Il sottosegretario
con lo zainetto non può avere un portaborse. Non gli si addice nemmeno
la grisaglia, è un maestro di strada con le suole consumate dalla
trentennale traversata nel disagio giovanile. «Dai Marco, prendimi al
ministero, sarò il tuo portazainetto», scherzano gli amici del bar
quando entra Marco Rossi Doria, nominato
una settimana fa nel governo Monti, come
sottosegretario all’Istruzione del ministro Francesco Profumo.
Ha un anno di tempo e vorrebbe spenderlo in primo luogo per combattere
la dispersione scolastica, «perdiamo per strada il 21 per cento dei
ragazzi, sono i figli dei poveri ed è uno scandalo. La mia esperienza è
a disposizione del ministro, sono felice di poter collaborare con lui».
Domani Profumo è a Napoli per la prima visita ufficiale in compagnia di
Rossi Doria. Incontrerà il sindaco de Magistris e il governatore
Caldoro. «Ho già avuto i primi contatti di lavoro con l’assessore
Palmieri, è una persona capace», racconta il sottosegretario. La
piazzetta di Seiano è rischiarata dal sole, nel giorno dell’Immacolata.
Rossi Doria ama rifugiarsi in questo spicchio di costiera sorrentina,
nella casa affacciata sul Vesuvio che fu di suo padre Manlio, il
celebre meridionalista.
Alla parete la laurea incorniciata: Reale istituto agrario superiore di
Portici, 27 luglio 1927. Il manifesto dell’Associazione nazionale
perseguitati politici antifascisti. La lista del Partito d’Azione alla
Costituente, numero 1 Guido Dorso, numero 18 Manlio Rossi Doria, 2
giugno 1946. La scrivania è ancora quella, guarda il mare e il cielo:
«Non mi siedo lì a scrivere, non ce la faccio, vedo ancora mio padre
chino sui fogli».
Marco, come Manlio, trasmette una grande energia riformista e la
tensione etica dell’educatore. È un liberale di formazione cosmopolita.
Professa «la politica del mestiere», ancora una citazione paterna, vuol
dire occuparsi di un campo delimitato in maniera specialistica,
prospettando soluzioni. «Ho quasi sessant’anni e certo mi muovo in un
solco di tradizione familiare». L’aver
inserito nella squadra di governo uno come lui rassicura chi ama la
scuola pubblica e la vorrebbe fondata sul merito. Dietro il
fantasma del ministro Gelmini rispuntano i ragazzi di Barbiana, ma in versione
Twitter: impegno sociale e modernità. «Ti veniamo a prendere con
la Vespa blu, perché uno come te non avrà mai l’auto blu», ancora voci
di amici intorno al sottosegretario, nel bar di Seiano. Lui sorride.
Quel giorno lo racconta così. «Ero a Trento, a un certo punto mi arriva
una telefonata da Palazzo Chigi: “Auguri Rossi-Doria, lei è stato
nominato sottosegretario, domattina è atteso a Roma per il giuramento”.
All’inizio pensavo a uno scherzo. Avevo inviato il curriculum come
tanti altri tecnici. L’allibratore londinese che c’è dentro di me mi
dava 1 a 10. Certo, tre giorni prima aveva parlato con Profumo al
telefono, un semplice scambio di idee. Non credevo, invece era vero».
Poi com’è andata?
«Mancavano appena quaranta minuti per l’ultimo treno. Ho messo in
valigia un abito scuro, sono riuscito a prenotare una cuccetta. Sul
cellulare già scarico piovevano messaggi e telefonate».
Nel 2006 lei fu avversario della Iervolino alle comunali e venne
sconfitto. Questa nomina è la sua rivalsa?
«Questo sentimento non è nel mio dna. Dopo quella campagna elettorale
sono stato due anni al ministero, esperienza che ora mi torna utile.
Poi tre anni a Trento, a studiare un sistema educativo di eccellenza,
per capirne i limiti e rendere più evoluto il modello che ho in testa. Ora avverto l’ambizione di contribuire a
risolvere, insieme ad altri, problemi di cui mi intendo. Sono contento
di stare in questa compagnia, per il tempo che sarà. Avverto una
distanza rispetto all’esperienza comunale del 2006. La continuità sta
solo nell’impegno sociale».
Vorrebbe sedere sulla poltrona di de Magistris?
«Non ho mai pensato di poter occupare quel posto».
Qual è il suo programma, Rossi Doria?
«Premetto che le linee guida le traccia il ministro. Io ho delle idee,
che gli sottoporrò. Monti vuole coniugare rigore, sviluppo ed equità.
Io mi sento sul lato dell’equità. E
poiché il sapere è una risorsa economica, bisogna legare equità e
sviluppo, istruzione e sviluppo. Nella scuola serve uno svecchiamento,
ma non in senso anagrafico. Se oggi un nostro antenato tornasse in vita
e vedesse come avviene lo scambio di informazioni a livello planetario,
si sentirebbe in un film di fantascienza. Ma se entrasse in una scuola
italiana, si ritroverebbe a casa propria. So che queste cose le pensa
anche il ministro».
Una scuola ferma rispetto alla società.
«Esatto. L’istruzione dev’essere
pubblica, ma va cambiata radicalmente. La media italiana dell’abbandono
è del 21 per cento. Sono gli “early school leaver”, giovani dai 16 ai
24 anni senza un diploma né una formazione professionale spendibile. Il
30 per cento sono al Sud, il 40 per cento a Napoli. La dispersione
coincide con la povertà delle famiglie. Ciò significa che la scuola
pubblica, principale veicolo di crescita sociale, ha fallito nel suo
mandato, oggi è un freno allo sviluppo».
Quindi che si fa, concretamente?
«In un anno, forse meno, si può provare a cambiare. O almeno avrei un
piccolo sogno. Punto primo: mettere
in maggiore connessione gli istituti tecnici e le imprese, con stage
formativi presso le aziende nei campi più avanzati, l’edilizia
ambientale, la meccanica integrata con l’elettronica, il governo delle
acque, le tecniche di conservazione del suolo, il patrimonio artistico.
Esistono già percorsi del genere per i ragazzi, bisogna renderli
stabili nel tempo».
E il secondo punto?
«L’edilizia scolastica. Stiamo
raccogliendo i fondi, speriamo per ora in 4-500 milioni. Stiamo
verificando se è possibile mettere a norma un certo numero di istituti».
Il terzo e il quarto?
«In Francia hanno individuato le Zep,
zone di educazione prioritaria, in cui esistono la massima dispersione
scolastica e la massima povertà diffusa. Lo Stato assegna incentivi a
ciascuna Zep. Una mappa di questo tipo, in Italia, può essere preparata
in due mesi. Si possono creare misure simili in alcuni quartieri di
Napoli, Palermo, Taranto, ma anche nelle periferie di Verona e Milano.
Una cabina di regia, con poche persone, potrebbe decidere dove
intervenire, per evitare finanziamenti infruttuosi. Mi
piacerebbe che fosse coinvolto Cesare
Moreno, maestro di strada come me. Serve l’aiuto delle Regioni.
Il quarto e ultimo punto:
verificare se è possibile costruire un organico funzionale unico per le
scuole, affrontando la questione del precariato. Ma è una partita
complicata. Bisogna discuterne con i partiti e i sindacati, c’è molto
lavoro da fare. Certo che serve una nuova governance della scuola, come
ha detto il ministro».
In casa, sugli scaffali, migliaia di libri. La “Cronica” di Dino
Compagni. Scritti sulla Grecia arcaica. Le memorie di Gor’kij con
dedica sono in un luogo sicuro, come il ritratto paterno realizzato da
Carlo Levi, olio su tela, anni Quaranta.
Rossi Doria, che direbbe sua padre, ora?
«Non lo so. So che mi manca la parola di una persona come lui. Che mi
suggerisca, quando serve: stai attento».
Sottosegretario con un anno davanti. Nel nome del padre. Ora è tempo di
sedere a quella scrivania tra mare e cielo. (di Ottavio Ragone da
http://napoli.repubblica.it)