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Umanistiche: Giovanni Pascoli, appunti per una biografia (1855-1912), nel centenario della scomparsa

Redazione
Oltre alle sue poesie e al “mito del fanciullino”, che richiamano alla memoria la nostra infanzia, le luminose aule delle elementari e la voce tonante delle maestre d’un tempo, ci colpisce, di Giovanni Pascoli, la sua difficile e tormentata vita terrena, piena di inquietudine e di smarrimenti, di drammi familiari e di amore per i suoi cari… Così lo vogliamo celebrare, nel centenario della sua scomparsa.
Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna, (oggi San Mauro Pascoli in suo onore), il 31 dicembre 1855, da una famiglia agiata, quarto di dieci figli. Il padre, Ruggero, amministratore dei principi Torlonia, il 10 agosto 1867, quando Giovanni aveva quasi dodici anni, venne assassinato con una fucilata mentre, da Cesena, tornava a casa con il proprio calesse. Le ragioni del delitto, forse di natura politica o forse dovute a contrasti di lavoro, non furono mai chiarite e i responsabili rimasero per sempre oscuri, nonostante tre processi celebrati e nonostante la famiglia avesse forti sospetti sull’identità dell’assassino, come traspare evidentemente nella famosa poesia “La cavallina storna”: probabilmente i mandanti consideravano Ruggero Pascoli un “servo dei padroni”. Ma la tragedia del padre segnò profondamente la vita del poeta. Inoltre, la famiglia Pascoli, in seguito alla sciagura, subì un inarrestabile tracollo economico e, successivamente, una serie impressionante di lutti, disgregandosi: costretti a lasciare la tenuta, l’anno successivo morirono, la madre, per un attacco cardiaco, la sorella Margherita, di tifo, il fratello Luigi, nel 1871, colpito da meningite, e, successivamente, nel 1876, il fratello maggiore Giacomo, anche lui di tifo, che aveva tentato inutilmente di ricostituire il nucleo familiare a Rimini. Le due sorelle, Ida e Maria, furono messe dallo zio, tutore, a studiare in un collegio del convento delle monache agostiniane, dove rimasero per dieci anni, mentre i quattro fratelli vivranno insieme, e Giovanni studierà a Urbino, nel Collegio Raffaelo dei padri Scolopi, grazie ad un assegno concesso dai Torlonia. Nei racconti della sorella Maria, il futuro poeta viene presentato come un ragazzo solido e vivace, dal carattere volitivo e tenaci, impegnato a terminare il liceo ed a proseguire gli studi universitari, ma anche “puntiglioso”, e frustrato, nel ricercare e perseguire l’assassino del padre. Nel 1871, all’età di sedici anni, dopo la morte del fratello Luigi, Pascoli dovette lasciare il collegio e trasferirsi a Rimini, insieme ai suoi cinque fratelli, Giacomo, Raffaele, Giuseppe, Ida, Maria, per frequentare il liceo classico “Giulio Cesare”. In seguito, terminati gli studi liceali a Cesena, dopo aver fallito l’esame di licenza a Firenze, grazie ad una borsa di studio di 600 lire (che poi perse per aver partecipato ad una manifestazione studentesca), Pascoli si iscrisse all’Università di Bologna, dove ebbe come docenti, tra gli altri, il poeta Giosuè Carducci, di cui divenne amico, il latinista Giovanni Battista Gandino, e il critico Severino Ferrari. Nel 1877, dopo aver conosciuto il socialista Andrea Costa, si avvicinò al movimento anarco-socialista, partecipando all’attività politica, e tenendo comizi a Forlì e a Cesena. Dopo la laurea, conseguita nel 1882, con una tesi su Alceo, Pascoli iniziò la carriera di insegnante di latino e greco, nei licei di Matera e di Massa. Dal 1887 al 1895 insegnò a Livorno, al Ginnasio-Liceo “Guerrazzi e Niccolini”. Intanto iniziò la collaborazione con la rivista “Vita Nuova”, su cui uscirono le prime poesie di Myricae. Costretto, per lavoro, a continui spostamenti, volle sempre accanto a sé le due sorelle minori, Ida e Maria, uscite dal collegio, con le quali tentò di ricostituire il primitivo nucleo familiare. Nel 1894 venne chiamato a Roma per collaborare con il Ministero della Pubblica Istruzione. Nella capitale pubblicò la prima versione dei “Poemi conviviali” e conobbe Gabriele D’Annunzio, che lo apprezzò e lo stimolò a continuare a scrivere, e con il quale mantenne sempre un rapporto complesso. Dopo alcuni incarichi universitari a Messina e a Pisa, Pascoli, nel 1906, assunse la cattedra di Letteratura Italiana all’Università di Bologna, succedendo a Carducci. Non riuscendo mai ad “integrarsi” pienamente nella vita sociale delle città dove lavorava, Giovanni Pascoli cercava, in tutti i modi, di crearsi un “ambiente” consono alla sua “visione di vita”, sviluppando una possibile “via di fuga” verso il suo originario mondo agreste. A tal proposito, nel 1895, si trasferì, con la sorella Maria, in Garfagnana, nel piccolo borgo di Castelvecchio, in una casa che divenne la sua residenza stabile, quando poté acquistarla col ricavato della vendita di alcune medaglie d’oro vinte nei concorsi letterari. Affettivamente legato, in maniera quasi eccessiva, alle due sorelle, per preservare quello che pareva essere un “nido familiare”, Pascoli addirittura annullò il suo imminente matrimonio con la cugina Imelde Morri, e mai accettò le nozze della sorella Ida (avvenuto il 30 settembre dello stesso anno), che considerò come un tradimento. Inoltre, si fecero difficili i rapporti con il fratello Giuseppe, che sposò una vedova con figli di un membro della famiglia Pagliarani di San Mauro, che Pascoli riteneva coinvolti nell’omicidio del padre; dopo la fine del matrimonio, Giuseppe, metterà in imbarazzo Giovanni, a Bologna, ubriacandosi continuamente in pubblico, nelle osterie, convivendo con la figliastra e minacciandolo di denuncia per presunti maltrattamenti durante l’infanzia; mentre il marito di Ida, che poi la abbandonerà con i figli piccoli, gli chiede continuamente soldi per i suoi debiti, che Pascoli comunque spesso gli concede. I gravi conflitti politici e sociali che agitavano gli anni di fine secolo e che preannunciavano l’imminente scoppio della Prima Guerra Mondiale, determinarono, progressivamente, in Pascoli, già emotivamente provato dal fallimento del suo tentativo di ricostruire la famiglia d’origine e dai tanti problemi dei propri congiunti, una condizione di insicurezza e di pessimismo ancora più marcati, che lo condussero in una fase di depressione e nel baratro dell’alcolismo: il poeta abusa di vino e cognac. Le sue uniche consolazioni sono i ricordi dell’infanzia, la poesia, e il “nido di Castelvecchio”; anche la perdita della fede, cercata e avvertita comunque nel senso del mistero universale, in una sorta di agnosticismo mistico, lo priva di una possibile “salvezza”, “La fiaccola che lo rischiara è in mano della nostra sorella grande Morte!”. Nel 1911, allo scoppio della guerra italo-turca, presso il teatro di Barga pronuncia il celebre discorso a favore dell’imperialismo, “La grande Proletaria si è mossa”: egli sostiene infatti che la Libia sia parte dell’Italia irredenta, e l’impresa sia anche a favore delle popolazioni sottomesse alla Turchia, oltre che positiva per i contadini italiani, che avranno nuove terre. Si tratta, in sostanza, non di nazionalismo vero e proprio, ma di un’evoluzione delle sue utopie socialiste e patriottiche. Il 31 dicembre 1911 compie 56 anni. Sarà il suo ultimo compleanno: poco tempo dopo le sue condizioni di salute peggiorano. Il medico gli consiglia di lasciare Castelvecchio e trasferirsi a Bologna, dove gli viene diagnosticata la cirrosi epatica; nelle memorie della sorella, invece, viene affermato che fosse malato di epatite e tumore al fegato, forse per nascondere l’abuso di alcool. La malattia lo porta alla morte, il 6 aprile 1912, nella sua casa di Bologna, in via dell’Osservanza n. 4. Il certificato di morte riporta come causa un tumore allo stomaco, ma è probabile fosse stato redatto dal medico, su richiesta di Mariù, per eliminare tutti gli aspetti che lei giudicava sconvenienti per l’immagine del fratello, come la dipendenza da alcool, la simpatia giovanile per l’anarchico Passannante e la sua affiliazione alla Massoneria. Pascoli venne sepolto nella cappella annessa alla sua dimora di Castelvecchio di Barga, dove sarà tumulata anche l’amata sorella Maria, sua biografa, erede universale, nonché curatrice delle opere postume del grande poeta italiano.


Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it








Postato il Martedì, 11 dicembre 2012 ore 06:00:00 CET di Angelo Battiato
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