Scrivere
“squola” con la “q” è certamente un errore, ma nella valenza del
messaggio che unisce la realtà scolastica istituzionale a quella
valoriale e organizzativa di gruppo, equipe, comunità, il titolo
“squola” è di effetto e corrisponde ad una mirabile sintesi di valori.
Mentre si celebrano i primi cento giorni del premier Monti, con una
ricchezza di elogi e di approvazioni internazionali e di positivi
frutti, ancora soltanto all’orizzonte, la realtà economica del Paese
lecca le tante ferite, retaggio di una gestione poco rispettosa del
bene comune e quindi di tutti.
Anche all’interno della realtà scolastica le opposizioni ed i contrasti
sindacali vanificano il tanto e prezioso lavoro dei bravi docenti e
professionisti dell’educazione, non certamente impiegati ad ore.
Fra le tante anomalie della professione docente c’è quella della durata
del lavoro che non è soltanto quello dedicato alla lezione in classe,
ma comprende e prevede quello dello studio, della preparazione e
dell’organizzazione della lezione. Il docente che alla “c” della
cultura, della cooperazione, della comunità educante, vuole aggiungere
la “q” della qualità e delle “questioni” educative occorre una
specifica linea di formazione anche per il corretto e didattico uso
delle nuove tecnologie e la lavagna interattiva multimediale (LIM).
Perché la scuola possa riconquistare il gradino sociale d’importanza e
di efficienza formativa bisogna smussare gli angoli delle acute pretese
sindacali, quando non sono supportate da norme che tendono a dare
qualità alla scuola.
Anche se sembra ritornato il maestro unico o prevalente rimane
indispensabile all’interno della comunità scolastica il lavoro di
squadra, la cooperazione dell’intero team docente.
Le conquiste della democrazia partecipativa: il consiglio di classe, il
collegio dei docenti, il consiglio d’Istituto, anche se in attesa di
opportune e indispensabili modifiche, rivelano la necessità di operare
mediante un diligente e dinamico lavoro di squadra.
L’insegnamento disciplinare passa attraverso la progettazione
didattica elaborata all’interno dei “dipartimenti disciplinari” che
dovrebbero favorire e indirizzare verso l’interdisciplinarità dei
saperi e delle conoscenze.
Il dirigente scolastico e i docenti, “insieme” e non solo “accanto”,
guidano la comunità scolastica e la indirizzano verso i traguardi di
qualità e di efficienza, oltre che di produttività del lavoro
realizzato in classe.
Operando come squadra, gruppo di lavoro, che ha comuni obiettivi e
ricerca strategie convergenti, - in lingua francese l’espressione
felice è il termine “équipe” - i docenti si mettono in discussione e
indirizzano la ricerca metodologia verso quelle strategie che
favoriscono con minor spreco di tempo e di energie l’acquisizione di
nuove conoscenze e lo sviluppo di nuove competenze per tutti e per
ciascuno.
Nel lavoro di squadra è necessario, secondo la metodologia del
“cooperative learning” che ciascun membro del gruppo svolga all’interno
una funzione: osservatore, verbalizzatore, coordinatore, reporter, e
quindi è necessario che ciascuno svolga la sua parte.
Quando ciò non avviene la nave della scuola si ferma, non procede e se
è vero quel che dicevano gli antichi latini “non progredi, regredi est”
l’assenza della cooperazione produce rovina e malessere a danno
dell’intera comunità scolastica.
Sono molte oggi le scuole ferme che aspettano il rilancio e il
risveglio, sono tante le scuole che nella trasformazione provocata dal
dimensionamento attendono nuova linfa per ripartire con un nuovo nome,
una nuova identità, quasi con una missione specifica di qualificazione
del servizio scolastico “secondo i bisogni dell’ora che volge”.
Se il lavoro di squadra contribuisce a recuperare l’identità della
scuola, luogo privilegiato di educazione e di formazione dell’alunno
persona che, apre i suoi occhi al vero, cresce insieme agli altri,
diventa uomo e cittadino e guarda al suo futuro restando fedele ai
valori della sana educazione familiare, ben venga la “squola” con la”q”
protesa alla qualità, che spesso non è riconosciuta né dai politici né
dai Governi i quali con la fretta spesso saltano le consonanti e
scrivono “suola” e quindi si sentono autorizzati a calpestarla e ad
emarginarla, dando maggiore importanza alla “e” dell’economia, anziché
alla “e” dell’educazione.
La carenza educativa nella società, anche se non se ne colgono gli
immediati e visibili segni, secondo specifiche ricerche e indagini
sociologiche, produce un danno maggiore che la recessione economica e
l’innalzamento dello spread finanziario.
Giuseppe
Adernò
g.aderno@alice.it