"Non hanno bisogno del medico i sani, ma
gli ammalati. Io non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori."
L’occasione che potrebbe avere l’ora di religione (ed il prof che la
somministra), di rappresentare un punto di forza per la comprensione
degli allievi ed un aiuto per gli stessi nel superare le fasi delicate
del loro essere “giovani”, si perde in molti casi tra meandri
burocratici e sottilmente psicologici legati alla sua stessa natura: si
tratta di una istituzione del concordato tra Stato italiano e Chiesa
Cattolica che non viene “riconosciuta” chiaramente dagli allievi, in
speciale modo per quanto riguarda la secondaria di secondo grado, sul
cui orario incide per un’ora settimanale1. Gli insegnanti di religione,
che (dati 2009/10), sono per l’87% laici e soltanto per il 12%
ecclesiastici, finiscono per lavorare (su di una sola o più istituzioni
scolastiche), per 18 ore, ossia su diciotto differenti classi. Lo
stress che tale operazione comporta non è facilmente comprensibile per
chi NON insegni, già di per sé. Aumenta dal momento che dette classi in
rare occasioni apprezzano la presenza dell’insegnante come un
contributo alla loro conoscenza, sia in merito alla religione che
“dicono” di professare, sia per la possibilità di un dialogo che
amplifichi la conoscenza dei concetti religiosi in senso lato. Malgrado
questa scelta non sempre “cosciente” di frequentare l’ora di religione
e benché vi sia la possibilità di comunicare all’inizio di ogni anno la
propria volontà di non avvalersene, abbiamo come ultimo dato
complessivo la presenza in Italia nell'anno scolastico 2009/2010
(dati Miur),che gli insegnanti di religione nella scuola statale
erano 26.326, di cui 13.880 a tempo indeterminato e 12.446 a tempo
determinato e soltanto un 10% di studenti che non si avvalgono di tali
insegnanti. Può essere interessante annotare che il numero di studenti
che non si avvalgono dell'IRC è maggiore nel centro-nord del paese, più
precisamente in Toscana, Emilia Romagna e Piemonte ed a Milano il dato
delle scuole superiori crolla al 49% in quanto, su dati del 2004, 183
classi sono completamente prive di IRC; le punte massime si registrano
negli istituti professionali e nei grandi centri urbani. Non ci sarebbe
modo di “tagliare” il numero di insegnanti e ridurre i costi per lo
Stato, in quanto la normativa prevede che l'ora di Religione debba
essere erogata in ogni classe anche se scelta da un solo studente, per
cui questo renderebbe problematico l'accorpamento di più classi con
pochi studenti che se ne avvalgono, che permetterebbe una riduzione dei
costi per lo stato. Differenza di trattamento: il C.C.N.L. del 1995 ha
abolito gli aumenti biennali per tutto il personale, ad eccezione dei
docenti di religione. Per mezzo della legge 186 del 18 luglio 2003 sono
entrati in ruolo circa quindicimila insegnanti dei complessivi
venticinquemila, coprendo un 70% delle ore d’insegnamento. La nomina
del restante 30% viene trasferita alla volontà della curia diocesana
con successiva conferma del dirigente scolastico. La Curia diocesana
conserva l’autorità di revocare l'idoneità dell'insegnante per gravi
motivi, quali l’incapacità didattica o pedagogica, e/o la condotta
morale non coerente con l'insegnamento. Quanto delineato sino ad ora,
si combina alla posizione “ambigua” dell’insegnante di religione
rispetto alle promozioni degli allievi per il voto, non valutato come
tale ai fini della media. Si ricorda poi che, a seguito della
cosiddetta “Riforma Gelmini” (grazie!), attraverso la quale sono stati
prodotti i dolorosi e numerosi tagli sia del personale docente sia del
personale tecnico della scuola pubblica italiana, una delle poche voci
in contrasto è quella del numero degli insegnanti di Religione, così
come detto e pubblicato dal quotidiano "La Repubblica" e dal
quindicinale "La Tecnica della Scuola." Dati controversi sono giunti in
proposito dal Sindacato nazionale degli insegnanti di religione. Ma la
quaestio più eclatante non è burocratica: l’occasione “persa”
dall’insegnamento della Religione è principalmente nelle difficoltà che
si riscontrano ad operare su diciotto classi, per un totale medio di
allievi oscillante oltre i 360 (media bassa di 20 allievi per classe),
che si confrontano con una “materia” che non fa voto e finiscono per
trasformare l’ora di religione (fatti salvi i casi differenti), come
l’ora in cui si può fare più chiasso e distruggere nell’insegnante
qualsivoglia volontà di portare avanti un programma. Ma: quale
programma, in realtà? Esistono precise Indicazioni didattiche per
l’Insegnamento della religione cattolica per i percorsi di istruzione e
formazione professionale e per le scuole del secondo ciclo di
istruzione definite da un accordo stipulato a Roma il 28 giugno 2012,
tra l’allora Ministro dell’Istruzione Francesco Profumo (fine mandato
maggio 2008, succedutisi poi Maria Stella Gelmini, Francesco Profumo e
Maria Chiara Carrozza) e il Presidente della Conferenza episcopale
Italiana Card. Angelo Bagnasco (tuttora presidente), evidentemente non
chiaribili in breve ma di cui appare importante fare risaltare la “…
responsabilità del docente di religione cattolica”- nel declinare le
indicazioni contenute da tali indicazioni didattiche “in adeguati
percorsi di apprendimento, anche attraverso possibili raccordi
interdisciplinari, valorizzando le particolari sensibilità e le
peculiari opportunità di approfondimento legate ai diversi percorsi
liceali: artistico, classico, linguistico, musicale e coreutico,
scientifico e delle scienze umane.” Sembrerebbe quindi che una certa
libertà di movimento sia lasciata all’insegnante stesso, ma sotto quale
pressione psicologica? Forse un insegnante che indossasse i “panni
della Chiesa” sarebbe più credibile e parlerebbe con maggiore
convinzione d’intenti nel tentativo di ottenere dall’insegnamento
impartito “la formazione personale e l’esercizio di una cittadinanza
consapevole” e il mettere in grado lo studente di: “– costruire
un’identità libera e responsabile, ponendosi domande di senso nel
confronto con i contenuti del messaggio evangelico secondo la
tradizione della Chiesa; – valutare il contributo sempre attuale della
tradizione cristiana allo sviluppo della civiltà umana, anche in
dialogo con altre tradizioni culturali e religiose; – valutare la
dimensione religiosa della vita umana a partire dalla conoscenza della
Bibbia e della persona di Gesù Cristo, riconoscendo il senso e il
significato del linguaggio religioso cristiano.” Tanto è davvero
possibile nell’ottica di quell’ora settimanale su diciotto classi? Di
quell’ora che lo studente non valuta importante ai fini della media
scolastica e di un’eventuale bocciatura? Di quell’ora che l’insegnante
trascorre anche con l’ansia di restare in tema, non profferire parole
che possano essere male interpretate, mantenere un atteggiamento che
non possa essere frainteso, vicino alle esigenze del “Verbo” che deve
passare dalle sacre scritture ad un pubblico di giovani del 2013,
immersi in una società dove tale dialogo risulta difficile anche nei
luoghi sacri? Di questa difficoltà quotidiana e stressante si dovrebbe
in qualche modo tenere conto, permettendo agli insegnanti di religione
di divenire insegnanti di “Storia delle religioni” nell’ottica della
nostra società dove la Costituzione italiana, all’art. 19, riconosce in
modo ampio la libertà di religione. Ci rifacciamo al primo comma
dell’art.8 della Costituzione dove si afferma infatti che “tutte le
confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”. I
rapporti Stato-Chiesa cattolica, sono basati sul sistema dei Patti
Lateranensi stipulati nel 1929, mentre i rapporti con le confessioni
diverse da quella cattolica, sono regolati da leggi dello Stato emanate
sulla base di una previa intesa con le rappresentanze delle varie
confessioni ormai largamente presenti nel nostro paese, come è
stabilito nell’articolo 8.Lo stesso Ministro Profumo ribadì in un
passato recente l’idea che, in un’Italia multietnica, l’ora di
religione dovesse trasformarsi in un corso di storia delle religioni o
di etica.
In questa società, dove abbiamo chiaramente sancito libertà che
accolgono esseri umani da ogni parte del mondo globalizzato,
sembrerebbe logico che, con lo scopo di “– valutare il contributo
sempre attuale della tradizione cristiana allo sviluppo della civiltà
umana, anche in dialogo con altre tradizioni culturali e religiose;-“
Ci si comportasse a scuola come (per esempio), ad Assisi, luogo di
culto religioso certamente cattolico, ma anche di incontro e di dialogo
tra culture e religioni diverse. Una scuola, insomma, dove “coloro che
non intendono avvalersi della religione cattolica” non ve ne siano,
perché l’ora di religione rappresenti la patria dell’integrazione e la
religione Cattolica raffiguri la messa in pratica Cristiana della
volontà di comprendere “l’altro”, diffondendo il principio secondo cui
la libertà religiosa (riconosciuta e garantita dalla nostra
Costituzione), permei le istituzioni scolastiche sotto l’egida della
Chiesa. Non ponendo “fuori” quelli che non se ne avvalgono.
Bisognerebbe ricordare che quando a Gesù fu contestata la sua presenza
tra coloro che non seguivano il suo messaggio, egli rispose: (Vangelo
di Marco. Cap. 2,13-17) “Non hanno bisogno del medico i sani, ma gli
ammalati. Io non sono venuto a chiamare i giusti ma i
peccatori.”- Chi siamo dunque noi per fare sì che la voce della
Chiesa non si trasformi e possa parlare a tutti?”- Ciò potrebbe
accadere soltanto nel caso in cui l’ora “di religione”, intesa come
propaganda della religione cattolica, si trasformasse in ora di “storia
delle religioni”, anche in ottemperanza alla nostra Costituzione, la
quale garantisce la libertà di non professare alcuna fede, di non
essere oggetto di propaganda religiosa e di non essere obbligato a
partecipare a pratiche di culto, e di poter modificare la propria
appartenenza a una determinata confessione religiosa. Magari divenendo
cristiani.
Bianca Fasano
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