Competenze: gli
equivoci
L’emanazione delle Direttive n. 4 e 5 del 16 gennaio 2012, riguardanti
le Linee Guida per il Riordino del triennio degli istituti tecnici e
professionali, riportano in primo piano il tema-problema delle
competenze, che ne costituisce un aspetto centrale.
L’applicazione delle Linee Guida per il primo biennio non ha fatto
fare, su questo versante, passi significativi; forse neanche in termini
di maggiore consapevolezza.
Riprendere pertanto la questione, cercando di fare un po’ più luce in
primo luogo su alcuni equivoci e potenzialità al riguardo, può essere
operazione sensata.
Parto da un’ovvietà, comunque da rimarcare: recuperare il senso e
ridisegnare la missione del fare scuola è sempre più una esigenza
diffusa.
È in questa prospettiva che andrebbe ripreso e approfondito, con uno
spirito un po’ più libero e avvertito, il ragionamento sulle competenze
chiave – che sono tra l’altro centrali, come sappiamo, nel Regolamento
sul nuovo obbligo decennale e rilevanti anche nei nuovi ordinamenti
della secondaria di primo e secondo grado –.
In una discussione meno condizionata da pregiudizi e inerzie,
potrebbero probabilmente essere recuperate e valorizzate opzioni
culturali e pedagogiche capaci di dare la spinta giusta, assieme ad
altre misure “materiali”, ai processi di cambiamento in atto.
Tuttavia, sarà prioritario liberarci, al riguardo, di alcuni equivoci.
Il primo, ancora abbastanza
diffuso nelle nostre scuole, è che parlare di competenze significhi
prescindere dai saperi. Ragionamento insensato, dal momento che le
conoscenze, i saperi rimangono comunque il nutrimento primo di ogni
vera competenza.
Un secondo equivoco è che le competenze rappresentino l’unico risultato
degli apprendimenti a scuola; le competenze presuppongono certamente
conoscenze e forme anche alte di elaborazione, ma non vanno confuse con
la cultura, intesa come insieme organico di saperi, visione del mondo,
‘testa ben fatta’, che è poi l’obiettivo ultimo del fare scuola.
Un terzo è che competenza sia un termine generico, prossimo al ‘saper
fare’, con l’aggiunta di un po’ di conoscenze a supporto; e non –
piuttosto - una nozione circoscritta, che va poi ovviamente declinata
in rapporto ai contesti, alle mission che stanno dietro ai vari campi
di attività alle quali si applica.
Così, il termine ‘competenza’, riferito alla scuola (per restare nel
nostro campo), ha connotati diversi da quelli che assume nel mondo del
lavoro e delle professioni, anche se può attingere da essi stimoli di
vario tipo.
In campo scolastico, la nozione ha a che fare in primo luogo con l’idea
di cittadinanza attiva, cioè con i saperi e le capacità che sono a
fondamento del viver civile; in altri termini, con una idea di ‘polis’
dove il cittadino, per essere tale - e fare la sua parte -, deve
maturare determinati requisiti, funzionali alla sua propria
realizzazione, ma anche allo sviluppo sociale e culturale e al
benessere collettivo.
Penso tuttavia che sia un errore identificare in toto la cittadinanza
attiva con le social skills proprie della cultura anglo-sassone: essa –
la cittadinanza attiva - si alimenta di saperi di base fondamentali per
orientarsi, apprezzare, sviluppare, vivere al meglio. Sono i saperi
delle “discipline”, a cui van fatte corrispondere competenze-chiave
specifiche, da assumere contestualmente alle competenze chiave di
cittadinanza. (Va qui però richiamato che forse il primo step è
recuperare alle discipline del curricolo, ancora intese e agite, nelle
nostre scuole, come spazi funzionalmente separati, sia l’ottica
unitaria che l’ottica di competenza).
Va inoltre ricordato Vale comunque la pena richiamare che il discorso
delle competenze viene da lontano (e annovera i nomi più prestigiosi
della moderna cultura psico-pedagogica: da Piaget a Bruner, da Dewey a
Vygotskij, da Gardner a Morin, da De Bartolomeis a Clotilde Pontecorvo)
e presenta una particolare urgenza per il nostro paese, come ha
chiarito e argomentato Michele Pellerey (Competenze, Tecnodid 2011).
Da noi, più che la ricezione, tra l’altro in parte acritica delle
raccomandazioni dell’UE, rappresenta un problema la completa
disattenzione alle necessarie misure di sviluppo professionale e di
accompagnamento al riguardo.
Tutto questo per dire che il discorso sulle competenze è una
“riscoperta” importante: nozione potenzialmente ‘chiave’ di una
strategia pedagogica in grado di rappresentare una risposta alla crisi
che stanno vivendo i sistemi formativi, almeno dei paesi dell’OCSE.
Crisi di sistema che in Italia si manifesta soprattutto attraverso
contraddizioni che si congigurano soprattutto nei termini:
• di una scuola di massa ancora dentro al modello didattico e culturale
gentilian,
• di una nuova tavola dei saperi (scientifici, tecnologici, umanistici)
- pure presente in documenti uffuciali - che non riesce ancora a
innervare i nostri curricoli o li attraversa solo in misura residuale e
occasionale,
• di un’idea di scuola finalizzata alla formazione del cittadino
competente, che si arriva anche a condividere, ma di cui non si
riescono a vedere i passaggi e i modi.
Didattica per competenze. Qualche annotazione
Sarà utile chiarire ulteriormente la nozione generale di competenza,
partendo dalla affermazione – che si ritrova in parecchi autori
interessati alla questione - che ‘competente in qualcosa” è chi
ne conosce i termini, il senso e il “funzionamento”
sa con queste conoscenze e consapevolezze
costruire ‘oggetti’, quali che siano;
risolvere problemi;
assolvere - ai compiti inerenti - con autonomia e responsabilità.
Ne consegue, se questo punto di partenza è sensato anche per il mondo
dell’istruzione e della formazione,
• che in una scuola centrata sulle competenze è fondamentale non tanto
quello che si sa, quanto cosa si sa fare – e come - con quello che si
sa. Il “come” qui si traduce con “riflessività, autonomia,
responsabilità”, ma anche con “corrispondenza con i risultati attesi”;
• che la didattica per competenze ruota intorno all’idea dello studente
come potenziale protagonista del proprio apprendimento. E questo
presuppone, per lo studente, motivazione e consapevolezza del compito.
Le quali vanno quindi prioritariamente promosse nel lavoro didattico
degli insegnanti di riferimento, assieme alle azioni di guida e
accompagnamento e di verifica formativa;
• che compito principale dell’insegnante non è tanto quello di
trasmettere conoscenze (fare la lezione, “spiegare”), quanto piuttosto
– e questo ce lo diciamo da lustri, con scarsi risultati - di motivare
al compito, evidenziarne, parteciparne e condividerne il senso e i
punti di partenza, prevedere le modalità (setting, strumentazione …),
oltre ai percorsi e ai risultati attesi (e a come verificarli e
valutarli);
• che compito e risultato in uscita (output), in termini di prestazione
e/o “prodotto”, sono voci irrinunciabili in una mappa delle competenze
riferite alla scuola. E che progettare i percorsi di apprendimento, a
partire dai risultati attesi in termini di prestazioni complesse, può
rappresentare una pratica utile;
• che la nozione di competenza, in funzione del risultato “studente
competente”, assume a riferimento, in termini assolutamente prioritari,
i ‘saperi’ di cittadinanza. Per i quali vanno presi a riferimento, ma
in modo critico (non sono – non devono essere - dei ricettari), sia le
Competenze Chiave di Cittadinanza, previste dal Documento Tecnico del
Decreto per l’innalzamento dell’obbligo di istruzione (DM 139/2006)[1],
sia le Competenze chiave per tutto l’arco della vita, di cui alla
Raccomandazione dell’UE del 2006[2] (a queste ultime si sono
liberamente rifatte le prime).
Le diverse aree di saperi disciplinari - che certamente conservano le
loro specifiche finalità formative, anch’esse da gestire in termini di
competenze – dovrebbero costituire materia e terreno su cui le
competenze di cittadinanza si formano e si sviluppano.
Per una cittadinanza competente
Richiamerei inoltre i seguenti altri aspetti che ne fanno una nozione
chiave per un nuovo sistema di istruzione e formazione centrato sul
principio della cittadinanza competente.
Il primo. Per quanto scontato, è importante sottolineare come il
richiamo alle capacità – e quindi al fare, all’operare - recupera
l’individuo anche come mani, come corpo e lega la pratica alla teoria,
l’azione al pensiero, la parola al laboratorio.
Un secondo aspetto. La nozione di competenza, in corrispondenza con
quanto prevedono al riguardo le Raccomandazioni UE, include l’idea di
autonomia e di responsabilità.
L’autonomia, poiché la vera competenza si evidenzia nel compito ben
fatto e svolto senza supporti condizionanti.
Con riferimento alla cittadinanza, l’autonomia va vista come l’opposto
della dipendenza e della subordinazione e come libertà dai
condizionamenti.
È evidente che qui “compito” non è solo espressione del fare. Ma anche
della motivazione, della “tensione verso” (le”attitudes” delle
Raccomandazioni UE a proposito di Competenze chiave), della scoperta di
senso di quello che si fa e di come lo si fa.
Nei giudizi di ammissione agli esami di maturità si ritrovano spesso
richiami all’autonomia dello studente come obiettivo ultimo del fare
scuola e criterio centrale di valutazione complessiva. Solo che lo si
assume quasi fosse un risultato automatico e non il punto di arrivo di
un processo di apprendimento progettatato in quest’ottica, carico di
precisa intenzionalità.
L’idea di responsabilità è, invece, chiamata in causa perché le
competenze di cittadinanza hanno a che fare con l’agire sociale e
quindi è implicita in esse la dimensione etica (fare bene il proprio
compito, contro ogni forma di superficialità, approssimazione,
pressappochismo, formalismo, che caratterizzano, come si è già detto,
tanta parte dei risultati del nostro fare scuola ).
Andrebbe recuperato infine l’etimo di “competenza”: cum + peto, nel
senso di tendo verso + insieme a; che ben coglie, credo, una dimensione
importante dell’essere scuola. Una scuola vista soprattutto come luogo
di relazione - in cui si costruiscono relazioni -. Attraverso le quali,
e grazie alle quali, si apprende e si cresce.
Dopo una riflessione di questo tipo, l’interrogativo diventa: “E
allora?”.
Premesso che a questo interrogativo dovrebbero essere chiamati a
rispondere non solo i Collegi docenti, nelle loro articolazioni, e i
Dirigenti scolastici, individualmente e attraverso le loro
organizzazioni di riferimento; ma anche le associazioni professionali e
i centri e gli enti deputati a costruire cultura - a partire dalle
università - (i problemi della formazione non possono essere risolti
all’interno delle singole aule e istituti), adesso è prioritario che
siano soprattutto le scuole a confrontarsi sul senso e sulle modalità
di un recupero avvertito e operativo della problematica.
Comunque, le Linee Guida (marzo 2010 sul primo Biennio e gennaio 2012
sulle articolazioni successive) - per il passaggio al Nuovo Ordinamento
dei Settori Tecnico e Professionale - rappresentano materiali, certo
perfettibili sotto diversi aspetti, ma comunque utili, per iniziare al
riguardo, ove non lo si sia già fatto, un percorso fruttuoso di
ricerca-azione (anche le Premesse, nonostante il vezzo accademico che
le informa, possono essere di aiuto).
Preliminari a tutto sono però la consapevolezza e la “visione”: senza
di esse, è difficile che qualcosa si muova.
Come anche senza leve ed elementi pilota.
Ma questo è un altro discorso. Che andrebbe anch’esso però messo in
agenda.
[1] 1. Imparare a imparare; 2. Progettare; 3. Comunicare; 4.
Collaborare e partecipare; 5. Agire in modo autonomo e responsabile; 6.
Risolvere problemi; 7. Individuare collegamenti e relazioni; 8.
Acquisire e interpretare le informazioni.
[2] 1. Comunicazione nella lingua madre; 2. Comunicazione nelle lingue
straniere; 3. Competenza matematica e competenze di base in scienza e
tecnologia; 4. Competenza digitale; 5. Imparare a imparare; 6.
Competenze sociali e civiche; 7. Spirito di iniziativa e
imprenditorialità; 8. Consapevolezza ed espresione cilturale
(di Antonio Valentino da ScuolaOggi)
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