Al teatro
Coppola di Catania è andata in scena… Matelica, di Pasquale Musarra. I
versi del poeta misterbianchese sono stati i protagonisti indiscussi,
sabato 16 febbraio, di una splendida serata di musica e poesia, al
teatro Coppola, il “teatro dei cittadini” più antico della città etnea.
L’occasione è stata la presentazione del suo ultimo libro, “MATELICA,
dalla Parola al Tempo… la fine della Poesia” (Armando Siciliano
Editore).
La serata, costellata dalle suadenti note dei “Sax and city” e dal
bravo cantastorie Carlo Barbera, è stata magistralmente diretta da
Silvia Ventimiglia. Hanno parlato di Matelica, Natale Musarra,
Francesca Lo Faro e Angelo Battiato. Le poesie sono state interpretate
da Pasquale Platania e Noemi Finocchiaro. Era presente l’AISM
(Associazione Italiana Sclerosi Multipla).
«Considero Pasquale Musarra, tra i maggiori poeti siciliani, – ha
esordito Angelo Battiato, nella sua breve relazione – e quando dico
siciliani, dico nazionale, perché solo chi ha “valore” nella propria
terra, ha valore “oltreconfine”. Il precedente libro di Musarra, “Le
curve della penna”, era denso di pathos e di vita, di ricordi e di
inquietudini, di bellezza e di lavoro, con l’impellente necessità di
dire qualcosa, prima che “le luci si spengono e i motori anche, e non
restino più né tracce né orme, solo carta scritta”, con “il coraggio di
scavare nei luoghi dell’anima, di esplorare i sentimenti e le passioni,
una ricognizione della condizione umana”. E se nelle Curve
“l’inchiostro diventava suono, si plasmava in visioni spudorate di vita
vissuta, sofferta, sanguigna”, e “le parole si facevano pietra,
diventavano carne, lotta di liberazione”, adesso, in Matelica,
l’inchiostro diventa tempo, la parola si trasforma in storia. Matelica,
come dice l’autore, “è la svolta, la curva che ne risignifica
l’essenzialità dello scrivere: l’apparizione del tempo. Il tempo
autonomizzato, che diventa essenza e categoria fondante”. “La poesia
come paradosso, come estremo tentativo di dare senso al tempo”. “La
poesia è una fetta di tempo”. La parola, dunque, diventa storia, atto e
fatto umano, azione e rivoluzione. E la parola-tempo è, soprattutto, un
fatto poetico. Ma il tempo è fatto di gesti, di parole, di versi, ma
anche di silenzi. Nei versi di Matelica c’è, soprattutto, la percezione
della storia dell’uomo, quasi, la personificazione del tempo stesso,
senza nessuna richiesta di soccorso, e senza nessun secondo fine».
E continua Battiato, «Vorrei sottolineare, inoltre, le “materie prime”
usate da Musarra, la sua personale “miniera”, i suoi giacimenti aurei,
dove attinge, giornalmente, per “edificare” le sue “metafore, la
caverna di ombre parlanti, la biblioteca di segni, una melodia per i
ballerini della storia”, le sue poesie. La terra e i suoi compagni
“malati di mente”. Innanzitutto la terra. La terra madre, la natura, la
campagna, gli eventi naturali, ‘u travagghiu; e quando dico terra, dico
anche corpo, fisicità, la corporeità, la carnalità, la sensualità, il
bisogno di vivere e d’amore, la necessità di esistere, di dare e di
avere, di comunicare e di sapere, di dire e di ascoltare. E poi i suoi
compagni di vita, di viaggio, di lavoro. Gli ultimi, i sofferenti, i
senza nome, quelli che la società considera con indifferenza e con
diffidenza; ma che sono i miti, i semplici, i puri di cuore, perché non
toccati dal morbo dell’avere e dell’apparire; e, sicuramente, sono i
più veri, i più uomini, (come diceva Vittorini), perché la sofferenza
produce più umanità, fa diventare uomini più uomini. Questi gli input,
‘a crita, che il poeta utilizza, a piene mani, per creare la sua
poesia, i suoi versi, la sua musica, dentro il suo tempo.
Certo dietro le parole di Musarra c’è un grande lavoro, un grande
sacrificio (in senso etimologico di rendere le cose sacre), con i suoi
versi attinge nell’altro, si immerge del suo vicino, del suo compagno,
dei suoi “pazienti”, cerca, quasi, di far passare, di dislocare, con se
e dentro di se, la voce di un altro, la voce degli altri, dei suoi
compagni che vede ogni giorno, che sono il sale della sua vita e delle
sue poesie. Dietro le sue poesie, quindi, c’è un grande lavoro, ma
anche una grande sofferenza. E il silenzio. Il silenzio di ogni singolo
io, per far parlare, per restituire la voce e le parole a chi ha ancora
molto da dire, e non dice e non può dire. Io credo che questa, anche
questa è la poesia di Pasquale Musarra».
La ricercatrice Francesca Lo Faro, nel corso della sua relazione, così
ha “spiegato” le poesie di Musarra: «Con le poesie di Matelica, ci
troviamo di fronte a liriche che ci sollevano e non deprimono. La
poesia “Sarò”, ad esempio, emana una sana, canora, energia solare.
Nella lirica “Poveri poeti”, Musarra scrive, “i poeti credono di essere
i padroni delle parole”. Difatti, i poeti usano con ricchezza la
lingua. Anche Musarra, lo fa ed usa la lingua per farne trame, tessuti
di parole, di pause, ritmi, con un sostrato intensamente verbale,
manipolatore di suoni fonici. Musarra ha un modo di raccontare e non
racconta. I suoi testi sembrano apposta lacunosi, sono fatti di
rapidissime baleni, di diapositive, di frammenti di immagini, a volte
audaci, ma sempre con sospiri interiori che traducono l’anelito del
poeta e la sua consapevolezza di esser diverso e particolare rispetto
ad altri, capace di reggere con volontà poetica, il gusto di inventare.
Ma l’inventiva è soltanto un aspetto secondario della poetica di
Musarra. Più spesso le sue liriche sono legate alla concretezza della
vita vissuta. In Matelica, Musarra fa un accostamento inconsueto e con
ironia, dice che “i poeti assomigliano alle ballerine”. Effettivamente
danza e poesia sono aspetti della creatività. Edgard Degas (1834-1917)
non fu soltanto il pittore delle ballerine, ma anche poeta. Ma sono
tanti gli artisti strettamente legati al mondo della danza che hanno
trasformato in versi o in osservazioni poetiche il loro sentimento.
Poeti e ballerine si somigliano perché ambedue descrivono movimenti
volontari, gli uni con la penna, gli altri con il corpo. Matelica è una
raccolta poetica chiusa dentro una cifra unica e complessiva. –
Conclude Lo Faro – Il titolo del volume riemerge nel testo dell’ultima
poesia, “Cielo macchiato di latte”. Secondo la Bibbia l’universo e le
meravigliose bellezze che esso racchiude sono una creazione di Dio. Il
cielo è “matelico” forse perché non è fondamentalista e mette in dubbio
il dio unico, la verità assoluta, l’accordo tra verità e fede, tra
scienza e fede. Il dialogo esiste soltanto se si mette in dubbio la
verità in cui si crede. Questo – forse – è il messaggio conclusivo di
“Matelica».
Infine, Pasquale Musarra, sotto il manto dei mille ombrellini rossi del
teatro Coppola, elogia la forza di quel luogo, simbolo di cultura e di
riscatto per l’intera città di Catania, e solidarizza con i giovani
artisti che hanno occupato e trasformato il Coppola in fermento di vita
culturale senza la quale “tutto si trasforma in una mostruosa
fantasia!”.
Angelo
Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it