È
stato pubblicato in questi giorni uno studio, realizzato dai
ricercatori P.J. Altbach, L. Reiseberg, M. Yudkevich, G. Androuschak e
I.F. Pacheco, intitolato Paying the Professoriate. A Global Comparison
of Compensation and Contracts e pubblicato dalla prestigiosa casa
editrice Routledge, nel quale vengono messi a confronto gli stipendi
dei docenti universitari (suddivisi nelle tre fasce di ricercatori,
associati ed ordinari) di 28 tra i principali Paesi del mondo. Il
quotidiano “la Repubblica” ha anticipato, in un articolo firmato da
Corrado Zunino e prontamente ripreso dal sito del governo, che da
questo studio risulterebbe che i docenti italiani sono tra i più pagati
del mondo, addirittura secondi (dietro il Canada) nella classifica dei
28 Paesi stilata dagli autori della ricerca. Il giornalista del
quotidiano diretto da Ezio Mauro, nel confrontare la situazione dei
nostri docenti con quella dei professori universitari nei Paesi
anglosassoni, afferma che, mentre là i docenti vengono retribuiti solo
nei periodi in cui effettivamente insegnano, “…da noi, lo stipendio si
prende tutti i mesi – anche in estate, con le università chiuse – e a
Natale invece del tacchino arriva la tredicesima”: un modo come un
altro per dire che i professori dei nostri atenei sono una massa di
bambini viziati, che non sanno fare altro che piangere continuamente
miseria mentre incassano stipendi favolosi.
L’uscita di Zunino non è stata delle più felici: su vari siti e
blog, tra cui quello della Flc-Cgil, sono apparse, all’indomani della
pubblicazione dell’articolo, una serie di repliche nelle quali si
dimostra con dovizia di particolari che le cifre fornite dal pezzo di
“Repubblica” (non quelle dello studio, che per ora sono note solo
parzialmente tramite anticipazioni giornalistiche) circa l’enormità
degli stipendi dei docenti italiani sono completamente sballate e tese
soltanto a denigrare una volta di più i nostri professori,
evidentemente non abbastanza “bastonati” negli ultimi anni dai media e
dal governo Berlusconi.
Non è qui possibile, per ovvie ragioni di spazio, citare tutte le
inesattezze rilevate nell’articolo di Zunino da parte di professori,
ricercatori, sindacalisti ed altri operatori dell’informazioni presenti
online. Limitiamoci all’errore più evidente: nell’articolo di
“Repubblica” si fa riferimento ad uno stipendio “medio” netto di 4.345
e lordo di 7.423 euro, peraltro senza dire in che modo vengono ricavate
tali cifre. Ammettendo comunque che siano vere, basterebbero da sole a
smentire l’affermazione sui docenti italiani secondi al mondo per soldi
incassati: infatti, uno stipendio come quello riportato sopra
collocherebbe i nostri professori non solo dietro a quelli canadesi, ma
anche alle spalle di quelli statunitensi, inglesi, sudafricani, arabi,
malesi ed australiani. Il problema è che queste cifre non sono neppure
vere, in quanto da esse si devono sottrarre le addizionali Irpef e,
soprattutto, il calcolo degli anni di anzianità, perché in base alla
legge Gelmini il passaggio da una fascia di docenza all’altra comporta
la perdita di anni di anzianità (così, ad esempio, un professore
associato con vent’anni di servizio ne mantiene solo otto se diventa
ordinario, e lo stesso discorso vale per chi, da ricercatore, passa ad
essere associato).
Ovviamente varrebbe la pena di leggersi tutto lo studio, per capire
davvero se, al netto delle semplificazioni giornalistiche (non si sa
quanto interessate), la conclusione alla quale sono giunti gli autori è
la stessa riportata da “Repubblica”: se così fosse, sarebbe un brutto
errore da parte loro, perché, alla luce dei fatti, è difficile dire che
i nostri docenti (non parliamo, ovviamente, dei famigerati baroni, ma
dei normalissimi professori e ricercatori, che sono poi la stragrande
maggioranza) se la passino così bene come tanti vorrebbero farci
credere.
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