Maggio - Giugno 2013
- XLVIII
Ciclo di rappresentazioni classiche al teatro di Siracusa. "Antigone" di Sofocle.
-- Antigone: “ Non sono nata per condividere l’odio, ma
l’amore” (Secondo episodio, v.524).
L’amore e la pietà sono sentimenti inscritti nel cuore di ognuno; e al
cuore –si sa - non si comanda! E’ su questa ferma convinzione che
riposa la visione del mondo di Antigone. Nelle gerarchie delle
leggi per la infelice figlia di Edipo codesti sentimenti
occupano il primo posto. Non dello stesso avviso è Creonte, suo zio.
Egli è fermamente persuaso che chi detiene il potere ha l’obbligo
morale di fare rispettare e applicare rigorosamente le leggi della
giustizia umana, create a garanzia dell’ordine e della
sicurezza della comunità civile, senza alcun cedimento al cuore né alle
ragioni delle leggi della pietà fissate per ordine divino. Questo il
nodo centrale, la contrapposizione strutturale,
etico-politico-religiosa, entro cui si muove la tragedia immortale di
Sofocle: da una parte, Antigone, donna che innalza a canone
unico della vita l’amore, e la pietà per i vinti, e il rispetto della
dignità della persona, sia essa pure nostro nemico; e a difesa di
questi valori è anche pronta al martirio. Dall’altra, Creonte, re dei
tebani, che incarna la ragione politica obbediente solo alla
logica fredda e feroce del potere, sprezzante delle tradizioni e della
religione.
Creonte ha dato ordini perentori ai suoi cittadini di lasciare
”illacrimato e insepolto“ il cadavere del traditore della patria
Polinice, sventurato fratello di Antigone, morto combattendo a fianco
degli Argivi contro Tebe. Antigone trasgredisce tali ordini; il suo
cuore e la sua pietà congiunta, e la sua sensibilità di donna, si
ribellano a fronte di tanta crudeltà disumana e sacrilega rivendicando
per il fratello i dovuti onori di tomba e di compianto. A questo punto
il conflitto è inconciliabile; l’itinerario della tragedia è
irrimediabilmente segnato, e porta alla rovina di tutti,
considerato che in questa prospettiva tragica pura l’azione più giusta,
o ritenuta tale, diventa una scommessa sull’ignoto che,- come scrive
Dario Del Corno- “ si traveste nella metafora della divinità”,
nella cui imperscrutabilità, in definitiva, consiste” la vera
tensione tragica del dramma”. Sono gli dei ” gli arbitri ultimi
dell’umano agire”.
Quale significato cogliere, quindi, nella finale solitudine straziante
di Creonte e nel doloroso dramma familiare che conduce Antigone alla
morte? Quale l’attualità del messaggio ultimo sofocleo? Forse quello
dell’appello alla “misura, all’accordo tra leggi divine e giustizia
umana; l’appello a che l’uomo prenda coscienza della ” necessità
del recupero della fede dei padri ”, e non si lasci sopraffare dalla
tracotanza del suo ingegno e dal potere. Lo scontro tra Antigone
e Creonte è la rappresentazione simbolica del dissidio di sempre
che lacera la società umana: quello tra ragion di stato e ragione del
cuore, tra dignità della persona e aridità delle norme; il conflitto,
infine, tra le eterne leggi morali imposte dalla divinità e la
pretesa autonomia dell’agire umano.
Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com
Testo di base :
Sofocle , Antigone, traduzione di R. Cantarella , note e commento di M.
Cavalli
a cura di Dario Del Corno, ed. A. Mondadori, 1982