C’è un motivo
ragionevole perche un preside debba vietare gli scambi su facebook tra
insegnanti e allievi? Forse ci sono diverse ragioni per
sconsigliarlo…ma la censura. Le argomentazioni di Aldo Durì, che dirige
l’Isis “Malignani” di Cervignano del Friuli e che ha preso questo
drastico provedimento, sono prevedibili: 1. «Tra i contatti convivono
adulti, parenti, adolescenti, studenti che frequentano le classi di
quegli stessi insegnanti. Dal punto di vista deontologico è una cosa
oscena. Ci sono distanze che vanno rispettate». 2. «Il professore non è
l’amico e non deve essere un confidente ma è, soprattutto, un docente.
Fare confusione in merito alla diversità dei ruoli è un elemento di
assoluto disorientamento». Fin qui si direbbe che il preside Durì fermi
principi di tale serietà che (e, diciamolo, ovvietà) che prescindono
dai social network ma che semmai gli suggerirebbero di sconsigliarne
l’uso più che di emanare un editto di proibizione. Perché è vero che il
canale non è mai neutro e che un mezzo così, per definizione, informale
come facebook rischia di favorire un contatto friendly con chiunque,
persino con il proprio professore che sula carta dovrebbe rappresentare
più un modello autorevole che un “amico” con cui chiacchierare e magari
“cazzeggiare” la sera. Ma ciò non toglie che il rispetto dei codici
linguistici e comportamentali vada oltre il canale di comunicazione.
C’è da ritenere che se un ragazzo non percepisce l’autorità su FB sia
difficile che la percepisca de visu: la mancanza di rispetto, quando
c’è, precede qualsiasi dialogo sui social network. E quando c’è, è
improbabile che venga meno nello scambio a distanza. Si aggiunga che
qualche insegnante giura di aver riportato in classe, proprio grazie ad
un contatto FB, studenti che avevano deciso di da settimane di darsela
a gambe: come vietarglielo se la scuola ha anche (sempre più) funzioni
di assistenza sociale e psicologica?
Ci sono poi osservazioni meno generiche (a carico dei suoi insegnanti)
su cui Durì insiste per giustificare il “provvedimento d’urgenza”. Ed è
l’allusione ad alcuni episodi circoscritti. “Un professore non può
scendere dalla cattedra e dare giudizi inopportuni pubblicamente sul
preside e sui colleghi”. E qui non ci siamo proprio: sarebbe come
sorprendere la propria moglie in dolce compagnia e pensare di risolvere
il problema eliminando il letto che ha ospitato il letto lei e il suo
partner. Perché non affrontare direttamente il prof in questione
riportandolo a una condotta degna del suo ruolo? Quel “pubblicamente”
(il corsivo è mio) segnala poi una preoccupazione più di facciata che
di sostanza. Domanda: e se i “giudizi inopportuni” dei docenti
venissero espressi al telefono o via mail sarebbe “deontologicamente”
accettabile? Quel comportamento non sarebbe altrettanto
deontologicamente inaccettabile? «Rapporti di amicizia con studenti –
continua il preside – sono ammissibili solo nell’ambito di gruppi
espressamente dedicati all’effettuazione di progetti o ricerche o
attività scolastiche». Ma di che amicizia sta parlando? Della sedicente
amicizia tra internauti o di amicizia tradizionalmente intesa (anche
senza aver letto Cicerone), cioè pre-superficialità e-social
(a-sociale)? Spetterebbe a un educatore per primo, appunto, evitare la
confusione, se (giustamente) di confusione vogliamo parlare.
Paolo
Di Stefano - Corriere della Sera