Le tecnologie
digitali fanno bene o no agli studenti (e agli insegnanti)? Marco
Campione risponde su qdR magazine al recente articolo di Raffale Simone
su Repubblica dove accusava LIM e tablet di istupidire gli alunni
di Marco
Campione, responsabile Scuola Pd Lombardia
Ha fatto molto discutere l'articolo del linguista Raffaele Simone,
pubblicato da Repubblica la scorsa settimana. Il titolo è eloquente ("Se a scuola internet rende stupidi")
e la tesi affascinante: per le scuole
italiane si aggirerebbero "due spettri", la lavagna interattiva
multimediale (LIM, in gergo) e il tablet (il più noto è l'iPad).
Ci si potrebbe divertire a dare una
risposta puntuale ad ogni castroneria che l'autore è riuscito ad
inserire nel pezzo, ma mi limiterò a sottolineare come il Nostro
dimostri sostanzialmente di non conoscere ciò di cui parla.
Scrive ad esempio che la LIM "basta vederla in funzione per capire che
è un gadget inutile e fragilissimo. Il suo lavoro non è molto diverso
da quello di una lavagna normale, quasi solo con la differenza che si
può registrare quel che si è scritto". Ma ne ha mai usata una?
Peraltro, con lo stesso spirito un suo antenato di qualche secolo
addietro avrebbe potuto rimpiangere il precettore e affermare che il
lavoro della lavagna di ardesia non è molto diverso da quello della
sabbia su cui si scriveva con un legnetto "quasi solo con la
differenza" che è posta in verticale e che il segno resta fino a quando
non lo si cancella.
Ma l'autore ignora soprattutto le
innumerevoli possibilità che vengono date da uno strumento che - ad
esempio - è connesso ad internet. Il maestro parla della forza
evocativa dell'immagine visiva e può proiettare le incisioni di Dorè
della Divina Commedia; la docente di Lettere cita un testo non presente
in antologia e ha subito la possibilità di mostrarlo ai suoi studenti;
si tiene la conferenza stampa al CERN per illustrare i risultati di un
esperimento e la si può guardare insieme al professore di Fisica. Ma tutto questo sarebbe un inutile vezzo
per il pregiudizio di fondo: internet rende stupidi.
La tesi - va detto - non è nuova. Ricorda
ad esempio l'atteggiamento di molti studiosi dei primi anni Sessanta
verso la televisione, che sarebbe stata responsabile di analoghe
distrazioni per il "popolo bue". Per fortuna, ci ha pensato un altro
linguista, Tullio De Mauro, a tacitare i laudatores temporis acti
dell'epoca (ogni epoca ha i propri, evidentemente).
Il pensiero di Raffaele Simone è poi profondamente classista. Dove la classe a suo dire inferiore è
quella degli studenti, che sarebbero incapaci di comprendere il nuovo
linguaggio, privilegio evidentemente riservato a pochi eletti, gli
adulti (o forse i linguisti? questo non ci è dato sapere).
Superata la prima fase di affermazione delle nuove tecnologie, nella
quale gli adulti hanno subito i più giovani, ora provano a risorgere
spiegando che sì, è vero che "loro"
ne sanno più di "noi", ma "loro" usano male lo strumento perché solo
"noi" ne abbiamo compreso il Senso, lo Scopo. Solo l'adulto non si fa
rincoglionire (pardon, instupidire) da internet.
Ma Simone va oltre e ci spiega che il problema del tablet è che "ha un
appeal al quale è difficile resistere". E qui sembra di leggere le
cronache dei primi conquistadores che descrivono le facce degli Indios
abbagliati dagli specchietti. Si
sbaglia, caro Simone: nessuno studente - se ben accompagnato dal suo
insegnante - si lascerà abbagliare dal tablet. E anche se così fosse
per qualcuno, quale miglior antidoto che farglielo conoscere fin dal
primo anno di scuola?
Il secondo argomento di Simone è solo apparentemente più ragionevole.
Quella delle tecnologie sarebbe l'ennesima moda di cui la scuola
cadrebbe vittima e la loro introduzione "tardiva". Ma qui si
contraddice. Ci dice infatti che la scuola "mancata (negli anni
Ottanta) la fase iniziale dei pc, ignorato (negli anni Novanta)
l´avvento della rete, ora cerca di acchiappare la pantera per la coda
introducendo tablet a tappeto". Fosse prevalso il suo criterio però non
avremmo introdotto i pc nemmeno nei Novanta e la rete nei Duemila...
per fortuna invece lo abbiamo fatto, altrimenti oggi saremmo indietro
di trent'anni e non "solo" di dieci!
Sia chiaro, non va tutto bene. Una
introduzione massiccia della cultura digitale a scuola senza un'analisi
di cosa ha funzionato e cosa no sarebbe - questo sì - molto stupido;
cerchiamo almeno di sfruttare il nostro ritardo decennale per imparare
dagli errori degli altri. Ma articoli come quello di Simone sono
pericolosi proprio perché individuano il bersaglio sbagliato: internet
non rende stupidi (non necessariamente, non più della lettura di alcuni
quotidiani) e non è mai troppo tardi per innovare.
Per aggiustare il tiro, potremmo cominciare dall'analisi degli studi a
disposizione. Come, ad esempio, quello che OCSE ha rilasciato nel
giugno scorso relativo alle competenze digitali dei quindicenni. Per
alcune riflessioni più approfondite rimando a questa analisi; qui
vorrei riprendere una sola considerazione: ciò che fa la differenza tra una
innovazione ben fatta e una fatta male è la formazione dei docenti che
quell'innovazione dovranno utilizzare.
Si formino gli
insegnanti in servizio e quelli ancora da assumere all'uso intelligente
delle tecnologie, si spieghi loro che la LIM è esattamente il contrario
di una semplice lavagna, un po' più cool: è uno strumento diverso, la
cui introduzione cambia la didattica tanto quanto l'ha cambiata il
passaggio dalla trasmissione orale del sapere a quella scritta. Si
formino, quindi, e si selezionino i nuovi insegnanti anche in base alla
loro capacità di preparare una lezione che possa, chessò, essere fruita
sfruttando tutte le potenzialità di un tablet.
Trovo che sia questa la migliore
risposta alle teorie di Simone, perché se non altro sposta l'attenzione
dal mezzo (tablet e LIM) e dal destinatario (lo studente "abbagliato" e
"instupidito") al soggetto che in teoria dovrebbe condurre il gioco:
l'insegnante. Purtroppo per alcuni, ma io dico per fortuna, sarà sempre
lui a fare la differenza.
(da qdR magazine) (da Pd)
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