La vicenda
giudiziaria trae origine dalla partecipazione ad un concorso per il
reclutamento di 134 dirigenti pubblici da destinare, previa frequenza
di un ciclo formativo presso la Scuola superiore della pubblica
amministrazione, ad amministrazioni statali. La procedura selettiva –
in modo del tutto assimilabile al concorso, in via di svolgimento, per
l’assunzione di 2.386 Dirigenti Scolastici – era organizzata attraverso
il preventivo superamento di una prova preselettiva e quindi di due
prove scritte (un elaborato a carattere teorico ed uno di soluzione di
un caso pratico), per il superamento delle quali era previsto il
punteggio minimo di 25/35 in ciascuna prova, cui sarebbe seguita la
prova orale.
Il ricorrente, non ammesso alla prova orale, aveva impugnato i verbali
della commissione esaminatrice del concorso ed il decreto di
approvazione della graduatoria lamentando, in particolare,
l’insufficienza del giudizio valutativo espresso unicamente attraverso
l’attribuzione di un voto numerico e la congruità dei tempi di
correzione.
Il TAR Lazio, con sentenza depositata il 17.01.12, respinge le censure
evidenziando, quanto al primo motivo del ricorso, che la commissione
esaminatrice nelle due prime sedute aveva opportunamente provveduto ad
enucleare i criteri di valutazione delle prove scritte ed a
predisporre, per ciascuna delle due prove, una “check list” in cui
venivano sintetizzati gli elementi su cui avrebbe fondato la
valutazione, raggruppati in cinque “campi” (completezza, capacità
di analisi, padronanza, originalità, esposizione).
La Corte, rifacendosi a quello che ormai può considerarsi uno ius
receptum, richiama la motivazione della sent. n. 913/2011 del Consiglio
di Stato, la quale ha confermato che il voto numerico attribuito da
una Commissione d’esame nell’ambito di un concorso pubblico
esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della
Commissione stessa, contenendo in sè la motivazione, senza bisogno di
ulteriori spiegazioni (quale principio di economicità amministrativa di
valutazione). Stante la preventiva fissazione, da parte della stessa
commissione esaminatrice, dei criteri di massima della valutazione, il
voto numerico assicura anche la necessaria chiarezza e graduazione
delle valutazioni compiute e quindi la significatività delle
espressioni numeriche del voto sotto il profilo della sufficienza
motivazionale.
Solo in caso di mancanza di criteri di massima e precisi parametri di
riferimento cui raccordare il punteggio assegnato, si può ritenere
illegittima la valutazione dei titoli in forma numerica.
Inoltre, afferma il TAR richiamando la sent. n. 175/2011 della Corte
Costituzionale (che ha dichiarato infondata la questione di
legittimità avanzata nei confronti di alcune norme della legge
sull’ordinamento della professione forense nella parte in cui
consentono che i giudizi di non ammissione dei candidati agli esami di
abilitazione all’esercizio della professione siano motivati con
l’attribuzione di un mero punteggio numerico), le esigenze di buon
andamento della pubblica amministrazione rendono inesigibile una
dettagliata esposizione, da parte delle commissioni esaminatrici, delle
ragioni che hanno condotto ad un determinato giudizio, “avuto riguardo
sia ai tempi entro i quali le operazioni concorsuali o abilitative
devono essere portare a compimento, sia al numero dei partecipanti alle
prove”.
La sentenza in commento respinge anche il secondo motivo di ricorso,
concernente la brevità dei tempi di correzione, assunta come indice di
un eccesso di potere per difetto di adeguata istruttoria.
Anche in questo caso appare consolidato in giurisprudenza il principio
della non sindacabilità della congruità del tempo dedicato dalla
commissione giudicatrice alla valutazione delle prove d’esame dei
candidati, innanzitutto perché manca una predeterminazione, ad opera di
leggi o regolamenti, dei tempi da dedicare alla correzione degli
scritti, in secondo luogo perché non è possibile, di norma, stabilire
quali concorrenti abbiano fruito di maggiore o minore considerazione e
se, quindi, il vizio dedotto infici in concreto il giudizio contestato.
Si può aggiungere che ridotti tempi di correzione non possono di per sé
costituire indice presuntivo di illegittimità dell’operato della
commissione esaminatrice, apparendo illogico presumere che un breve
tempo di correzione implichi necessariamente, secondo l’id quod
plerumque accidit, superficialità ed incompletezza della valutazione
operata dalla commissione esaminatrice. Inoltre appare impossibile
inferire unicamente dalla brevità dei tempi l’esistenza di vizi di
legittimità inficianti la regolarità delle operazioni di correzione.
Poiché la contrastata procedura selettiva, in corso di svolgimento, per
l’assunzione di dirigenti scolastici ha già visto fiorire centinaia di
ricorsi giurisdizionali avverso la prova preselettiva, appare
verosimile ipotizzare che non mancheranno, da parte di eventuali non
ammessi alla prova orale, ulteriori tentativi di vincere i concorsi per
via giudiziaria anziché per meriti. I principi richiamati dalla
sentenza in commento possono pertanto considerarsi un
suggerimento per il corretto operare delle commissioni d’esame e un
invito ad evitare contenziosi destinati al fallimento.
Avv. Gianluca Dradi
(da
http://www.dirittoscolastico.it)
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