Nel lontano 27
ottobre 1953, un ragazzo di 16 anni si avviava al lavoro, nel turno di
notte, come operaio di supporto agli addetti alla costruzione di una
galleria, in contrada Finocchio, tra le contrade di Ruggirà e Bracalà,
del territorio di Cesarò, ai confini con il Comune di Troina (Enna). Il
giovane operaio andava, come sempre, al suo duro lavoro quotidiano,
anche se, dicono, che quella sera non si sentiva proprio di andare, ma
spinto anche dal fatto che l’indomani sarebbe stato “giorno di paga”,
di malavoglia, andò a compiere “il suo dovere”.
Purtroppo per lui, però, quel giorno non riuscirà a percepire nessun
emolumento, infatti, durante la notte, forse a causa di una sigaretta
accesa da qualche operaio, una falla di gas fuoriuscì e fece scoppiare
la galleria, ed il giovane sedicenne rimase dilaniato dalla tremenda
esplosione.
La morte è sempre una tragedia, ma morire a sedici anni per un “pezzo
di pane”, da portare a casa, è semplicemente assurda.
Quel giovane, Antonino Lipari, nato il 13 giugno 1937, a San Teodoro,
quella mattina, non ritornò più dai suoi cari, il cognato lo trovò in
mezzo alle macerie della galleria, come se stesse dormendo, forse
nessuno pensò a lui in quella tragedia, ed il cognato (mio papà),
ricordava che se lui, quel giorno, si fosse trovato al lavoro, forse,
quel ragazzo di sedici anni, si sarebbe potuto salvare.
Chissà quali erano stati i suoi pensieri durante quel percorso, forse
avrà pensato alla paga del giorno dopo, da portare a casa ed aiutare la
famiglia. Chissà quali erano i suoi sogni, le sue speranze, i suoi
progetti, che quella mattina si infransero, per sempre, nel sonno
crudele della morte.
Antonino Lipari, figlio di Salvatore e Concetta, gente semplice, dediti
alla campagna, era l’unico maschio della sua famiglia, già altri
quattro fratelli erano deceduti, 3 femmine ed un maschio. Era rimasto
soltanto lui con altre quattro sorelle.
Che differenza tra i miei spensierati sedici anni e la giovinezza di
questo giovane che non fece più ritorno dai suoi genitori. Non ritornò
più dal suo “unico nipote”, di quattro anni, che ancor oggi si ricorda,
come in un flash, di un giovane volto sorridente che lo guardava, e che
si ricorda anche della disperazione di sua madre, ed il suo pianto
inconsolabile. Quel giovane sedicenne, vittima di quell’assurda
tragedia, era mio zio Nino, fratello di mia madre.
Ma quella sciagura, quel giorno, sconvolse, oltre la mia ed un’altra
famiglia, colpita dalla stessa sorte, l’intero paesino di San Teodoro,
per le assurde “morti bianche” che ancora oggi, purtroppo, si ripetono
senza fine.
Non scorderò quelle due visioni, che serbo dentro di me: il sorriso di
un giovane viso e il pianto disperato di mia madre. Uno strano e
terribile connubio. Di quei giorni tragici, non ricordo più niente.
Poi, in seguito, ho saputo che il corpo di mio zio, venne restituito
alla famiglia dopo otto giorni, al funerale partecipò l’intero paese,
durante il rito religioso gli venne letta una lettera, e le istituzioni
locali decretarono il lutto cittadino.
Ancor oggi succedono tante, troppe tragedie nei posti di lavoro, ancor
oggi muoiono molti giovani lavoratori, tante “morti bianche”, assurde e
incomprensibili.
Questo fatto, accaduto nel lontano 1953, ha segnato profondamente la
mia vita, ha lasciato dentro di me una scia, un ricordo indelebile, che
ancora adesso, pur essendo in pensione, mi suscita sentimenti di
rabbia, di commozione e di pietà cristiana.
Mio zio Nino, quel volto sorridente, vive nelle profondità delle mie
viscere ed “alimenta” le mie radici, ed è, come me, figlio del paesino
di San Teodoro, detto “U Casali”.
La testimonianza di quella sciagura, e il suo ricordo, siano un monito
eterno affinché tragedie simili non abbiamo mai più a ripetersi.
Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it