Rita Levi
Montalcini, morta oggi a 103 anni, delicata ed elegante icona della
scienza nazionale e dell’impegno civile, era torinese ma un simbolo
dell’Italia che eccelle non solo nella Scienza. Premio Nobel per la
Medicina nel 1986, nel 2001 era stata nominata senatrice a vita dal
presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ”per aver illustrato
la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale”. Era
stata insignita del più alto riconoscimento previsto dalla Costituzione
repubblicana non solo per il Nobel, ma anche per l’impegno e la storia
della sua vita che attraversa le grandi tragedie del Novecento: nata a
Torino nel 1909, laureata in Medicina nel 1936, lo stesso anno in cui
Mussolini emanò il “Manifesto per la Difesa della Razza”, firmato da
dieci “Scienziati” Italiani, prologo alla promulgazione delle leggi
razziali che sbarrarono l’accesso alla carriera accademica e
professionale ai cittadini italiani “non ariani”.
Lei, andò prima a Bruxelles, ricercatrice presso un istituto
neurologico. Ma nel 1940, quando la guerra già divampava, poco prima
dell’invasione nazista del Belgio, tornò a Torino per unirsi alla sua
famiglia. Nel 1941, dopo il pesante bombardamento anglo-americano di
Torino con la famiglia si rifugiò in una casetta di campagna e qui, ha
raccontato, ricostruì il suo mini laboratorio e continuo’ i suoi
esperimenti scientifici. Ma non restò a guardare: si trasferì a
Firenze, si collegò al Partito d’azione e dal ’43 al’ 45 operò in
condizioni drammatiche come medico in un campo di rifugiati di guerra.
Nel ’47 si sarebbe poi trasferita a St. Louis, ma senza interrompere i
legami e gli impegni di ricerca in Italia.
La scoperta che le valse il Nobel nel 1951. Fu a Saint Louis che inizò
i suoi studi nel campo della neurobiologia, che culminano nel 1951 con
la scoperta di un fattore che promuove la crescita delle cellule
nervose. Più tardi questo fattore fu isolato dal veleno di alcuni
serpenti e dalle ghiandole salivarie di alcuni mammiferi e ne fu stata
dimostrata la struttura proteica. Nel 1960, insieme al prof. Stanley
Cohen, che vinse il prestigioso premio, fu in grado di provocare la
distruzione irreversibile dei neuroni del sistema nervoso simpatico
iniettando in gatti appena nati anticorpi contro tale fattore e aprendo
così un nuovo campo di ricerca denominato immunosimpaticectomia.
Altri campi nei quali la Montalcini ha prodotto un notevole contributo
riguardando la sopravvivenza in vitro di cellule nervose di insetti e
la capacità di tali cellule di ricreare sistemi simili a quelli in
vitro e studiarne così le attività fisiologiche. Nel 1969 il Consiglio
Nazionale delle Ricerche crea praticamente apposta per lei il
laboratorio di biologia cellulare e la Montalcini ne diviene il capo.
Prima della sua scoperta del fattore di crescita nervosa (”nerve growth
factor”, la comunità scientifica dibatteva, sul piano esclusivamente
teorico, l’esistenza o meno di fattori capaci di favorire la crescita
di fibre nervose e di guidarne la porzione terminale (poi denominata
cono di crescita) verso gli organi bersaglio. La Montalcini fu tra i
non molti sostenitori di questa idea e la prima a dimostrarne la
validità. La prova definitiva fu trovata durante un suo soggiorno di
ricerca presso l’ Istituto di Biofisica di Rio de Janeiro. Come
racconta la stessa ricercatrice, le capito’ di osservare al
microscopio, con stupefatta gioia, una specie di chioma lussureggiante
di fibre spuntate, come i raggi di un sole, tutto attorno ad una
cellula nervosa. La semplice vicinanza di una cellula normale a certe
cellule tumorali aveva scatenato questo processo di crescita delle
cellule nervose. Il Nobel coronò l’ importanza di questa scoperta per
la quale la Montalcini divenne famosa in tutto il mondo e che le
frutto’ numerosi riconoscimenti: fra l’ altro tre lauree ad honorem
delle università di Upsala (Svezia), Weizmann-rehovot (Israele) e
St.Mary (Usa). La scienziata ha vinto inoltre il premio internazionale
Saint Vincent, il Feltrinelli e anche il premio ”Alfred Lasker” per la
ricerca medica, una onorificenza ritenuta seconda solo al nobel. La sua
vita è stata una continua, frenetica attività spinta dalla voglia di
studiare e ricercare ad ogni costo, anche quando tempi e mezzi non le
facilitavano certo questi compiti.
“Gli scienziati non possono avere un trattamento da impiegati”. “La mia
vita non cambierà – disse dopo aver vinto il premio che ogni scienziato
sogna – il Nobel ha premiato soprattutto l’ invito e la fortuna
di aver compiuto una scoperta che posso datare con precisione, l’11
Giugno 1951. Ritengo il nobel superiore ai miei meriti”. “Temevo di
dover chiudere gli occhi prima di veder riconosciuti questi studi. Ora,
anche in italia, Possiamo fare molto’ – commentò – . Speriamo che la
ricerca italiana esca dai vincoli burocratici che finora ne hanno
mortificato lo sviluppo. Gli scienziati non possono avere un
trattamento da impiegati. Bisogna premiare chi produce e punire chi non
lavora. E’ doloroso ammetterlo ma in Italia la mancanza di stimoli
verso i ricercatori ha costretto ad isolarli in piccoli gruppi, a farli
lavorare individualmente. Negli Stati Uniti, invece, si lavora in
gruppo: oggi è l’unica strada per raggiungere risultati di rilievo”.
“Continuerò a lavorare come ho sempre fatto e il ricavato (circa 200
milioni di lire) lo devolverò in beneficenza e per aiutare i giovani
studiosi di neurobiologia. Sono contenta – aggiunse – perché all’epoca
delle mie ricerche sul sistema nervoso questi studi particolari erano
considerati senza futuro”. Seppe del Nobel con una telefonata: “Erano
circa le 11 ed ero in camera leggendo un giallo di Agatha Christie
quando è arrivata la telefonata da Stoccolma”.
L’impegno per la ricerca e l’elogio per gli Stati Uniti. La scienziata
ammise anche di essere stata ”abbandonata” dai colleghi italiani
dopo la scoperta del ”fatto di crescita nervosa. Hanno preferito
seguire altre ricerche” per raggiungere il successo individualmente.
”eppure – ha sottolineato – gli italiani sono ansiosi di conoscenze. Ho
una esperienza personale: quando ero in America, osservavo che i
ricercatori italiani giunti quasi digiuni. Negli Stati Uniti
raggiungevano e a volte superavano il livello sei colleghi americani in
sei mesi, perché avevano fame delle conoscenze e delle tecnologie che
invece negli usa sono Dispensate fino alla saturazione” . Di lei la
sorella gemella Paola, pittrice e scultrice, disse: “Il suo interesse,
non ha la disponibilità mentale per approfondire i temi dell’ arte. E’
tutta presa dalla scienza”.
In una delle ultime interviste, due anni fa, si disse ”dispiaciuta per
i tanti cervelli costretti ad emigrare perché il nostro paese non li
valorizza e non li sostiene abbastanza. ‘I nostri scienziati sono
un’importante risorsa che non possiamo proprio lasciare scappare. Il
nostro paese non può e non deve farlo”. Per conto suo l’Ebri, (European
Brain research institute) “h0 lanciato un bando per un nuovo capo
laboratorio, per dare a qualcuno dei nostri bravi ricercatori che
lavorano all’estero la possibilità di rientrare”. Nell’istituto
intanto, continueranno, tra gli altri, ”lo studio di varianti dell’Ngf
che forse un giorno ci aiuterà nella lotta contro il morbo di
Alzheimer” e ”sui meccanismi molecolari alla base della fissazione dei
ricordi” disse la scienziata allora 101enne. Dopo la nomina a senatrice
a vita ragionò: ”Sono calmissima come quando andai a ritirare il premio
Nobel. Anzi, sono anche più contenta di allora’. Mi dedicherò in pieno
al problema delle donne in Africa, sia nel campo scientifico che
sociale. E’ un’attività che mi sta occupando parecchio, ma ho bisogno
di maggiori mezzi a disposizione. Incoraggerò anche i giovani a
sviluppare le loro capacità”.
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