Oggi, l’artista,
per sopravvivere deve essere - si dice - un creativo, piuttosto che
un creatore. Un prammatico creativo che produce solo in
vista del mercato, e per soddisfare i gusti correnti di probabili
suoi acquirenti. Insomma, egli deve, prima che a "una speciale
remunerazione psicologica", mirare, piuttosto, a una immediata
affermazione del suo "prodotto", in termini di un personale tornaconto
economico. L’arte essendo "un momento del circuito economico
della società", includente, ovviamente, un "financing plan" vero e
proprio, fatto di "astuzie" e di "compromessi", tra soggetti
diversamente interessati ( autore - pubblicitario - editore - fruitore
- critico, ecc. ecc.), obbedienti tutti alle leggi
del mercato. Del resto, la mercificazione dell’arte
nell’epoca della sua riproducibilità tecnica nella società
globalizzata di massa è un fatto datato, e scontato. Ma allora,
mi chiedo: il bello dell’arte è un falso problema ? L’artista
creatore, che preferisce la fame pur di non tradire il suo ideale di
bellezza, il ribelle che sfida il filisteo gusto borghese, che non si
piega alle logiche del profitto, che va controcorrente, che insegue i
suoi sogni di gloria libero dai vincoli del nudo interesse e
dello spietato "pagamento in contanti", è un falso mito romantico
archeologico, decisamente improponibile, o non mai esistito? Una
pietosa menzogna?
A me, non pare. Per i veri grandi artisti, io credo che l’arte sia
sempre stata, ed è, in primis, un bisogno di libertà di espressione
assoluta, e assolutamente disinteressata; che viene prima di ogni altra
prammatica pressura di calcoli economicistici. Un bisogno dell’anima,
che l’artista non può mettere da parte”, (o considerare alla
stregua di un’arte - mestiere qualunque, di cui proverbialmente si
dice: "impara l’arte e mettila da parte"), ma deve necessariamente
soddisfare, come atto identitario gratuito comunicativo-espressivo, a
qualsiasi costo, anche della propria vita. Quanti artisti ribelli a
ogni mercificazione dell’arte, sono morti poveri e/o incompresi,
per inseguire i propri sogni di bellezza e di poeticità e di
purezza, non sempre convergenti con il gusto e l’attesa del pubblico.
Poi, si sa, una volta fatta, l’arte appartiene agli altri. E della
"fruibilità" della sua creatura da parte dei destinatari finali, come
del destino del suo valore effettivo di /sul "mercato",
all’artista non sempre, anzi, quasi mai, è dato sapere. Così, mi piace
credere.
Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com
« L’arte è una questione di libertà,
non di genialità». Ma l’arte è mestiere? Io non credo.