L'esigenza
di abolire il valore legale delle lauree, che fino a poco tempo
fa era un tema confinato nei dibattiti fra pochi intellettuali, si è
finalmente imposta con forza nei piani alti della politica. Il problema
ha fatto irruzione nel Consiglio dei ministri. Ma anche qui ha trovato
fiere resistenze, e ogni decisione è stata rinviata. Pare che un
ministro abbia obiettato: «Non dimentichiamo che la laurea ha un
significato anche culturale per le famiglie italiane».
L'affermazione che «la laurea ha un significato anche culturale» è
assai curiosa. La laurea non dovrebbe avere un carattere esclusivamente
culturale (e scientifico)? In realtà, quella paroletta allude anche a
una realtà assai più prosaica: molte famiglie credono che, conseguita
una laurea, i loro figli avranno un «posto» assicurato; e spesso il
disinganno è atroce. Inoltre, chiunque abbia insegnato in una
università sa che agli esami si presentano spesso degli strani
studenti: vigili urbani, poliziotti, impiegati dello Stato e del
parastato che sono alla caccia della maledetta laurea per ottenere una
promozione. Non è, questa, una situazione assurda, e tutto sommato
indecente?
Ma c'è molto di più, e molto di peggio. C'è il fatto che in questo
nostro povero Paese sono sorti, in men che non si dica, decine e decine
di atenei. Oggi gli atenei sono più di un centinaio, e si può
facilmente immaginare quale sia il livello di molti di essi. Grandi
studiosi e grandi specialisti, quali devono essere i professori
universitari, non si improvvisano, e richiedono lunghi anni di
preparazione e di selezione. Invece in Italia moltissimi professori
universitari sono stati creati in quattro e quattr'otto, sicché un gran
numero di essi ha requisiti di gran lunga inferiori a quelli che
avevano i professori di liceo nella prima metà del secolo scorso. Il
risultato di tutto ciò è che decine e decine di sedicenti atenei (ma
tutti rigorosamente riconosciuti dallo Stato), con docenti creati dal
nulla (si pensi al numero elevato di «contratti» accordati oggi),
rilasciano centinaia, migliaia di lauree, che non valgono nemmeno la
carta su cui sono scritte.
Va da sé che queste lauree hanno assolutamente lo stesso valore
(legale) delle lauree rilasciate da atenei seri, da corsi di laurea che
hanno ancora professori di rango e attrezzature scientifiche adeguate
(di queste isole felici ce ne sono ancora in Italia). Dunque, il
laureato sprovveduto (di reale preparazione), ricevuto l'alloro dal
professore improvvisato, ha un titolo legalmente equipollente a quello
di un laureato che ha seguito un serio curriculum di studi in una
università degna di questo nome. Si può immaginare una situazione più
grottesca di questa?
Non stupisce, quindi, che il bubbone sia scoppiato nel Consiglio dei
ministri (dove avrebbe dovuto, in realtà, scoppiare parecchi anni or
sono: ma non si voleva disturbare i politicanti che regalavano l'ateneo
al loro campanile). Sembra che il premier abbia citato Luigi Einaudi, e
il suo famoso articolo «Vanità dei titoli di studio». La citazione è
stata più che mai opportuna. Perché se l'articolo di Einaudi diceva
cose validissime quando fu composto (nel 1947), quelle cose sono più
che mai valide, e drammaticamente attuali, oggi. Scriveva Einaudi:
«Scuole e università, pubbliche e private, rilascino certificati e
diplomi a loro piacimento. Certificati, diplomi e dottorati avranno
quel solo valore che gli insigniti sapranno meritarsi». Perciò Einaudi
chiedeva «contro i titoli fasulli, odierni e futuri», questo rimedio:
«Fare obbligo a tutti coloro i quali si fregiano di un qualsiasi titolo
di far seguire sulle carte da visita e da lettere, sulle targhe apposte
al portone di casa e all'uscio dell'ufficio, al proprio nome, cognome e
titolo l'indicazione, tra parentesi, della scuola o facoltà
universitaria che ha rilasciato il diploma». Così, sulla base
dell'apprezzamento e della valutazione che il laureato conseguirà
nell'azienda industriale, nell'organizzazione commerciale, nell'ente di
ricerca, tutti sapranno farne merito all'ateneo che ha rilasciato
quella laurea, e quindi tutti sapranno distinguere le lauree vere da
quelle fasulle. A prescindere, naturalmente, dal loro valore legale,
che deve essere abolito.
Giuseppe
Bedeschi (Corriere della Sera)