È del tutto
condivisibile quanto scritto da Raffaello Vignali il 6 gennaio u.s., relativamente all’esigenza di liberalizzare
il settore dell’istruzione nel nostro Paese. Non ci
soffermeremo, pertanto, a ripetere quanto già esposto con incisività
nell’articolo; vorremmo, solo, aggiungere alcune considerazioni e
proposte che – ci auguriamo – rendano ancora più evidente quanto
autorevolmente affermato dall’autore.
In Italia, si sa, il sistema di
istruzione è profondamente in crisi e ne paga le conseguenze l’intero
Paese: dispersione scolastica, bullismo, giovani inoccupati, risultati
scolastici scadenti nei raffronti internazionali, carenza di giovani
professionalmente formati per le imprese, analfabetismo di ritorno,
indebolimento generale del tessuto culturale del paese, etc.
Occorrerebbe invertire la tendenza con decisione, perché davvero “il
capitale umano è il futuro”, e non può essere sottovalutato proprio
il settore che ha il compito di “formare la risorsa dell’economia
della conoscenza”. Ma, al di là delle lamentazioni e delle
dichiarazioni di intenti, in questi ultimi anni non è apparsa
all’orizzonte alcuna seria proposta di modifica, o quando è apparsa
immediatamente si sono sollevate le vibranti proteste dei soliti
blocchi sindacali legati a logiche corporative del tutto estranee alle
finalità proprie (educative formative) della scuola. E tutto è rimasto
fermo.
L’attuale governo “tecnico”, poiché svincolato da preoccupazioni
elettoralistiche, rappresenta da questo punto di vista una opportunità
ghiotta: vuole liberalizzare quei
settori strategici nei quali il monopolio statale impedisce una
concorrenza virtuosa necessaria allo sviluppo economico e sociale?
Può farlo senza dare troppo peso alle proteste che inevitabilmente si
alzeranno altissime dai settori “colpiti”? Bene, anzi benissimo, è una
grande occasione anche per la scuola, vissuta in questi ultimi decenni
sotto il tallone delle logiche di stampo sindacal-statalista e ormai
agonizzante per eccesso di burocratizzazione. Lo faccia, tenendo
presenti però alcuni aspetti importanti:
– i presupposti per una
liberalizzazione ad hoc del settore esistono già, si tratta solo di
implementarli. Nel campo dell’istruzione, la liberalizzazione
non coincide con la privatizzazione né con il mercato selvaggio, ma con
l’autonomia. L’autonomia scolastica,
introdotta nel 1997 dall’allora ministro della Funzione Pubblica
(Bassanini) e regolamentata nel 1999 col DPR 275, è una base certa
sotto il profilo giuridico e culturale. Il fatto è che in Italia
– a differenza della gran parte degli altri paesi europei –
un’autonomia che non sia solo di facciata fa paura, perché continua a
persistere una impostazione statalista, accentratrice e monopolista
dell’istruzione che è poi quella che sta all’origine delle attuali
difficoltà;
– nel nostro Paese esistono già dei modelli di autonomia reale del
settore che potrebbero fare da apripista se adeguatamente sostenuti e
valorizzati, anziché osteggiati come è accaduto sino ad oggi. Le scuole paritarie, in particolare, che
raccolgono più del 10 per cento degli alunni frequentanti il nostro
sistema di istruzione, sono l’archetipo di ciò che potrebbe essere
tutta la scuola italiana: vincolate alle norme generali dell’istruzione
a livello nazionale, sono tuttavia libere per quanto riguarda
l’assunzione dei docenti (purché abilitati), la gestione delle risorse
finanziarie e l’organizzazione generale dei servizi. Il grande
risparmio che garantiscono annualmente allo Stato (circa 6 miliardi di
euro) e i buoni risultati conseguiti nei test Invalsi, mostrano che
tutto sommato non sono necessarie grandi rivoluzioni per far funzionare
meglio la scuola italiana.
Cosa basterebbe, allora, per realizzare questa mini rivoluzione dai
benefici effetti assicurati? Analogamente a quanto fatto da Blair in
Gran Bretagna,
1. consolidare un sistema
fondato sulla libertà di scelta della scuola da parte delle famiglie,
finanziando la domanda attraverso una o più fra le diverse modalità
possibili (buono scuola – dote scuola, voucher, detrazioni sulle rette,
etc) e stabilizzando i contributi alle istituzioni scolastiche;
2. ampliare l’autonomia delle scuole,
affidando la gestione di quelle statali ad organi decisionali reali e
responsabili (fondazioni di territorio, consigli di amministrazioni
costituiti da rappresentanze miste, etc...) che abbiano anche la possibilità di
scegliere i docenti;
3. realizzare un sistema di
valutazione effettivo per mettere i genitori in condizione di scegliere
la scuola migliore per i loro figli.
Una mini rivoluzione pacifica, che sarebbe un toccasana per il nostro
futuro; non vorremmo che ancora una volta alla scuola fosse impedito di
salire sul treno delle riforme – quelle vere – rendendo inefficaci
anche quelle degli altri settori per mancanza di risorse umane
adeguatamente preparate. (di Vincenzo Silvano da
http://www.ilsussidiario.net/)
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