Ritengo
che sia alquanto difficile, al giorno d’oggi, parlare di coraggio e di
uomini coraggiosi. Tuttavia cercherò di parlare di quest’argomento
solamente dal punto di vista letterario – filosofico.
Il termine coraggio è un sostantivo maschile che proviene dal
provenzale “coragte”, a sua volta dal latino “cor”, “cordis” che
proviene da cuore, quindi, il coraggio è “la forza d’animo
nell’affrontare pericoli o situazioni difficili”. Il coraggio è,
quindi, sinonimo di ardimento, intraprendenza, bravura, prodezza,
temerarietà.
Il coraggio “civile” significa affrontare rischi e pericoli per il bene
pubblico, per i propri cari, o per amore della verità e della giustizia.
Si deve avere il coraggio delle proprie azioni od opinioni, e
sostenerle senza paura e a viso aperto.
Si può fare coraggio, cioè rincuorare, esortare gli altri a farsi forza
in un momento difficile.
Ci si può anche perdere di coraggio, cioè scoraggiarsi, come si può
prendere il coraggio “a due mani” e farsi forza dopo molte incertezze
per affrontare decisamente e risolutamente un momento, o una situazione
difficile.
Il coraggio, “virus – fidentia”, “animus”, da cuore (cor, cordis),
cioè, la forza d’animo per cui un uomo mette tutto se stesso per agire
in una determinata situazione che si prospetta difficile o addirittura
pericolosa e prendere “a cuore” il problema per affrontarlo e
risolverlo.
Nei libri di storia abbiamo letto di tanti uomini valorosi e coraggiosi
nell’affrontare “il nemico” sul campo di battaglia. A tal proposito, io
farei una distinzione, pur non togliendo nulla al valore dell’azione in
battaglia, credo, però, che vi sia “una spinta” collettiva diretta per
la conquista di qualcosa. Certo, l’ardimento personale nell’azione,
quando viene dimostrato, bisogna anche apprezzarlo, ma io voglio
soffermarmi su un’altra forma di coraggio, sul coraggio civile che il
più delle volte è “individuale” e quindi molto personale.
Questo tipo di coraggio (quando si ha) si acquista analizzando se
stessi, oserei dire, “parlando” nel proprio intimo, “parlando” al
proprio cuore per sentire quello che dice, quindi, dopo questa
autoanalisi, dopo essersi interrogati ed analizzando anche i rischi a
cui si va incontro, che si ha il coraggio delle proprie azioni e delle
proprie opinioni per affrontare il tutto a viso aperto senza paura.
Questo, per me, è il coraggio.
Penso ai tanti martiri uccisi sotto l’Impero Romano, torturati,
sbranati dalle bestie feroci, trucidati in vari modi, per aver
dimostrato il coraggio delle proprie idee, della propria fede. Chissà
in quale “stato emozionale” si sono trovati in quei momenti, eppure
hanno avuto la forza d’animo e il coraggio, di non rinnegare il proprio
credo. Questo è il coraggio personale, molto individuale.
Penso ai tanti contadini ugonotti, perseguitati e uccisi, in Francia,
in Spagna, nell’Italia del Nord, in altre parti d’Europa, caduti sotto
gli armigeri di Carlo V. Penso a Giovanna d’Arco, a Girolamo
Savonarola, a Giordano Bruno, ad Arnaldo da Brescia, a Jan Hus,
bruciati sul rogo perché non hanno abiurato la loro fede.
Martin Luther King, in un suo meraviglioso libro, ha scritto, “Il
coraggio di amare, non il proprio padre, la propria madre, fratello,
figlio, ma chi non ha il colore della pelle come il nostro, chi non la
pensa come noi. In questi casi è difficile amare, eppure questo tipo di
coraggio, quello di amare, è molto raro possederlo perché è un coraggio
che viene dal profondo del cuore, e siccome è una virtù lo può dare
solo il Signore”.
Faccio una distinzione tra due tipi di coraggio. Il coraggio
“collettivo”, sotto la spinta di un’idea, che viene contrapposta ad
un’altra idea. Dove, da una parte e dall’altra, ci sono degli “eroi”,
coraggiosi, che si battono per il rafforzamento della propria dottrina.
Il coraggio “personale”, dell’individuo di ogni giorno, dove si ha il
coraggio di non perdersi d’animo, nonostante le avversità, a causa di
un lutto familiare, di una grave malattia, di una catastrofe. Il
coraggio di esporre le proprie idee, ma senza astio, senza rancore,
senza denigrare od inveire, possibilmente, amando e rispettando
l’altro, pur sapendo che, molto spesso, non sei ricambiato.
In questi tempi bui ed “aridi” in cui versa la nostra società, bisogna,
soprattutto, avere il coraggio di gridare, ai quattro venti, che c’è un
Dio che, un giorno, giudicherà ognuno di noi secondo le azioni
che abbiamo compiuto.
Camminare con coraggio e a “testa alta”, rispettando e tollerando gli
altri anche se non si condividono le loro idee, significa possedere una
grande virtù, un grande coraggio, significa, soprattutto, poter dire
agli altri una parola buona, positiva, piena di speranza.
Infine, a tal proposito, voglio esprimere la mia solidarietà a tutti i
servitori dello Stato, ai tanti “silenziosi” servitori che in vari
campi si prodigano ogni giorno per il benessere della società con
professionalità, abnegazione e con coraggio. A tutti quei servitori che
sono morti nell’adempimento del loro dovere, andando contro corrente e
quindi con coraggio. “Beati quelli che sono affamati ed assetati di
giustizia. Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro
è il Regno dei Cieli”.
E mi piace ricordare una frase pronunciata dal grande Martin Luther
King: “Anche se avrò aiutato una sola persona a sperare, non avrò
vissuto invano”.
Tale è l’intendimento di queste mie brevi riflessioni. Aiutare qualcuno
a sperare e ad avere coraggio. Anche questo è coraggio!
Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it