Oggi (25/09)
il ministro dell’Istruzione, Profumo, ha detto che occorre rivedere i
programmi di religione e di geografia in senso multietnico e,
conseguentemente, multiculturale. Va dato atto a Profumo di avere posto
un problema importante. L’accostamento fra le due materie non è casuale
e non solo perché la geografia da molto tempo ha posto i temi delle
migrazioni, della multiculturalità e dell’intercultura al centro delle
proprie ricerche e delle proprie riflessioni sul valore dell’educazione
geografica.
Infatti, non mi pare che sia ancora stato rilevato, la geografia è
l’unica materia scolastica che parla di religioni, al plurale e in
termini non dottrinali, come espressioni culturali che connotano e
diversificano le culture, i paesaggi e molte consuetudini delle diverse
regioni del mondo. Inoltre, è ancora la geografia a far notare, quando
sviluppa la geopolitica, che le religioni sono a volte causa di
conflitti, di tensioni e di contese territoriali. Questi temi si
trovano trattati nella maggioranza dei manuali scolastici, e sarebbe
una grave carenza se così non fosse.
La prevedibile levata di scudi, a difesa dell’ora di religione così
com’è, non lascia pensare che i tempi siano pronti a cambiare l’ora di
religione in ora di religioni. Va suggerito allora al
Ministro di considerare la possibilità di offrire più spazio orario al
punto di vista della geografia, l’unica disciplina che già oggi nella
scuola parla di religioni in senso multiculturale, a scala planetaria,
scientificamente, senza implicazioni confessionali, e che lo fa per
educare alla pluralità delle culture e delle etnie del mondo, sempre
più frequentemente compresenti nello stesso spazio di vita, anche nella
realtà del territorio italiano.
Si sa che il ministro Profumo preferisce la letteratura
scientifica internazionale, in inglese, a quella italiana: bisogna
internazionalizzarsi. Fa piacere, perché la conferma di quanto appena
affermato la troverà facilmente sia su importanti riviste geografiche
internazionali sia aprendo qualsiasi manuale accademico di geografia
anglosassone (alleghiamo la copertina di una monografia recente),
mentre molte riflessioni su geografia, cittadinanza e intercultura le
troverà sui testi dedicati all’educazione geografica.
Parta, magari, dalla International Charter on Geographical Education
presentata dall’Unione geografica Internazionale nel 1992, dove già si
afferma che la geografia serve per arrivare alla comprensione delle
“diverse modalità di formazione di territori in base differenti valori
culturali, credenze religiose, tecniche, sistemi economici e politici
(…)” e della “diversità dei popoli e delle società sulla Terra, al fine
di apprezzare la ricchezza culturale dell’umanità”.
P.S. Per i lettori: aiutate a condividere e a far circolare questo
commento: la strada per arrivare al Ministro e ai tecnici del Miur è
molto lunga, come si sa, non in senso lineare, ma in senso culturale.
Ma sarebbe bello se intanto arrivasse almeno a qualche docente, a
qualche dirigente scolastico, a qualcuno che si occupa di intercultura
e di questi temi: da cosa nasce cosa, e il valore educativo della
geografia è ancora tutto da scoprire.
Cristiano
Giorda, Università di Torino
Componente Direttivo Nazionale Aiig