Profondamente
convinto che la crescita democratica ed economica di un Paese trovi le
sue radici nei sistemi formativi e nei suoi protagonisti chiamati
istituzionalmente a coltivarli e sostenerli, ho letto con piacere il
paragrafo 4.4 della Relazione del Gruppo di lavoro in materia
economico-sociale ed europea, intitolato “Potenziare l’istruzione e il
capitale umano” perché mi ha offerto, smentendo quanti pensavano che
non si sarebbe parlato di formazione, la chiave di lettura del pensiero
dei Saggi, voluti dal Presidente Napolitano, sull’istruzione e la
formazione.
Ho rilevato subito, come i dieci studiosi iniziano puntualizzando lo
stretto rapporto che c’è tra crescita democratica ed economica e i
sistemi di formazione e quali possano essere le indicazioni per
affrontare e risolvere le problematiche che affliggono il mondo della
scuola.
Ho letto, infatti: “Per assicurare nel medio termine una crescita
economica in grado di riassorbire la disoccupazione e la
sottoccupazione di cui è afflitto il nostro Paese, occorre migliorare
le performance dei sistemi d’istruzione e formazione”.
E ancora: “D’altra parte la formazione s’interseca strettamente con
ricerca, innovazione e sviluppo: di conseguenza, la sua efficienza
dipende dalla rapida connessione di tutti questi elementi e, dunque,
dalla capacità del nostro Paese di rendere quanto più “corta” possibile
questa filiera”.
Da questa premessa emerge chiaramente un riferimento al merito e alla
valutazione.
D’altronde, una scuola che non mira al merito, non si misura e non si
valuta (con strumenti confrontabili e universalmente riconosciuti) non
può, costitutivamente, essere autonoma e sarà a svantaggio soprattutto
degli studenti più deboli perché un modo per andare avanti da soli, i
più forti lo troveranno comunque.
Nonostante gli studiosi non avessero il compito di “valutare nel
dettaglio ipotesi d’intervento sui sistemi educativi” hanno ritenuto di
suggerire, nel breve termine, “misure in grado di alleviare alcune
situazioni particolarmente gravi” per migliorare la performance dei
sistemi d’istruzione e formazione.
Condivido le ipotesi d’intervento come l’estensione del tempo scuola al
fine di ridurre l’abbandono scolastico, l’incremento delle borse di
studio destinate agli studenti meritevoli provenienti da famiglie meno
abbienti, il miglioramento dell’infrastruttura di rete delle scuole, la
realizzazione di una seria alternanza scuola-lavoro, introducendo un
apprendistato universitario sul modello tedesco o austriaco.
Se queste misure, però, saranno viste come “altra cosa” dal principio
ispiratore che vede la crescita economica e democratica fondata
sull’istruzione e la formazione, non diventeranno mai iniziative, leggi
e provvedimenti finalizzati al miglioramento della performance dei
sistemi educativi.
E il rischio c’è perché molto, in questi giorni, si è detto sulle
ipotesi d’intervento ma poco sul principio fondante.
Mi chiedo, perciò: Capiranno la “politica” e il prossimo Governo che
l’istruzione, a tutti i livelli, non è un costo, ma un investimento
perché senza educazione non ci può essere crescita, sviluppo e futuro
per il nostro Paese e riusciranno ad agire conseguentemente? Le
riflessioni dei saggi passeranno direttamente agli archivi delle buone
intenzioni o saranno recepite dal mondo politico? Avrà la “politica” la
volontà e la capacità di arricchire il capitale umano che secondo le
classifiche internazionali presenta un forte deficit rispetto ai
principali paesi europei? Riconoscerà che sia urgente superare i limiti
individuati dagli esperti, quale il blocco del turn over e le scarse
risorse per la riqualificazione del personale?
I saggi riaccenderanno la speranza?
Giuseppe Luca
- La
Letterina ASASi n 360 del 25 aprile 2013
pippo.luca@alice.it