmettere a chi le sta accanto, può fare la differenza per molti. Glielo scrivo, perché mi sento come lei, so cosa si prova e lei stesso l’ha capito.

Torno ad usare il noi e sottolineo che per le persone come noi, la vita ha scelto un trascorso di consapevolezza, dal principio alla fine: non si scappa. Guardiamo per un attimo Seneca, il fatto di essere speciale, grande, come dice lei “unico”, gli è bastato per domare Nerone?

Purtroppo rispondiamo no anche a questa domanda, ma è un no che non ci affligge questa volta, perché oggi le cose sono cambiate. Mi spiego: le persone come noi, gli angeli in greco, i portatori di notizie, oggi hanno la possibilità di parlare davanti ad un pubblico più immenso di quanto sia mai stato e di quanto forse sarà mai, data la piega che noi tutti stiamo prendendo. Non sprechiamo questa occasione, facciamo l’Italia, la prego.

Glielo chiedo perché ci credo davvero, glielo chiedo perché sono ostinato ma non sono stupido, glielo chiedo soprattutto perché credo nel buon senso della gente. Facciamo uno Stato capace di formare persone che sappiano badare alla serenità loro e di chi sta loro intorno, ce n’è bisogno, non possiamo più aspettare. Facciamo uno stato in cui il ricco, per arricchire ancora di più la sua indole conquistatrice e progressista, non debba vivere a spese del povero ma venga premiato per un suo eventuale aiuto ad quest’ultimo. Facciamo uno stato in cui io non debba vedere morire di fame un mio amico solo ed esclusivamente per il fatto che essere marocchino in Italia vuol dire essere svantaggiato. Uno stato in cui invece di pacche di conforto sulle spalle si possano vedere sorrisi e risate, dove lo splendore e la cura dell’ambiente meraviglioso in cui abbiamo la fortuna di essere immersi dominino su sporcizia, inquinamento ed inciviltà, ma soprattutto facciamo uno stato che sappia guardare alla maestosità del bene e del male che ha saputo fare nel corso del tempo, per arrivare pronti ad un futuro che dipende solo da noi. Parlo di un paese che si chiama Italia e che oggi, purtroppo, non esiste.

Concludo scrivendo che stiamo vivendo la più grande guerra della storia, quella che c’è sempre stata e che se non ci muoviamo ci sarà per sempre, sempre meno è la gente dotata di buon senso e voglia di giustizia e sempre più sono coloro a cui è indifferente il benessere degli altri. Sappiamo dove siamo schierati ma non è sufficiente il lavoro di due soldati in un mondo in cui esistono bombe nucleari.

Non ci arrendiamo, lo ripeto e continuerò a farlo, non arrendiamoci perché la stessa gente che ieri mi chiamava folle a volerle far leggere i miei pensieri e a volerle raccontare i miei vaneggiamenti ora è pronta a presentarsi alla cena da lei proposta.

Insistiamo, lottiamo, confrontiamoci, parliamo e agiamo. Lei è troppo vecchio, io sono troppo giovane e probabilmente solo uno dei tanti ma questo non mi fa smettere di credere in qualcosa di meglio. Quando sarà ora andrò a fare il ragazzino, adesso costruiamo un Paese in cui la gente possa andare a riposare felice di essere al mondo.

*Francesco, 19 anni, studente all’Università di Lugano

Linkiesta.it








Postato il Lunedì, 20 maggio 2013 ore 06:00:00 CEST di Michelangelo Nicotra
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