“Ah, sei
musicista... e che lavoro fai?”. La domanda che fa più male. Quella che
non vorresti più sentire se di mestiere fai, appunto, il musicista. Ma
anche quella che rende meglio l'idea di quanto questa nobilissima
professione sia poco riconosciuta nel nostro Paese. Lo sa bene Sabina
Morelli, 33 anni, che la musica la coltiva da quando ne aveva otto e
oggi è una violinista, brava, ma precaria. D'altronde, Sabina non
rappresenta di certo un'eccezione nel panorama dei musicisti italiani,
visto che secondo i dati del Siam (Sindacato italiano artisti della
musica) il 95% dei musicisti professionisti in Italia è rappresentato
da lavoratori intermittenti. Ovvero, da precari che lavorano spesso in
nero, non godono di alcuna tutela, non hanno il diritto di ammalarsi o
di acquistare a rate, di accendere un mutuo o di fare figli. E una
pensione, riforma o non riforma, non la vedranno
mai.
Sabina, insomma, che lavoro fai?
Faccio la violinista precaria. Ormai l'aggettivo è parte integrante
della risposta, visto che da quando ho iniziato è un continuo
peregrinare in cerca di lavoro, passando da un'orchestra all'altra, da
una città all'altra, anche all'estero. In Italia la vita del musicista
è questa, una vita da nomadi, in cui sono impensabili normali relazioni
sociali. E non è per niente facile.
Secondo te cosa non va in particolare?
E' il sistema che non funziona, a partire dalla formazione. In Italia
se vuoi studiare musica lo devi fare di pomeriggio, al conservatorio,
mentre la mattina fai un'altra scuola, i due percorsi sono
completamente distaccati e non si tiene in nessun conto lo sforzo
maggiore che lo studente è chiamato a fare. All'estero non è così, la
musica è una materia che ha pari dignità e si studia la mattina insieme
alle altre. Per di più, ora i miei dieci anni di conservatorio sono
stati equiparati ad una laurea breve di tre anni. Non dico altro.
Poi arriva il momento di entrare nel “mercato del lavoro”...
E lì iniziano anche i dolori. Prima di tutto nessuno ti indirizza a
fare master o scuole di specializzazione e men che meno a trovare un
lavoro. Quindi le cose sono due: o si va per conoscenze e amicizie,
all'italiana diciamo, oppure si fa come ho fatto io, si smette. Perché
il panorama che ci si trova davanti può essere davvero desolante. E
quello che ho trovato allora io, nella mia regione, l'Umbria, che da un
punto di vista musicale non offriva nulla, lo era. L'unica prospettiva?
Tirare a campare facendo quelle che noi in gergo chiamiamo
significativamente “marchette”, ovvero suonando qua e là, rigorosamente
in nero, spesso in condizioni poco consone (al freddo per esempio) e,
soprattutto, senza gioia.
Ma davvero il nero è così diffuso nel vostro settore?
Il nero è la norma. Ti dicono “vieni a suonare tre giorni” e poi ti
pagano 200 euro in contanti, nei casi fortunati la sera stessa, ma più
spesso dopo sei mesi. Oppure, ti fanno un rimborso spese di 80 euro,
sul quale comunque non si pagano le tasse, e poi il resto te lo danno
in nero. Naturalmente senza alcuna garanzia, per cui se ti ammali,
addio.
Verifiche, controlli?
Per esperienza personale dico: inesistenti. Da quando ho 15 anni e ho
cominciato a suonare in questi contesti non ne è ho mai visto uno. Gli
unici controlli rigorosi sono quelli della Siae sul diritto d'autore.
Quando descrivi questa situazione ti riferisci soltanto ad un contesto
di piccole realtà locali, o no?
A dire il vero no. Ad esempio ho personalmente vissuto un'esperienza
emblematica con un'orchestra italiana, diretta da un musicista di fama
internazionale. Abbiamo suonato alla Royal Albert Hall e sono stata
pagata 50 euro con ritenuta d'acconto e i restanti 200 (250 é il cachet
standard di questa orchestra) in nero dopo due mesi.
Con tutto questo nero a livello pensionistico non devi essere messa
bene...
Direi piuttosto che sono messa malissimo. Ho pochissimi contributi
versati dalle poche orchestre stabili con cui ho lavorato, che sono le
uniche che pagano regolarmente, anche se sempre con contratti precari
di una, due settimane al massimo.
Ma torniamo al tuo percorso. Hai detto che, finiti gli studi, hai
smesso di suonare. Quando e perché hai ricominciato?
Ho ricominciato a 25 anni, poco prima di laurearmi in Comunicazione
internazionale. A farmi cambiare idea è stata un'esperienza bellissima,
quella dell'Orchestra giovanile italiana nella quale suonava mia
sorella. Lì ho ritrovato l'entusiasmo e la gioia di suonare che avevo
perso. E così ho ripreso il mio percorso a ostacoli.
Come si cerca un lavoro da musicista?
Si fanno più audizioni e concorsi possibili nei teatri stabili, finanze
permettendo, però, dato che ogni volta se ne vanno 200-300 euro per
viaggio e alloggio. E poi, ormai i concorsi, grazie ai tagli del
Governo Berlusconi, sono praticamente chiusi. Nel frattempo, in attesa
di una chiamata, si studia, 6-7 ore al giorno. Tutto naturalmente a
spese proprie e senza uno straccio di ammortizzatore sociale. Di
recente ci hanno tolto anche la disoccupazione a requisiti ridotti.
Evidentemente, nemmeno lo Stato ci considera lavoratori come gli altri.
Adesso stai lavorando?
Sì, ho un contratto di tre mesi più tre mesi al San Carlo di Napoli. E
mi sembra di aver vinto al lotto, per sei mesi lavorerò nello stesso
posto e con un contratto regolare. Vi pare poco?
(di Fabrizio Ricci da rassegna.it)
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