
Occorreva scegliere un libro di testo e Gentile decise che si sarebbe avvalso delle lezioni di filosofia ad uso dei licei del filosofo neokantiano Francesco Fiorentino. Ma la scelta provocò una piccola crisi perché l’insegnante dell’anno precedente , non credendosi prossimo alla partenza, aveva consigliato agli studenti l’acquisto del Corso elementare di filosofia di Carlo Cantoni, apparso a Milano alla fine degli anni settanta. Il libraio si era premurato di fare venire dalla città le copie necessarie e alcuni ragazzi avevano già acquistato la loro. Imbarazzato, il preside raccomandò a Gentile di non cambiare il testo o, almeno, di adottare il Fiorentino per gli studenti del primo anno lasciando agli altri il Cantoni su cui avevano cominciato il programma. Perorò, persino, il libraio la propria causa per scongiurare la scelta del Fiorentino che avrebbe provocato grossi danni al suo già misero commercio. I professori presero garbatamente le difese del libraio. Ma Gentile restava fermo sulle ragioni della sua scelta. Il preside capì, e mise la questione all’ordine del giorno d’una riunione che si sarebbe tenuta l’indomani per definire il programma didattico. E l’indomani, presa "coscienza nitidissima" del suo dovere, Gentile ritornò all’attacco addirittura con la lettura di una memoria scritta la sera precedente e intesa a fissare il suo programma ch’era, soprattutto, di ordine pedagogico. Il libro del Cantoni era sorpassato e andava sostituito; secondo Gentile, fedele alla lezione del Vico e di Hegel, Cantoni aveva scritto un pessimo manuale a cui si doveva la decadenza della filosofia nei licei italiani. Mettere quel libro nelle mani dei giovani sarebbe stato diseducante. Gentile affrontava così, con testarda risolutezza, all’inizio della sua carriera di docente, il suo primo problema d’ordine pedagogico, e la prima delle sue tante battaglie nel mondo della scuola.
In quella sua memoria pedagogica per i colleghi del liceo "Mario Pagano" di Campobasso, scrisse : "Io credo (…) che fine precipuo del mio insegnamento debba essere non tanto insegnare nozioni, elencare cose e descrivere la natura, come se la verità potesse esistere fuori dell’uomo, quanto, piuttosto, l’educazione di una forma; non la produzione di un contenuto mentale, ma una disciplina scientifica del raziocinio e delle energie pratiche degli alunni, più che un sagace apprendimento di certi speciali gruppi di conoscenze”.
Era il documento iniziale di una battaglia per l’insegnamento della filosofia nei licei che sarà il tema ricorrente della sua vita di "riformatore", del filosofo dell’idealismo assoluto.
Nuccio Palumbo
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n.b. L’autore della presente nota si è servito del libro di Sergio Romano : Giovanni Gentile , la filosofia al potere. Ed, Tascabili Bompiani,1990.