Due su dieci
tra docenti, collaboratori scolastici e assistenti tecnici, il 1
settembre non saranno a scuola. Sono supplenti, precari: una direttiva
comunitaria li vorrebbe di ruolo, la legge italiana li vorrebbe in
servizio, ma l’amministrazione li nomina ad anno iniziato con gravi
ricadute sulla progettazione educativa e didattica. Per il Miur, supera
il 15% la dotazione organica di supplenti a cui ricorre ogni anno per
far funzionare le scuole: un male endemico, però, da non esorcizzare,
per presunte superiori esigenze di finanza pubblica, a rischio
dell’apertura di una seconda procedura d’infrazione a carico del nostro
Paese da parte della Commissione UE. Tra assegnazioni provvisorie,
utilizzazioni, dimensionamenti improvvisi, pensionamenti coatti o
rinviati, i numeri ogni anno non tornano a Viale Trastevere cosicché la
scorsa estate con un emendamento al decreto legge n. 70 si è deciso di
spostare dal 30 luglio al 31 agosto il termine per chiudere le
operazioni di nomina e consentire un sereno avvio del nuovo anno
scolastico. Sembrava la soluzione giusta per le famiglie dei nostri
studenti e per i tanti lavoratori precari della scuola che in migliaia
dovevano cambiare provincia lavorativa, non sapendo che al nastro di
partenza si sarebbero ritrovati senza una proposta di assunzione. Già,
perché i precari senza i quali la scuola chiuderebbe, sono individuati
dai dirigenti dell’amministrazione periferica a settembre inoltrato e
fino al natale successivo con gravi ricadute sulla definizione del
piano dell’offerta formativa e sull’ordinario funzionamento degli
organi collegiali. Di chi è la colpa: non certo del ministero della
Funzione Pubblica che non firma la contrattazione integrativa raggiunta
tra Miur e Sindacati sulla mobilità del personale docente, bloccando
tutte le operazioni seguenti; non ancora dei dipendenti sempre più
ridotti degli ambiti territoriali prossimi al travaso nelle regioni.
Forse lo sono allora i precari della scuola, vittime sacrificali, i cui
stipendi possono essere risparmiati? E’ arrivato il momento di dire
basta alla precarietà del rapporto di lavoro nella scuola, vera nemica
non soltanto della programmazione ma anche della continuità didattica.
Lasciateci, almeno, l’onore, perché l’illusione è stata svelata.
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