ROMA - Le notizie
sono due ed entrambe non suonano molto bene. La prima, già nota, è che
dal 2013 scattano i nuovi coefficienti di calcolo delle pensioni
contributive, che riflettendo l’aumento della speranza di vita
ridurranno gli importi di circa il 3 per cento.La seconda, che emerge
dalle pieghe della contabilità nazionale, è probabilmente più
inquietante: la pesante recessione di questi anni sta incidendo,
negativamente, sui futuri assegni previdenziali. L’andamento del Pil
tra il 2008 e quest’anno farà sì che nel 2013 e nel 2014 i contributi
versati praticamente non si rivaluteranno ai fini della rendita
pensionistica, che di conseguenza risulterà ridotta in maniera
permanente. Per capire cosa accadrà bisogna guardare un po’ più da
vicino il sistema di calcolo contributivo. Con una premessa: dal
gennaio di quest’anno con la riforma previdenziale ricadono in questo
meccanismo tutte le pensioni, ma in modo differenziato: per coloro che
hanno iniziato a lavorare dal 1996 in poi il contributivo è puro e
dunque saranno totali anche gli effetti di coefficienti e mancata
crescita economica sugli assegni. Per coloro che ricadono nel sistema
misto (avevano meno di 18 anni di contributi a fine 1995) l’impatto
sarà minore ma comunque consistente. Mentre i lavoratori più anziani si
vedono applicare il contributivo solo sui versamenti effettuati dal
2012 in poi, con conseguenze molto più leggere anche se non proprio
impercettibili.
IL MECCANISMO DI CALCOLO
Il calcolo è piuttosto complesso, ma in sintesi funziona così: i
contributi versati vengono accumulati anno per anno e rivalutati ad un
tasso dato dalla variazione media quinquennale del Pil nominale (che
comprende quindi sia la crescita reale sia l’incremento dei prezzi).
Questo capitale viene poi trasformato in una rendita pensionistica
attraverso i coefficienti, rivisti ogni tre anni (e in futuro ogni due)
in base agli andamenti demografici. Dunque la revisione dei
coefficienti riduce la pensione ma sulla base del presupposto teorico
che questa sarà percepita per più tempo. Nel 2013 il taglio sarà
intorno al 3 per cento - sempre in riferimento alla quota contributiva
- rispetto a quella che a parità di condizioni è toccata a chi è andato
in pensione entro quest’anno. Ma c’è anche una novità positiva: dal
prossimo anno verranno applicati specifici coefficienti per le età di
uscita superiori a 65 anni. Vuol dire che chi lascia il lavoro più
tardi ne ricaverà un vantaggio in termine di maggiore pensione. Nel
caso di uscita a 70 anni (traguardo che in futuro sarà reso sempre più
vicino dai nuovi e più stringenti requisiti di età e contribuzione) il
beneficio economico arriverà a superare il 16 per cento, rispetto ai
coefficienti attuali. L’altro elemento da tenere d’occhio nel calcolo,
accanto alla demografia, è l’andamento dell’economia. Nel contributivo
infatti è previsto che i contributi versati (per i lavoratori
dipendenti, complessivamente il 33 per cento della retribuzione) vadano
a formare un montante che poi viene rivalutato in base a un tasso di
capitalizzazione dato dalla variazione media quinquennale del Pil
nominale. A suo tempo fu scelto di misurare l’andamento dell’economia
su un arco di cinque anni proprio per minimizzare l’effetto negativo
degli anni di recessione. Ora però capita che alla durissima caduta del
Pil del biennio 2008-2009 si vada a sommare quella di quest’anno,
destinata con tutta probabilità a proseguire nel 2013. E anche i due
anni con il segno positivo sono stati tutt’altro che esaltanti. Ecco
quindi che se saranno confermate le previsioni del ministero
dell’Economia sull’andamento del Pil nominale il tasso di
capitalizzazione per il 2013, che si applicherà per chi andrà in
pensione a partire dall’anno successivo, sarà pari ad uno striminzito
0,1 per cento destinato ad essere replicato nel 2014. Praticamente
zero, ossia nessuna rivalutazione. Solo successivamente, sempre in base
alle attuali stime, il tasso inizierà a ritrovare un valore un po’ al
di sopra del’1 per cento. Poco, soprattutto se si fa il confronto con
un passato recente di crescita comunque non sfolgorante: i tassi di
capitalizzazione erano superiori al 5 per cento negli anni Novanta e
poi si sono mantenuti fra il 3 e il 4 fino al 2008.
LE STIME DELLA RAGIONERIA
Dell’effetto della crisi sulle pensioni future ha preso atto anche la
Ragioneria generale dello Stato nelle sue recenti previsioni aggiornate
sulla spesa previdenziale, che tengono conto delle nuove stime sul Pil.
Consideriamo il tasso di sostituzione lordo, ossia il rapporto
percentuale tra prima pensione e ultimo stipendio. Nel caso standard di
un lavoratore con 68 anni di età e 38 di contributi sarebbe del 70,7
per cento nel 2020: solo pochi mesi fa, con uno scenario un po’ meno
negativo ma sempre sfavorevole, era indicato al 71,2. La Ragioneria
ritiene che nei decenni successivi l’effetto dell’attuale crisi possa
essere riassorbito e stima un tasso di crescita reale medio intorno
all’1,5 per cento. Ma senza un ritorno alla crescita, anche per le
pensioni saranno dolori.
www.ilmessaggero.it