La
poetica dell’umorismo di Pirandello aveva, quel giorno,
fatto il suo effetto. Ne era sorta in classe una discussione
vivace e accalorata tra i miei alunni. L’oggetto del “dibattimento”
riguardava, ora, la messa a confronto di due forme di pessimismo:
quello dell’agrigentino e quello del recanatese! Da che parte stare?
Chi dei due nostri grandi poeti era il pessimista
meno distruttivo e più ”affidabile”? il pessimista
“eticamente”, e filosoficamente, più accettabile? Leopardi
o Pirandello? La discussione, dopo una sudata ora abbondante,
sembrava essersi arenata. Il nodo da sciogliere, del resto, non era
facile; entrambi gli autori, cantori di una visione
dolorosa della vita, avevano fatto breccia nel cuore e nella mente dei
miei giovani alunni; e decidere a quale tristezza e male di
vivere confidarsi, per non morire totalmente disperati, non era
cosa da poco, per loro! Alla fine, comunque, venne il verdetto che
trovò tutti d’accordo: l’eredità di Pirandello era inaccettabile, il
suo pessimismo era eccessivo, assurdo, pericoloso e negatore
radicale; aveva il sapore della più totale rinuncia alla vita; la
tendenza irrazionalistica del suo pensiero non lasciava spazio a
nessuna speranza di rinascita, di riscatto della condizione
umana; non dava luogo a nessuna base etica di lotta. Nessuna
luce, nessuna fede- neppure laica- sembrava esserci, in
Pirandello, pronta a confortare questa nostra misera
esistenza destinata solo ad essere inghiottita da” una notte perpetua
dopo il giorno fumoso della nostra illusione”! Tutti d’accordo,
dunque, alla fine, i miei giovani alunni. Avevano deciso di stare
dalla parte del Leopardi. Tutti d’accordo, tranne
io! Io non ci stavo! Non potevo, io, sopportare
l’idea che il Nostro agrigentino, alla fine, passasse per
un corruttore d’anime, per un cattivo maestro e, in
sostanza, per uno scettico diseducatore ; non poteva
esserlo-diseducatore- un “classico” come Lui e, per giunta,
premio Nobel E così, intervenni io , quel giorno, nella
discussione, cercando di concluderla nella maniera che mi parve allora,
e lo è, per me, tuttora, più consona alla vera essenza del
pessimismo pirandelliano ! Parlai, in classe, ai miei
ragazzi suppergiù così, a proposito dell’eredità di Pirandello:
“Cari giovani, sembrerebbe a prima vista l’eredità di Pirandello, una
eredità tutta in negativo, l’eredità di uno scettico che rinuncia
addirittura, alla fine, alla parola; e la sua arte umoristica, con la
sua carica dissacratoria e demistificatoria, un’arte diabolica fatta
apposta per accrescere “il mal triste di vivere”, per ridere e irridere
alla tragica condizione umana.
Ma non è così! La carica esplosiva della sua arte, la sua critica
“corrosiva”, non si pone contro la vita ma contro l’esistenza in
tutto ciò che essa ha di finto, di illusorio, di meschino, di disumano
o antiumano, contro l’illusione in quanto sforzo vano di fissare, di
imprigionare, di definire, di conchiudere ciò che per essenza è
mutevole, inarrestabile, indefinibile: la Vita! La vita che non si
spiega, si vive! E come la vita è passione, anche l’arte ha da essere
tale: espressione della verità della vita nella compresenza
antagonisticamente concorde di tutti i suoi innumerevoli aspetti. Il
pessimismo di Pirandello alimenta un’arte che non rinuncia a
celebrare la vita ma , semmai, a esemplificare, al massimo grado,
creativamente, l’infinita relatività del Tutto”.
Meravigliosa terza liceale, sez. D, quella che io ricordo
nell’anno scolastico che non dico. Ventisette alunni: belli,
solari, intelligenti e curiosi. Alla fine della mia “lezione”, qualcuno
più malinconico, sì, ci fu. E, forse, più d’uno; ma era la
dolce e amabile malinconia propria di
giovani che si aprono ai primi amori della vita,
vagamente pensosi del loro futuro e avidi di sapere e di
apprendere e di conoscere il mistero inesplicabile della vita!
Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com