Come ai vecchi tempi
in cui leggeva i suoi racconti alla Vecchia Pirri davanti agli amici e
ai bicchieri di birra vuoti facendo le ore piccole, anche oggi Ugo
Cornia narra una storia come un pretesto per creare un telaio nel quale
infilare le più incredibili divagazioni e presentare i personaggi più
strani. “Il
professionale”, il romanzo appena pubblicato da Feltrinelli, è
una storia di scuola ma sopratutto di vita, anzi: di vite, quelle delle
mille persone che ruotano attorno a un fatto semplice che procede
dritto come un fuso verso l’assurdità della vita quotidiana. Infatti,
“Il professionale” – sicuramente uno dei suoi migliori romanzi – è la
storia di un uomo ormai non tanto più giovane che si stanca di vivere a
scuola, prima da studente dubbioso e svogliato, e poi da insegnante
precario. Un mancato incidente stradale lo spinge a licenziarsi; fatto
insolito nel mondo degli statali. Da lì si apre uno spiraglio nella sua
vita, finché i soldi non vengono a mancare e con loro l’amore e la
libertà. Passato un perido di ricerche e incertezze su cosa fare, ormai
disoccupato a tutti gli effetti, la scoperta di non essere stato
depennato dalle graduatorie lo spinge in un momento di grave crisi
finanziaria ad accettare volentieri un incarico da insegnante. E,
guarda caso, finisce accanto alla scuola che aveva lasciato: nello
stesso edificio, ma in un istituto professionale. Nella veste di
istituto professionale, la scuola si trasforma in un microcosmo
sgangherato e molto umano di personaggi che riescono a tenere in piedi
una struttura non proprio perfetta ma la mandano avanti con una spinta
più umana che burocratica mentre gli studenti si prodigano in numeri da
circo con scarsissimo interesse per le lezioni.
In mezzo a questa storia professionale di un insegnante che scopre una
vocazione più sana ma non proprio ortodossa rispetto a quella che
normalmente si immagina, si incontra una ricchissima fauna umana, come
in tutti i racconti di Cornia, che si prodiga in ragionamenti e
comportamenti al limite dell’assurdo o dell’incomprensibile. Figure che
ti restano impresse anche perché si incontrano davvero. Ricordo solo,
verso l’inizio, la vecchia zia apprensiva che vive la vecchiaia attorno
a un divano (un tipo di parente che tutti noi abbiamo avuto) oppure la
bellissima descrizione della passione per una ragazza della Bassa
reggiana dai tratti duri, un po’ da unno, pronta a cucinare in
piccolissimi pentolini e dedita a lunghi e focosi amplessi: lo lascierà
per eccesso di passione la dove lo aveva conosciuto, a Carpi. Pezzi
splendidi. Come all’inizio la storia del cane investito. O più avanti i
ricordi del professore di religione al liceo, un prete soprannominato
don Fischio, ossessionato dalla pornografia. Potrei moltiplicare le
citazioni ma non servirebbe a niente: non rendono, tantomeno in una
recensione. La galleria dello zoo umano di Cornia è talmente ricca che
alla fine solo lui, con la sua lingua senza punti, con le sue
frasi infinite, concatenate e dislessiche, che si riuniscono là dove
sembravano essersi perse per sempre, riesce a dare un senso. A volte
diventa una narrazione così familiare che, ripensandoci, pare che
proprio lui, l’autore in carne e ossa, te l’abbia raccontata tutta di
fila due o tre sere prima. Come ai tempi della Vecchia Pirri.
Gregori-modena.blogautore.repubblica.it