Spazi aperti e
“riconfigurabili”, pareti scorrevoli, tavoli componibili invece dei
banchi, pouf, tappeti, “atelier”, “agorà” per feste, spettacoli e
assemblee, spazi relax. E naturalmente via le cattedre e, invece dei
corridoi, ecco le “aree connettive”. Non è un numero di "Architectural
Digest", sono le Linee guida per la costruzione dei nuovi edifici
scolastici varate dal Ministero della Pubblica Istruzione e illustrate
su “La Repubblica”. Date le priorità che il buon senso
suggerirebbe per la scuola italiana, viene in mente la famosa risposta
delle brioches che Maria Antonietta non ha mai dato.
Le “scuole 2.0” sono copiate dai paesi nordici, dove, tra parentesi,
prevalgono scolaresche educate, in grado di consentire il lavoro a chi
si trova nell’“area riconfigurata” accanto. E tutt’altro che da
trascurare è l’esigenza che hanno i ragazzi, e soprattutto i bambini,
di uno spazio ben definito che possano sentire come proprio (ovviamente
luminoso, ampio, pulito e ben attrezzato).
Dietro l’infatuazione modernista per le architetture scandinave è
difficile non vedere la determinazione giacobina con cui si tenta di
imporre ai docenti italiani il ruolo di facilitatori
dell’auto-apprendimento. Per ottenere la rinuncia alla famigerata
“lezione frontale” (peraltro ampiamente usata dai suoi detrattori per
screditarla) si vorrebbero organizzare gli spazi in modo da renderla
quasi impossibile. Tutti, però, abbiamo assistito a lezioni noiose e a
lezioni affascinanti. E un insegnante che si veda imporre, direttamente
o indirettamente, metodi in cui non si trova a proprio agio, non può
che trovarsi in difficoltà e demotivarsi. C’è invece bisogno
della più ampia libertà di utilizzare il metodo che funziona per
quell’argomento, per quei ragazzi, in quel momento. E un ministero
degno di questo nome, cioè al servizio della scuola, dovrebbe aiutare
gli insegnanti a mettere insieme e ad aggiornare di continuo una
“cassetta degli attrezzi” la più varia possibile, in modo da saper
affrontare con efficacia situazioni e argomenti diversi. Ciò di cui è
difficile fare a meno senza danno è la figura di un insegnante che
padroneggi e ami la sua materia, che abbia la capacità di trasmetterla
coinvolgendo e interessando i suoi studenti; con i mezzi più diversi,
certo, ma non delegando a internet il suo ruolo.
A questo proposito, vorrei concludere con quello che Rosario Salamone,
per diversi anni preside nelle scuole di Roma, mi raccontava qualche
giorno fa. Quando, da giovane docente di filosofia, insegnava al Liceo
Tasso, la fama delle sue “lezioni frontali” si sparse per la scuola,
tanto che vi assistevano spesso una quarantina di studenti trasmigrati
da altre classi (fino a quando gli altri docenti non si spazientirono).
Avrebbe sortito lo stesso effetto aggirandosi fra i tavoli e
consigliando questo o quel sito?
Giorgio
Ragazzini -