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Costume e società: Tutto da ridere. Quando una classe politica incompetente dichiara guerra alla ''cultura''

Rassegna stampa
Tra i tagli dolorosi e ingiustificati che una classe politica cinica e insensibile ha inflitto alla cultura, forse nessuno desta stupore e amarezza più del rinvio sine die, per la solita mancanza di fondi, delle giornate internazionali di studio sul tema «Il sopracciglio nella scienza, nell’arte, nella filosofia» programmate, per il 2013, dal Festival della Scienza di Genova. Una grande occasione perduta che avrebbe riunito nel capoluogo ligure medici, giuristi, storici della scienza e della letteratura, filosofi, sociologi, etnologi confluiti da ogni parte del mondo. E’, forse, superfluo ricordare che il sopracciglio (in latino supercilium; plurale sopracciglia – e alle ragioni per le quali al plurale non fa sopraccigli sarebbero state dedicate ben due relazioni dei massimi glottologi europei) è lo strato di piccoli peli al di sopra dell'occhio che assume, nell’immaginazione poetica, la forma di un’arcata.

Non tutti, però, sanno che la sua funzione principale è quella di impedire che liquidi quali il sudore o la pioggia arrivino nell'occhio compromettendo in tal modo la vista. Una funzione vitale e decisiva a illustrare la quale erano già stati reclutati studiosi provenienti dalle Università di Harvard, dalla Stanford University nonché dall’Istituto Superiore per lo studio del sopracciglio dei prestigiosi Atenei di Francoforte e di Friburgo nonché dell’Université Libre di Bruxelles.

Se si fosse limitato alla parte scientifica il Convegno genovese sarebbe stato già considerato uno dei grandi eventi culturali del 2013 sennonché la sua caratteristica peculiare – in linea con le policies seguite dal Festival della Scienza in questi anni – era la sua interdisciplinarità. Una sezione dedicata all’apprezzamento delle sopracciglia nelle tribù che un tempo si definivano ‘primitive’, prevedeva relazioni di studiosi sia della scuola di Claude Levi Strauss che di quella del nostro Ernesto De Martino, autori di monografie specifiche volte a denunciare i pregiudizi etnocentrici iscritti nel ‘senso comune’ europeo e occidentale – non a caso portato a sottovalutare (se non a ironizzare) l’enorme rilievo che stregoni e sciamani danno alle nostre pelose arcate sopraccigliari. Naturalmente un’importanza molto grande veniva conferita alle letterature. Si spaziava dalla classicità al Novecento, passando per il Medio Evo e il Rinascimento. Due relazioni erano previste per i poemi omerici – l’Iliade e l’Odissea – affidate a un antichista italiano e a uno tedesco, a dimostrazione della centralità conferita dal «poeta sovrano» a una parte del volto umano fin qui troppo trascurata (Si rammenti il canto XVII dell’Iliade nella traduzione di Vincenzo Monti: «Allora coll'ampio scudo ricoprendo il figlio / di Menèzio, fermossi il grande Aiace, / come lïon, cui, mentre al bosco mena / i leoncini, sopravvien la turba / de' cacciatori: si raggira il fiero, / che sente la sua forza, intorno ai figli, / e i truci occhi rivolve, e tutto abbassa / il sopracciglio che gli copre il lampo / delle pupille: a questo modo Aiace / circuisce e protegge il morto eroe. / Dall'altro lato è Menelao cui l'alta / doglia del petto tuttavia ricresce».[sottolineatura mia]) Nel (disprezzato) Medio Evo l’interesse per il sopracciglio non fu minore che nelle repubbliche e nei regni antichi. Lo dimostrano, nel Canto III del Purgatorio ,i versi che Dante dedica all’infelice Manfredi: «Io mi volsi ver' lui e guardail fiso: / biondo era e bello e di gentile aspetto, / ma l'un de' cigli un colpo avea diviso. [c.s.]. Di qui il saggio consiglio degli organizzatori delle giornate di affidare a tre illustri dantisti (inglese, francese e italiano) una tavola rotonda sul tema «Il sopracciglio nella Divina Commedia». Alle soglie dell’Umanesimo, addirittura, Francesco Petrarca, nel Canzoniere (CCXCIX), inaugurava un’intera stagione letteraria tesa a valorizzare l’estetica del sopracciglio: «Ov’è la fronte, che con picciol cenno / volgea il mio core in questa parte e ’n quella? / Ov’è ’l bel ciglio, et l’una et l’altra stella / ch’al corso del mio viver lume denno?». Ne avrebbero parlato, al Convegno di Genova, i più grandi petrarchisti delle due rive dell’Atlantico ai quali si sarebbero affiancati altrettanti esperti dell’opera letteraria di Maurice Scève (1501-1564) – capofila della Scuola poetica di Lione – l’umanista, platonico e petrarchista, che «ottenne rinomanza poetica nel concorso dei Blasons, i ritratti letterari lanciati da Marot nel 1535, grazie al suo «ritratto del sopracciglio». E’ da lamentare, invece, che una sola relazione fosse stata prevista per Guido Gozzano. Eppure come non ricordare le parole che l’amabilissimo poeta crepuscolare aveva dedicato alla «…romantica Luna fra un nimbo leggero, che baci le chiome dei pioppi, arcata siccome un sopracciglio di bimbo…»? Il fatto è che ogni Convegno che si rispetti ha le sue lacune e dimenticanze e sarebbe ingiusto farne colpa al benemerito Festival della scienza. Un settore, invece, per nulla trascurato, invece, era quello dell’arte, soprattutto pittorica. Qui non soltanto gli storici dell’arte, ma altresì i direttori dei maggiori musei d’Europa, d’Asia e d’America erano stati mobilitati per spiegare come, nelle diverse stagioni culturali, il sopracciglio ricevesse , da parte di pittori e scultori un’attenzione talora quasi esclusiva.

Le relazioni avrebbero dovuto spaziare dall’iconografia bizantina al post-impressionismo, dall’astrattismo al futurismo. Una, in particolare, era stata prevista per la figura di Frida Khalo (1907-1954), la grande pittrice messicana ricordata non solo per il suo complesso rapporto col surrealismo ma, altresì, per la sua folta peluria sopraccigliare. Quest’ultima, qualcuno lo rammenta ancora, fu all’origine di una vera e propria insurrezione contro la blogger americana Alison of a Gun che, sul suo Tumblr, aveva postato un'immagine ritoccata del celebre autoritratto del 1940 di Frida Kahlo, in cui la donna appariva senza le folte sopracciglia e la peluria, oltre che con occhi truccati e pelle più chiara. "So che è una sorta di tabù ma ci provo lo stesso",aveva detto, con aria di sfida, la blogger meritandosi l’unanime condanna dei benpensanti di mezzo mondo.

A voler tirare le somme, comunque,il merito degli organizzatori del Convegno, al di là dello stesso sperimentato approccio interdisciplinare, poteva dirsi la capacità di immergerne i temi nella più viva e palpitante attualità, mostrando i mutamenti sottili dei nostri standard etici, estetici e culturali. Un tempo, infatti, sopracciglia senza soluzione di continuità – la famosa ‘visiera’ – facevano pensare subito a individui selvaggi e primitivi sicché mamme e zie provvedevano a dividere, nella parte superiore del naso, la prorompente peluria: oggi, finalmente, si è così guariti da quello stupido pregiudizio etnocentrico che, per valorizzare le dotazioni naturali pilifere, si provvede, sempre più spesso, al piercing sopraccigliare, un segno inequivocabile di riconquistata liberazione da tabù tradizionali. (Tra l’altro, ci sono parse non poco opportune le due previste relazioni sul fascismo che aveva imposto un unico stile sopraccigliare – nero e marcato, of course – e sulla disumanizzazione in atto nel capitalismo avanzato che, eliminando il sopracciglio, in qualche modo robotizza il volto umano, prefigurando un’antropologia da ‘Metropolis’). Non meraviglia, quindi, che molte relazioni venissero affidate ad antropologi e a psicologi, al solito senza preclusioni di sorta – razza, religione, ideologie etc. Saggiamente dalle giornate di studio si era tenuta lontana la politica, nonostante le proteste e le pressioni del Sel, dell’Arcigay, dei centri sociali e dell’Italia dei Valori che avrebbero voluto parlare delle potenzialità emancipatrici che la libera disposizione del sopracciglio riveste per le giovani generazioni. Ma c’era proprio bisogno di ricordarlo in un Convegno aperto da una prolusione di Marc Augé, concluso da una superba relazione di Zygmunt Bauman sul «sopracciglio nella ‘società liquida’» e caratterizzato dalla partecipazione dei più noti sociologi e filosofi del diritto antioccidentalisti del vecchio e del nuovo continente nonché da ben tre relazioni dedicate ai pregiudizi oscurantistici delle Chiesa cattolica contro le sopracciglia e da altre quattro sui pregiudizi borghesi e vittoriani contro le medesime? Senza contare, poi, le relazioni dedicate al millenarismo e all’escatologia sopraccigliare, con evidente, innegabile, valenza politico-ideologica. Qualcuno forse ricorderà che quando Leonid Breznev salì al potere nel 1964, ponendo fine all’era kruscioviana, sui muri di Napoli si poteva leggere l’entusiasmo dei compagni di base del PCI, disgustati dal tradimento di Nikita e dalle sue bugie sui pretesi crimini di Stalin: «adda venì Sopracciglion’!» fu il nuovo grido di battaglia di quanti erano stati umiliati e offesi dal Rapporto al XX Congresso, in sostituzione – è ovvio – del più popolare e battagliero «adda venì Baffon’». Ebbene sarebbero state ben quattro le relazioni – tenute dai più noti sovietologi e cremlinologi del nostro tempo – dedicate a Breznev e alla sostituzione del ‘baffone’ col ‘sopracciglione’ e, inoltre, una dottissima disquisizione era stata promessa da un prestigioso cineasta ligure, Tatti Sanguineti, sulla valenza simbolica sottesa alla convivenza di baffo folto e di non men folto sopracciglio nel volto di Peppone, il sindaco comunista di Brescello, eterno rivale di don Camillo nella saga strapaesana nata dalla fertile mente di Giovannino Guareschi.

A questo punto, con buona pace di Niki Vendola e C., non può certo dirsi, a meno di non essere in malafede, che gli organizzatori avessero rinunciato all’impegno civile. Proprio loro che, d’accordo col nuovo sindaco Marco Doria, per la conclusione dei lavori della prima giornata avevano previsto tutto, persino una tavola rotonda con Oliviero Diliberto, Stefano Rodotà e Giuliano Amato sul diritto al sopracciglio come ‘diritto sociale’ indisponibile da introdurre nella Costituzione. E avevano pensato pure alla partecipazione di comici come Maurizio Crozza e Luciana Littizzetto, maestri di satira politica super partes, e fatto approntare un esilarante copione che avrebbero dovuto mostrare come determinate acconciature delle sopracciglia fossero funzionali al bunga bunga berlusconiano e che poi si sono tirati indietro per ragioni ‘tecniche’ (legate, corre voce, ai vincoli contrattuali imposti dalla RAI e, all’ultimo momento, non era stato più possibile sostituirli con Roberto Benigni e Neri Martorè).) Si diceva “una grande occasione perduta” e, senza dubbio, a ragion veduta come può vedersi da questi rapidi cenni. Resta la profonda amarezza suscitata da uno Stato che, ancora una volta, sembra non rendersi conto che un convegno culturale può essere altrettanto importante che l’abbassamento della percentuale dei disoccupati o dei sottoccupati.

Soprattutto quando il tema è uno di quelli decisivi per la costituzione della nostra complessa identità collettiva.

All’indignazione morale, però, va, sia pure sommessamente, affiancata una considerazione utilitaristica e di basso profilo. I ‘clercs’ italiani, quanto a ‘trahison’, non sono inferiori a nessuno: se, annullando i convegni, si tolgono loro le gratificanti performance televisive e teatrali, gli alberghi di lusso, i voli aerei business class, i gettoni di presenza etc. si corre il rischio di farseli nemici, di ritrovarseli populisti (se non sanfedisti) sotto le bandiere dell’antipolitica. Mai come in questo caso i tagli non sono indolori.

legnostorto.com








Postato il Lunedì, 04 febbraio 2013 ore 06:00:00 CET di Filippo Laganà
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